Don Camillo lascia il Vaticano di Papa Ratzinger

Don Camillo lascia il Vaticano di Papa Ratzinger

Silvio Berlusconi è stato tra i primi a fargli gli auguri. «Auspico che Ella continui ad essere, con la sua saggezza ed esperienza, fonte di riflessione e di guida per tutti noi». Di certo per il cardinale Camillo Ruini l’ottantesimo compleanno che festeggia oggi è più di un’importante soglia anagrafica o psicologica. Da oggi, infatti, il porporato di Sassuolo che per un ventennio ha guidato la Chiesa cattolica italiana ed è stato tra i protagonisti indiscussi della vita politica e sociale del paese, esce dal novero dei cardinali elettori, quei “principi della Chiesa” che, qualora morisse il Papa, si chiudono nella Cappella Sistina per scegliere il suo successore.

Al conclave del 2005 Ruini non è stato un semplice spettatore. Sull’andamento delle elezioni di Benedetto XVI è calato, come di consueto, il fitto velo del segreto pontificio che solo il bene informato Lucio Brunelli ha parzialmente squarciato con un noto articolo su Limes. Molto di più dell’iniziale testa-a-testa tra Ratzinger e il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, sostenuto dal gesuita Carlo Maria Martini, non si è saputo. Ma i rumors dei Sacri Palazzi accreditano l’ipotesi che proprio Martini, dopo le prime fumate nere, abbia convogliato il suo pacchetto di voti sul pur distante cardinale tedesco pur di scongiurare l’elezione al Soglio pontificio del suo arci-nemico Camillo Ruini.

Mai, forse, si saprà se le cose sono andate effettivamente così. Quel che si sa per certo, invece, è che con l’elezione di Ratzinger, di fatto, è iniziato il declino di “don Camillo”, come Ruini è sempre stato chiamato nella sua Emilia natia. Nonostante la decennale intesa teologica ed intellettuale tra Ratzinger e Ruini, infatti, il nuovo Papa gli ha preferito come Segretario di Stato un altro avversario di lunga data, quel Tarcisio Bertone che, da allora, non ha smesso di smontare il ruinismo pezzo a pezzo. Con il sostegno – inizialmente incerto – del cardinale Angelo Bagnasco, chiamato nel 2007 dal Papa a sostituire Ruini alla guida della Conferenza episcopale italiana. E già questo è un dato significativo. Perché Benedetto XVI avrebbe potuto prorogare la permanenza di Ruini alla guida dell’episcopato italiano. E invece non solo la proroga è durata solo un anno, ma l’anno successivo, nel 2008, Ruini ha dovuto lasciare pure il Vicariato di Roma. Da allora lo spoils system è stato implacabile.

Quasi tutti gli uomini di Ruini sono stati pian piano sostituiti o accantonati. E’ andato in pensione, l’anno scorso, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi, il potentissimo dicastero vaticano che gestisce le candidature, le bocciature e le nomine dei vescovi di mezzo mondo (per le terre di missione è responsabile Propaganda fide). Nel 2009 il direttore di Avvenire Dino Boffo, divulgatore autorizzato e principale spin doctor del porporato ruiniano, ha lasciato la direzione del quotidiano della Cei in seguito alla nota campagna diffamatoria scatenata dal Giornale della famiglia Berlusconi diretto, all’epoca, da Vittorio Feltri. “Il supercensore condannato per molestie”, fu il titolo a tutta prima pagina sparato contro il direttore che aveva chiesto a Berlusconi maggiore “sobrietà”, quando per il premier fioccavano le prime storie di escort e notti focose. Solo dopo un successivo incontro tra Ruini e Berlusconi, Feltri (poi sospeso dall’ordine dei giornalisti) ha ritrattato le accuse di omosessualità. E solo quando da più parti – da ultimo, Marco Travaglio sul Fatto quotidiano – ci si è iniziati a domandare perché, se era effettivamente innocente, la Cei di Bagnasco non lo reintegrasse alla guida dei suoi mass media a mo’ di indennizzo, Boffo, a ottobre scorso, è stato nominato direttore della televisione dei vescovi, Tv2000. Ruolo, peraltro, assunto con stile insolitamente defilato.

Non sono mancati i colpi di coda. La nomina del ruiniano Cesare Nosiglia come arcivescovo di Torino, solo pochi mesi fa, ha bruciato candidati bertoniani come Arrigo Miglio (vescovo di Ivrea) o Giuseppe Bertello (nunzio apostolico in Italia comunque destinato, nei prossimi mesi, a incarichi di primo piano nella Santa Sede). Ma lo spoils system è stato pervasivo e sistematico. Al Concistoro dello scorso ottobre è rimasto fuori dal novero dei nuovi cardinali l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. Il motivo, formalmente, è che il capoluogo toscano già esprime una porpora, quel cardinale Ennio Antonelli che, ormai a Roma, guida il Pontificio consiglio per la Famiglia. La realtà è che l’ex segretario generale della Cei, fedele braccio destro di Ruini negli anni della campagna astensionistica al referendum sulla procreazione medicalmente assistita e della battaglia anti-Dico, è rimasto amaramente deluso. Il numero tre della Cei di Ruini, Domenico Mogavero, già all’epoca assestato su posizioni piuttosto autonome rispetto alla mainstream di Via Aurelia, si è definitivamente affrancato da quando guida la diocesi siciliana di Mazara del Vallo e non lesina critiche al governo Berlusconi e alla Lega sulle vicende più disparate, dai rimpatri degli immigrati che giungono sulle coste italiane sulle carrette del mare alla rivolta di questi giorni nel Maghreb.

L’ex portavoce di Ruini, Claudio Giuliodori, guida ormai, senza clamore, la diocesi di Macerata. Nelle ultime settimane, poi, le rimozioni hanno toccato anche i gangli della macchina guidata per anni da Ruini. Vincenzo Grienti, efficiente e discreto factotum dell’ufficio stampa di Ruini, è stato destinato ad altri incarichi nel sistema comunicativo della Conferenza episcopale italiana. È stato poi allontanato dalle sue funzioni anche il portavoce dell’associazione Scienza e vita Domenico delle Foglie, incisiva eminenza grigia delle mobilitazioni di massa dell’era ruiniana, dal Family day, del quale fu instancabile organizzatore dietro le quinte, alle polemiche dell’associazionismo cattolico nel frangente della morte di Eluana Englaro.

A essere archiviato non è solo l’organigramma del cardinal Ruini, ma la sua concezione del ruolo della Chiesa, della politica e della società italiana. Il ruinismo, questo è certo, ha suscitato molte critiche, ma anche i suoi nemici gli riconoscevano l’ampio respiro strategico. Se Francesco Cossiga, che nutriva nei suoi confronti una cordiale antipatia, bollò Ruini come un “bravo segretario provinciale della Dc”, il porporato di Sassuolo aveva, innegabilmente, un non comune intuito politico. Uomo colto, gran lettore di giornali e di saggi di teologia, tratti affabili e ironici nel privato, Ruini ha preso con fermezza le redini dell’episcopato italiano al tramonto della Democrazia cristiana e ha reso la Chiesa protagonista dell’ultimo quindicennio di storia italiana. Ha architettato un sistema come quello dell’otto per mille, che ha riempito le casse della Cei, ha schierato l’episcopato a fianco di Silvio Berlusconi facendo leva sui cosiddetti “valori non negoziabili”, ha fatto (inutilmente) pressing sul centrodestra perché non espellesse l’Udc del cattolico Pier Ferdinando Casini, e ha comunque impollinato anche l’altro schieramento con uomini a lui fedeli: nel Pd di Veltroni a entrarono testa alta Francesco Rutelli e i “teodem” capitanati da Paola Binetti. Personalità che, agli ottant’anni di Ruini, non casualmente hanno lasciato il centrosinistra.

«Meglio contestati che irrilevanti», era il motto di Ruini, che ora, sotto Bagnasco, è stato capovolto da una Cei che sembra preferire l’irrilevanza alla contestazione. O che, quantomeno, fatica a trovare una valida strategia alternativa. Bagnasco e Bertone puntano molto, sulla scia delle parole del Papa, alla rinascita di un nuovo partito cattolico che trova nel recente appello di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, il prima concreto brogliaccio. Intanto, però, la galassia cattolica appare sparpagliata in mille rivoli. Congelate nell’era Ruini, le due protagoniste della vita ecclesiale degli anni Settanta, Comunione e liberazione (Cl) e Azione cattolica (Ac) tentano un rilancio sempre più autonomo dalle indicazioni del Vaticano. Cl, fedele a Berlusconi anche nel pieno della tempesta del Rubygate, attende però la fine del berlusconismo per egemonizzare, magari con il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, un Pdl da trasformare, pian piano, in una versione italiana del Partito popolare europeo.

E l’Azione Cattolica, che ha moltiplicato nel corso degli ultimi mesi gli incontri di assistenti ecclesiali e amministratori locali associati, cerca di resuscitare le scuole di formazione politica in auge nei decenni passati. Senza mai perdere d’occhio – così come Famiglia cristiana – le mosse di Rosy Bindi, ex vicepresidente di Azione cattolica che oggi declina l’invito di Nichi Vendola ad assumere la guida della coalizione di centrosinistra, ma domani, chissà, sull’onda della piazza delle donne “Se non ora, quando?”, potrebbe trovarsi incoronata a seguire le orme del suo amico Romano Prodi. Cattolico adulto, ex amico, poi acerrimo nemico, del cardinale ottantenne Camillo Ruini.

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