Sfila in procura la maxitruffa firmata Dolce&Gabbana

Sfila in procura la maxitruffa firmata Dolce&Gabbana

Un’evasione prêt-à-porter, sofisticata come un abito d’alta moda. È l’accusa che vede al centro Domenico Dolce e Stefano Gabbana che, sul fronte della giustizia penale, sono stati imputati oggi davanti al giudice per l’udienza preliminare Simone Luerti con le accuse di truffa ai danni dello Stato e infedele dichiarazione dei redditi. A rappresentarli è l’avvocato Massimo Dinoia, difensore anche di Ruby. A quanto riportano le agenzie, in apertura d’udienza, le difese hanno chiesto al gup di considerare nulle alcune notifiche arrivate via fax e non tramite personale giudiziario. Ma il giudice ha respinto le eccezioni. Quindi il provvedimento avviato nei confronti dei due stilisti può proseguire.

Sul versante fiscale i due stilisti hanno già saldato una parte del debito versando 90 milioni all’Agenzia delle Entrate per le imposte evase in quanto persone fisiche.I due principi delle passerelle avrebbero beffato il Fisconascondendo i redditi delle loro dichiarazioni attraverso una complicata architettura finanziaria, beccandosi così una multa divisa esattamente a metà, roboante come applausi e onori che da sempre spartiscono: 400 milioni a testa, da versare nei prossimi mesi all’Agenzia delle Entrate, di cui 90 appunto già anticipati.
L’avviso di chiusura delle indagini, consegnato nell’ottobre scorso dai finanzieri di Milano agli stilisti, racconta di una società italiana, la D&G, che all’improvviso cambia connotati, travestendosi da società lussemburghese per sottrarsi alle tasse italiane e godere dei privilegi fiscali nel Granducato. Nel 2004 il sistema delle royalties viene sottratto a una struttura fino a quel momento lineare – con alla testa la società a responsabilità limitata D&G, con sede a Milano – e trasferito a una catena di scatole cinesi. La testa del gruppo è portata in Lussemburgo, dove viene fondata una società, la Dolce&Gabbana Luxembourg, che controlla il 100 per cento di un’altra società, la Gado. S.à.r.l. nel cui board siedono il fratello di Domenico Dolce, Alfonso, e il direttore finanziario Cristiana Ruella.

Il 29 marzo 2004 la D&G italiana cede per 360 milioni di euro il diritto di sfruttamento dei marchi creati dai due stilisti alla Gado. S.à.r.l. I creatori della griffe si sarebbero così procurati «un ingiusto profitto», si legge nel documento firmato dal pm Laura Pedio, ottenendo «la sottrazione all’obbligo del pagamento delle imposte per l’anno 2004 a titolo di Iva di 6 milioni di euro, a titolo di Irap di 1.346.687, a titolo di Ires di 7.456.629; per l’anno 2005 a titolo di Iva 13.331.617, a titolo di Irap 1.749.393, a titolo di Ires 13.583.522, in relazione alle dichiarazioni della Gado S.à.r.l.». Inoltre, avrebbero risparmiato «per l’anno 2004 a titolo di Ire 375.170.400 e a titolo di Addizionale Regionale 11.671.968 in relazione alla dichiarazione dei redditi dei due stilisti persone fisiche». Un lungo elenco di tasse al quale Dolce e Gabbana sarebbero sfuggiti mettendo in campo una squadra in cui familiari e collaboratori, tutti destinatari insieme a loro dell’atto di chiusura delle indagini, avrebbero giocato ciascuno un ruolo ben preciso. Cristiana Ruella, amministratore pro – tempore della Gado, e Giuseppe Minoni, direttore amministrativo e finanziario di Dolce & Gabbana srl, avrebbero «di fatto gestito la Gado dall’Italia attraverso ordini impartiti via email a dipendenti di volta in volta inviati in Lussemburgo e dando disposizioni sulle attività da svolgere e sulla contrattualistica commerciale e societaria»; Alfonso Dolce avrebbbe assunto «la veste formale di amministratore della Gado»; il fiscalista del gruppo, Luciano Patelli, avrebbe «predisposto la struttura societaria dandole formalmente una veste estera nonché svolgendo tutta l’attività necessaria con l’autorità fiscale lussemburghese diretta a ottenere un accordo per il pagamento di un’imposta sul reddito pari al 4%».

Al duo di stilisti, la Procura addebita l’atto originario della violazione fiscale, l’aver ceduto «formalmente i marchi di cui erano titolari personalmente alla Gado a un prezzo inferiore da quello di mercato, ma continuando a essere i beneficiari effettivi dei marchi e, quindi, i percettori delle royalties, attraverso la società D&G srl che possiede l’80% della Dolce & Gabbana Luxembourg, proprietaria a sua volta della Gado proprietaria dei marchi».

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