Se in Parlamento spunta il più terzo del bigoncio, allora la cosa si fa seria, terribilmente seria. Mitraglia fa capolino in fondo al Transatlantico, piumino anti-proiettile da fuoco amico, quell’aria anche un po’ divertita di chi se la giocherà intorno alle otto col suo giocattolino da dieci per cento. Appena due ore prima, un’ultima ora incastonata di rosso vermiglio aveva battuto via internet la notizia delle notizie: rito immediato per il Cavaliere!
Enrico Mentana ha gestito da libero dipendente tutti gli anni della battaglia berlusconiana contro le procure e adesso, se permettete, non si fa infinocchiare da due crodini stappati a sinistra con sin troppa rapidità. «Ragazzi, guardate che se si va a votare a breve e magari c’è anche il processo di mezzo, questo vince ancora. Lo faranno passare per un eroe…»
Accanto gli sta la Velina Rossa, al secolo Pasquale Laurito, raccontatore irreverente di una sinistra inquieta, zietto adottivo di Massimo D’Alema che continua a proteggere amorevolmente dai possibili attacchi di un mondo crudele. Pasqualino, come lo chiamano i colleghi, anche i più giovani, ha un diavolo per capello, ce l’ha con Bersani che si è abbassato a colloquiare addirittura con la Padania, padano tra i padani, di federalismo. «Ma qui siamo al ridicolo, un giorno prima della decisione su Berlusconi non ci si mette a flirtare con la Lega pur di buttarlo a mare. Queste cose andavano fatte un mese fa, ma forse Bossi neppure gli ha voluto parlare».
Nel giorno cupo della destra, in cui Alfano, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, racconta tranquillamente che «è in gioco la sovranità del Parlamento», destino, sorte e simboli si trasformano in un agghiacciante mix di sovrapposizioni emozionali. Cominciamo pure dai simboli ed è facile notare, con il fragore dei comportamenti irrituali, come il Cavaliere si faccia sopraffare da una notizia cattiva, molto cattiva, eppure anche molto attesa. Piombato in Sicilia in mattinata per offrire all’opinione pubblica, in termini di comunicazione, la parte migliore di sé – capo di un governo che si immerge nella sofferenza di uomini lontani – manda all’aria la conferenza stampa prevista e si tuffa tra le braccia dei suoi plurimi avvocati. Un tempo, neanche tanto lontano, avrebbe ribattuto pubblicamente colpo su colpo.
Destino e sorte si presentano insieme, e insieme sembrano chiedere il conto finale. Hanno nomi femminili, sciorinati in sequenza uno dietro l’altro appaiono un’appendice rosa di quella piazza piena e bella di domenica. Sei volti, sei nomi: Ilda, Cristina, Gabriella, Giulia, Orsolina, Carmen, sei donne molto pensanti sulle cose della vita ma attualmente prestate al giudizio terreno. C’è la pm, rossa per definizione, la gip che ha deciso che la fretta e gli elementi a carico c’erano, c’è la capa-gip che firma l’ordinanza, e poi tre nomi pescati da una riffa per il collegio che giudicherà le presunte infamie, e per un amaro paradosso, ancora donne!
Risparmiandovi le millanta dichiarazioni che da destra portano tutte alla sola, unica interpretazione possibile – giustizia a orologeria – battiamo la strada impervia degli avvocati, depositari dell’attenzione dell’universo mondo. Antonio Leone, pdl e vice presidente della Camera, prova a virare allegramente: «Tre donne? Ma questo è già un motivo per ricusare il collegio…» Poi, più serio: «Non c’è altra strada che il conflitto di attribuzione all’Alta Corte, ma non tanto per evitare un processo, quanto per riequilibrare i piani giudiziari».
Poco più in là, schiaccia i suoi occhi furbi Michele Saponara, l’avvocato Michele Saponara, che a Milano ha segnato la storia di una professione. Erano anche i tempi di Pecorella, tra l’altro, ma un bel giorno un Ghedini giovane e prepotente se lo mangiò. Saponara gli vuole ancora bene al Cav., lo fece deputato nel ’94 e poi giudice del Csm. Insomma. Adesso l’affetto non riesce a contenere il dubbio: «Che può fare, niente se non andare alla Consulta. Non si doveva mettere in quella situazione, come ha scritto Merlo si sta facendo divorare dalle lupe affamate. E poi che tristezza la mia collega Daria Pesce, che difende la Minetti: come fa a dire che Berlusconi si deve adeguare alla loro strategia processuale, cosa nasconde questo messaggio?» Intanto, tono grave e sempre uguale, Bersani accontenta quei famelici di cronisti: «Stavolta sono io che chiedo le elezioni…» Quante volte, le avete contate, tutti hanno già chiesto più volte le elezioni?