L’intervista che il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, ha rilasciato lo scorso 4 febbraio al Corriere della Sera non è passata inosservata né nei palazzi agitati della politica italiana né in quelli del Vaticano. Più che una semplice intervista, più che un ragionamento professorale, è suonata come un grido di battaglia.
È da molti mesi che su entrambe le sponde del Tevere ci s’interroga sul posto che i cattolici occuperanno in futuro nello scacchiere politico italiano. Tramontata la “balena bianca” della Democrazia Cristiana, la strategia del cardinale Camillo Ruini – impollinare entrambi gli schieramenti con cattolici doc – non ha dato i risultati sperati. Berlusconi è divenuto via via più imbarazzante per gerarchie ecclesiastiche e semplici elettori cattolici, il Pd ha perso pezzi importanti come Francesco Rutelli e Paola Binetti, l’Udc da solo è troppo piccola per rappresentare gli interessi della Chiesa e, comunque, l’alleanza con il “laicista” Fini non va giù agli uomini della Curia romana. «Il mondo del lavoro, dell’economia, della politica – ha detto il Papa in visita a Cagliari nell’ormai lontano settembre del 2008 – necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Sono passati i mesi e l’invito è stato ripreso e ripetuto come un mantra dai vertici della Santa Sede e della Conferenza episcopale italiani, dai cardinali Bertone e Bagnasco, senza però tradursi in nulla di concreto.
Sino all’intervista di Andrea Riccardi. «Mi chiedo se dal mondo cattolico non possa venire qualcosa di intelligente, di politicamente originale», ha detto il fondatore della comunità di Sant’Egidio. La pars destruens è perentoria («I due poli non sono la soluzione. E il terzo polo, allo stato, è un cartello elettorale»), ma la pars costruens apre prospettive inedite. «Il cardinale Ruini ha dato credito all’ipotesi di Berlusconi. Ma il sistema bipolare non ha garantito la stabilità. A ben vedere, a modo loro erano più stabili i governi democristiani. Mi chiedo se non sia tempo – ha detto Riccardi ad Aldo Cazzullo – che il mondo cattolico assuma un’altra posizione, dia il suo contributo di idee nuove in un assetto politico diverso, plurale».
A che cosa punta Riccardi? Nata nel 1968 tra i poveri delle baracche della periferia romana, sopravvissuta a diverse scissioni nel corso degli anni, assurta a centrale del peacekeeping internazionale e apprezzata anche dai diversi presidenti degli Stati Uniti, la Comunità di Sant’Egidio potrebbe aspirare a entrare direttamente in politica. Già negli anni scorsi, del resto, Riccardi è stato corteggiato sia per la guida della Regione Lazio, sia per un posto in Parlamento con il Pd di Veltroni, sia – ipotesi mai decollata – per un ruolo da ministro degli Esteri.
La comunità ha però una sua agenda. Solo questa settimana il presidente della comunità Marco Impagliazzo ha consegnato – in qualità di pro-rettore dell’Università per stranieri di Perugia – una laurea honoris causa al segretario del Papa, mons. Georg Gaenswein. Domenica, all’Angelus, ha suggerito la denuncia del Papa per la morte dei bambini rom in un rogo di un campo irregolare di Roma. A ottobre, poi, Benedetto XVI si recherà ad Assisi per un vertice interreligioso che solo il discreto lavorio diplomatico della Comunità di Sant’Egidio è riuscito a promuovere dopo anni in cui sul dialogo tra le diverse fedi era sceso il gelo dei primi anni del pontificato di Ratzinger.
Non è un “partito di Sant’Egidio” a cui pensa Riccardi. Non casualmente, la sua intervista è stata subito fatta propria da Pier Ferdinando Casini. «Ha ragione Andrea Riccardi – ha detto il segretario dell’Udc in un’intervista ad Avvenire: «Serve uno scatto di qualità. Per troppo tempo ci siamo affidati quasi esclusivamente alle nomenclature di partito; per troppo tempo le convenienze dei leader hanno deciso l’agenda politica». Nessuna dichiarazione ufficiale, ma anche nella cerchiadi Bertone l’intervista è stata molto apprezzata.
Perché la trama che il braccio destro del Papa, d’accordo con il leader dei vescovi Bagnasco, sta tessendo da mesi è spingere personalità come Riccardi a scendere sì in politica, ma all’interno di un nuovo partito cattolico. Se l’Udc di Casini ci sta, tanto meglio, ma dovrebbe sganciarsi dall’accidentato Gianfranco Fini. L’intraprendente porporato salesiano, intanto, va avanti. Nel Palazzo apostolico è di casa il presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) Carlo Costalli, che da mesi coltiva i rapporti con la Cisl di Raffaele Bonanni, neocatecumenale come il Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Fernando Filoni, e con esponenti del Pd insoddisfatti dalla deriva bersaniana, a partire dal popolare Beppe Fioroni.
Fanno parte dell’iniziativa anche alcuni degli intellettuali più vicini al card. Bagnasco, a partire da Edo Patriarca e Luca Diotallevi, i teorici della settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta in autunno a Reggio Calabria. Rimangono fredde, invece, le due protagoniste dell’associazionismo cattolico degli anni passati, Azione cattolica e Comunione e liberazione, impegnate in partite autonome per tornare a essere protagoniste nel dopo-Ruini.
L’unica condizione perché il nuovo progetto politico di Riccardi&co. vada in porto è che la legislatura prosegua. Se gli eventi precipitassero, infatti, salterebbe ogni legge cara alla Chiesa – dal testamento biologico alla riforma fiscale a favore delle famiglie – e soprattutto le urne si trasformerebbero in un referendum pro o contro Berlusconi. Consultazione che, oltretutto, il premier rischierebbe di vincere. Non a caso, Vaticano e Cei non hanno tentato la spallata in queste settimane di schermaglie con Palazzo Chigi.
Meglio allora attendere, sperare in un ridimensionamento del ruolo di Berlusconi, consolidare la rete di rapporti trasversali e, possibilmente, cambiare la legge elettorale. Se non sarà possibile tornare al proporzionale, almeno andrebbero reintrodotte le preferenze per poi obbligare Casini e altre formazioni della partita a mettere in lista personalità alla Riccardi. A quel punto, il nuovo partito cattolico potrà prendere il largo. Se non sarà una balena, sarà un balenottero. Per Bertone e Bagnasco, l’essenziale è che sia rigorosamente bianco.