Prima la stretta di mano, poi la pugnalata. La guerra fra Diego Della Valle, nume tutelare di Tod’s, e Cesare Geronzi, patron di Generali, continua a tenere banco. «Geronzi cominci a pensare alla pensione», ha detto l’imprenditore in un’intervista che sarà pubblicata domani su L’Espresso. Dopo le parole a favore di una scalata a Rcs, il gruppo editoriale del Corriere della Sera, per Della Valle si apre un nuovo scenario. L’impressione che sta dando all’intero mondo economico, tuttavia, è quella di una persona che non ha ancora scelto cosa fare da grande.
Prima sono state le parole di dissenso nei confronti dell’intervista rilasciata da Geronzi al Financial Times. «Mi ha lasciato esterrefatto», dice Della Valle riguardo al capo delle Generali. Subito dopo, le scintille all’ultimo cda del Leone di Trieste. Infine, la stretta di mano fra i due, sancita di fronte ai giornalisti. Solo che dalle colonne dell’Espresso, infatti, arrivano delle fucilate a bruciapelo nei confronti di Geronzi. «Sentire affermazioni senza senso, senza averle precedentemente concordate con il cda e gli amministratori delegati, è francamente una cosa che non ho visto mai prima», ha detto riferendosi all’intervista con il quotidiano londinese. Ma questo è solo l’ultimo episodio di una battaglia iniziata dal fondatore di Tod’s.
Della casa, famosa in tutto il mondo per i mocassini con il gommino e big spender pubblicitario nelle maggiori testate italiane e internazionali, tutto si può dire tranne che sia mal gestita. Il Gruppo – che controlla i marchi Hogan, Fay e Roger Vivier – tra le quotate sul Ftse Mib, il principale listino italiano, è tra le migliori in termini di marginalità, che è pari al 25,8% del fatturato (a settembre 2010, ultimo dato disponibile, il fatturato era pari a 609,1 milioni di euro e il margine operativo lordo 157,4 milioni di euro). Nello scorso biennio, piuttosto difficile per l’intero comparto moda, la società ha infatti mantenuto una politica molto prudente, limitando il numero di referenze, taglie e pezzi prodotti rispetto al passato. Meno inventario e più cash flow, che si traduce in margini più alti rispetto al capitale investito e una cassa maggiore.
Ciò non toglie che alcune mosse dell’ex presidente della Fiorentina abbiano lasciato a dir poco perplessi gli azionisti di minoranza e gli analisti che seguono il titolo. Una scelta non troppo azzeccata, quando l’imprenditore controllava ancora il 67% di Tod’s, fu l’acquisto, tramite una società a lui riferibile, della sede Tod’s di Tokyo, inaugurata nel 2004, per 63 milioni di euro, facendo iscrivere a bilancio 40 milioni di euro di immobili, più 23 milioni di mutui chirografari. Ovvero debito.
Il tempismo della cessione del 10% in suo possesso, il 15 dicembre scorso, è stato invece particolarmente azzeccato. Il titolo, in quel periodo, ha toccato il massimo storico di 84 euro per azione, e la vendita del 10% è avvenuta attraverso un private placement a 76 euro per azione, grazie al quale Della Valle si è messo in tasca una plusvalenza pari a 190 milioni di euro. Infine, la scelta di sponsorizzare con 25 milioni di euro il restauro del Colosseo. Una decisione dal sicuro ritorno d’immagine, per carità, ma non troppo redditizia per chi avrebbe voluto invece investire per allargare il business piuttosto che opere di ristrutturazione.
Come molti imprenditori del settore, anche Della Valle possiede una cassaforte in Lussemburgo, la Dorint, dove confluiscono le quote detenute dall’imprenditore marchigiano in Rcs, in Generali e il 20% dei grandi magazzini americani Saks, che potrebbe, secondo molti osservatori, aumentare ancora in un’ottica di diversificazione del portafoglio. A proposito di Rcs, l’ultimo semestre di Della Valle è stato piuttosto tormentato. La sua voglia di scalare via Solferino – se gli fosse permesso, ovviamente – è irrefrenabile ed è anche stata da lui stesso ammessa pubblicamente. Per questo, non ha risparmiato Generali, affondando la lama nella carne viva di quella che definisce la gerontocrazia del gotha finanziario italiano. Durissimi gli attacchi a Geronzi, gli ultimi in ordine temporale. E sibilline le espressioni critiche rivolte a «qualche vecchietto arzillo, unto dal Signore». Più d’uno vi ha letto un riferimento a Giovanni Bazoli.
Ma giusto ieri Della Valle ha usato parole di fuoco per definire l’attuale assetto di poteri in Italia. Parlando dagli Stati generali di Roma, l’imprenditore non ha usato mezzi termini: «Considero questo un buon momento per il paese: qualche vecchia lobby che ha ingessato il paese non c’è più, qualche nuova generazione sta arrivando, i prossimi due anni saranno determinanti». Apriti cielo. Non basta. Della Valle ha spiegato cosa sta succedendo nel risiko dell’economia nazionale. «Sta arrivando una nuova generazione. È saltato il tappo delle vecchie lobby, non ci sono più lobby milanesi o romane, c’è una nuova classe di giovani che ha molta voglia di fare, ci sono trenta-quarantenni che si aspettano di sentirsi dire che possono fare qualcosa», ha tuonato, facendo tremare i sacri palazzi della finanza italica.
Il problema è che non ha ancora chiarito quale sarà il suo ruolo. Vuole essere il mecenate di qualche giovane? Vuole essere lui in prima persona il nuovo che avanza?Vuole sovvertire realmente gli assetti economico-finanziari della penisola? Per il momento, non è dato saperlo. Si segnala il rinnovato legame con Luca Cordero di Montezemolo, con cui ha costituito anni fa il fondo d’investimento Charme. Della Valle infatti ha recentemente detto che la partecipazione in Ntv – la compagnia ferroviaria che ha fondato col patron di Ferrari – è un ottimo investimento sia per lui sia per Generali, che detiene il 15% della principale concorrente di Ferrovie. A molti osservatori è apparsa l’ennesima prova della battaglia intestina al capitalismo italiano che va emergendo sempre di più.
Il numero uno di Tod’s ora è atteso alla prova del nove. Da un lato ci sono le sue continue stilettate nei confronti dell’attuale classe dirigente, dall’altro si attende di conoscere in modo chiaro programma e squadra – per mutuare metafore care alla politica – con cui il nuovo corso dovrebbe essere gestito. Anche perché, a essere onesti, il nostro non è più un giovincello.