E l’America si scopre un paese per vecchi

E l’America si scopre un paese per vecchi

Gli statunitensi sono 308 milioni di persone e si sposano sempre di meno (73 matrimoni ogni mille individui contro 10,3 nel 2000) e dormono troppo poco (il 28% degli uomini e il 30% delle donne non dorme abbastanza per 14 o più giorni al mese). Gli Stati Uniti hanno un territorio ancora poco sfruttato (la terra costruita è il 5,6% del totale) e ci sono stati come Minnesota, Iowa, Nebraska, North Carolina e Sud Dakota dove il numero di maiali supera quello degli abitanti. I dati sono infiniti, più o meno divertenti, e ancora in corso di pubblicazione. In generale offrono un interessante spunto per osservare fenomeni politici e demografici. In dettaglio, è possibile analizzare tre diversi aspetti: i dati del censimento e l’impatto sul Congresso e sulla rappresentanza politica; la composizione per età della popolazione e quali fasce risultano penalizzate;  la migrazione interna e il mercato del lavoro.

Censimento e impatto sulla politica. Negli Usa i censimenti sono decennali e servono anche a stabilire il numero di deputati da attribuire a ciascuno Stato. Questi sono infatti assegnati in proporzione alla popolazione, a differenza dei senatori che sono in numero fisso di due per Stato. Una delle prime domande che viene posta dopo ogni censimento è quindi: che impatto ha la nuova distribuzione dei deputati, in termini di forza, sui due partiti principali? La risposta non è scontata. I movimenti di seggi sono stati abbastanza limitati e hanno favorito Stati dove i repubblicani hanno vinto alle presidenziali del 2008. In dettaglio, quattro seggi in più vanno al Texas, due alla Florida e uno ciascuno ad Arizona, Carolina del Sud, Georgia, Nevada Utah, e Washington. Le perdite più forti si registrano invece per Ohio e New York: meno due seggi ciascuno. Un seggio in meno, infine per Illinoios Iowa, Lousiana, Massachusetts, Michigan, Missouri, New Jersey e Pennsylvania (fonte). 


Sono cambiamenti di un certo rilievo, che influiranno sulle presidenziali del 2012 e sulla composizione del collegio elettorale, visto che i paesi del Sud, maggiormente favorevoli al partito repubblicano, guadagnano un peso maggiore di quelli della vecchia tradizione industriale, dove i democratici hanno più seguito.
L’impatto complessivo, in ogni caso, sembra ridotto. Secondo alcune proiezioni riportate sul blog del New York Times  se le elezioni presidenziali del 2008 si fossero tenute con i numeri attuali, Barack Obama avrebbe ottenuto sei voti in meno. Un cambiamento assai limitato: il totale dei voti elettorali è di 538, e dunque il minimo necessario è di 270. Nel 2008 Obama ne ottenne 365, per cui la perdita di 6 seggi non avrebbe fatto alcuna differenza. Insomma, i movimenti migratori interni agli Stati Uniti non fanno pensare a un quadro politico in grande mutazione, almeno in tempi brevi.

Il Censo mostra una popolazione che cresce del 9,7% nell’arco del decennio, il valore più basso dagli anni ’40. I fattori di crescita, oggi, derivano in gran parte da un tasso di fertilità ancora elevato e dall’afflusso di immigrati anche se, probabilmente, entrambi si sono affievoliti durante la crisi economica. «Gli Stati Uniti sono cresciuti più rapidamente dell’Europa occidentale, grazie alla fertilità più elevata, ma anche perché, negli anni più recenti, c’è stata una maggiore apertura a lavoratori non qualificati e specializzati. I docenti della New York University, di Harvard e di Princeton, infatti, registrano una percentuale molto alta di professori nati all’estero (gli italiani Alberto Alesina, Nouriel Roubini, Emmanuel Saez). E un Vikram Pandit (amministratore delegato di Citigroup, nato in India) è a capo di uno dei più grandi gruppi bancari del mondo», dice Howard Rosenthal, docente di economia a Princeton e alla New York University. È proprio la presenza di immigrati e di migrazione interna che rende difficile stabilire a priori quale sarà l’impatto del censo sulla politica.

Ogni Stato ha infatti una sua fisiologia basata sulle caratteristiche degli abitanti – ad esempio, una nazione con molti bianchi cristiani fondamentalisti è probabile che sia repubblicana – ma tale composizione tende a modificarsi nel tempo, in virtù del fatto che gli Stati Uniti sono un paese non solo aperto agli immigrati, ma anche agli spostamenti di popolazione da uno Stato all’altro. Detto questo, parte della crescita deriva dall’aumento della componente di origine ispanica, le cui simpatie politiche, recentemente, si sono spostate sempre più verso i democratici. Dal punto di vista generale, una prima conseguenza del fenomeno potrebbe far segnare dei punti a favore dei repubblicani, ma solo sul breve termine. «In realtà, in una visione più lungimirante, i democratici potrebbero essere avvantaggiati dall’aumento degli ispanici», conclude Rosenthal, «e dal fatto che quest’aumento è determinato da persone migrate da altri luoghi nella nazione. È proprio grazie a questi cambiamenti che Obama ha vinto in Virginia e North Carolina, nel 2008». 

Al di là dei cambiamenti sulle preferenze di voto, il censimento offre sempre una miniera di informazioni sugli andamenti sociali e demografici degli Stati Uniti. Un aspetto sorprendente, per un paese spesso considerato come l’immagine stessa della gioventù e del dinamismo, è che vari economisti e demografi leggono i dati con analisi cupe per le fasce di età sotto i 40 anni. Il Censimento Usa 2010 mostra che l’età media è salita a 38,2 anni (al luglio 2009), circa 2 anni in più rispetto ai 36,1 del 2000. Come in molti altri paesi occidentali sale anche il numero di coloro che hanno 65 anni o più: in aumento del 12,6%. I due valori si confrontano con una popolazione italiana nettamente piu vecchia (da noi l’età media è di oltre 42,6 anni mentre la percentuale di abitanti 65enni supera il 20 %), ma la tendenza tende a rendere pensioni e sanità piu costosi. Anche se in termini puramente economici i costi monetari legati all’invecchiamento non sarebbero un grosso problema (si possono, infatti, bilanciare alzando l’età pensionabile e contenendo costi sanitari), l’invecchiamento pone spinosi problemi politici. I provvedimenti di contenimento della spesa, anche se non drammatici in termini economici, risultano sono politicamente difficili da attuare. 

«Il mondo intero è penalizzato dall’invecchiamento. La stesso fenomeno sta per verificarsi in Cina, e dunque non solo nei paesi che sono già sviluppati. Purtroppo i politici si preoccupano di aiutare i vecchi e non i giovani: è una conseguenza sfortunata della democrazia», dice Howard Rosenthal, professore a Princeton e a New York University. Le classiche problematiche legate a questo (pensioni e sanità, ad esempio) non sarebbero di per sé insormontabili. Warren Sanderson, demografo e docente di economia alla State University di New York (SUNY) a Stony Brook, spiega che il progressivo maturare della popolazione va corretto dal momento che oggi si vive più a lungo e in migliori condizioni di salute. «Alla luce di questo, l’età media è un indicatore imperfetto». Due numeri permettono di capire meglio di cosa stiamo parlando. In previsione, l’età media Usa salirebbe dai 36,1 anni del 2005 ai 40,7 anni nel 2024: un aumento di 4,6 anni. «Se si corregge questo valore, in prospettiva dell’allungamento della vita, si passa dai 35,5 del 2004 ai 36,1 del 2024», dice Sanderson, spiegando che i numeri assoluti indicano solo una verità parziale. «È vero che la gente invecchia, ma gli anziani di oggi non sono quelli di un tempo».

Ciò giustificherebbe la richiesta «che alcuni paesi hanno stabilito per legge, ma che gli USA dovranno adottare», di imporre un’età più alta per l’accesso alla pensione «che salirà oltre gli attuali 65 anni». Allo stesso modo, i costi sanitari di una popolazione che invecchia non sono sono esplosivi. «La sanità sta diventando sempre più cara, ma a causa di un aumento dei costi generali, e non per l’invecchiamento della popolazione: un rincaro particolare dei costi sanitari si registra negli ultimi due anni di vita». Quello che preoccupa di più è però l’aspetto politico. Le nuove generazioni, sono meno rappresentate e meno considerate come elettorato: dunque, ricevono minore attenzione dai politici. A loro volta, i giovani hanno una percentuale di partecipazione alle elezioni molto bassa. Sanderson, dopo essersi occupato per anni dei fenomeni dell’invecchiamento, ha iniziato a guardare con maggiore attenzione ai problemi giovanili. «Negli Usa i trentenni bianchi laureati hanno un reddito in termini reali più basso di quello di cui potevano godere trent’anni fa: fenomeno storico cui i politici non danno peso. Le difficoltà crescenti della popolazione giovanile, che fatica ad avere standard di vita simili a quelli dei genitori, sono comuni a molti paesi sviluppati, come Stati Uniti ed Europa. «In Italia questo fenomeno ha raggiunto punte estreme; qui va un po’ meglio, ma la situazione non è certo incoraggiante», conclude Sanderson. 

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