Le Olimpiadi a Roma sono un affare del Coni

Le Olimpiadi a Roma sono un affare del Coni

Si scrive Pescante, si legge Petrucci. La lunga marcia verso Roma 2020 è partita con il piede sbagliato. Il sogno di avere presidente del Comitato promotore una personalità di grande prestigio interno e magari internazionale (Gianni Letta o Montezemolo) o almeno un imprenditore di grande successo anche all’estero (Nerio Alessandri, Technogym) è stato stritolato dai tentacoli della piovra Coni, più influente nell’esito della vicenda persino della litigiosità della politica italiana, che ha comunque prodotto il veto di Tremonti all’ipotesi Montezemolo. E i soldi ancora non ci sono: non solo quelli per le Olimpiadi, ma neppure quelli per promuovere la candidatura.

Largo ai vecchi. Mario Pescante, dirigente sportivo di lungo corso, nel 2020 avrà 82 anni, l’età giusta in Italia per fare carriera, e da 38 anni è al governo dello sport italiano. Nominato segretario generale del Coni nel 1973, capomissione della rappresentativa italiana in sette edizioni dei Giochi olimpici estivi e in cinque di quelli invernali, dello stesso Coni divenne presidente nel 1993. Per “soli” cinque anni, perché nel 1998 fu costretto a dimettersi a seguito di un scandalo che travolse il laboratorio antidoping dell’Acqua Acetosa a Roma. È deputato (Forza Italia e poi Pdl) da tre legislature ed è stato sottosegretario ai Beni culturali con delega allo sport nei governi Berlusconi dal 2001 al 2006. Membro Cio dal 1994, del Comitato olimpico internazionale è attualmente uno dei vicepresidenti (scelti a rotazione). Incarico quest’ultimo che ha fatto gridare molti al conflitto d’interessi. In realtà, non c’è nessun regolamento internazionale che vieti a un membro Cio di dirigere il Comitato promotore di una candidatura olimpica. Ma, al di là di ogni giudizio morale, cumulare le due cariche è più semplicemente una stupidaggine. Cinicamente parlando. È infatti molto più efficace, nei confronti dei membri Cio che votano per l’assegnazione dei Giochi e che non sono insensibili a pressioni di ogni sorta, un’opera di lobbying condotta da un presidente del comitato promotore esterno al Cio e tuttavia influente sui suoi membri. La verità è che a Pescante (che così non potrà neppure votare) si è arrivati quasi per disperazione dopo il siluramento governativo di Montezemolo.

Lo scoglio Albanese. Se il presidente Ferrari, già titubante di suo, si è dovuto arrendere ai veti del ministro dell’Economia, timoroso di vedere coronata di successo un’operazione popolare affidata a un possibile rivale politico diretto, e anche alla mancanza di certezze sul finanziamento dell’operazione, più interessante è capire come sia tramontata l’ipotesi Alessandri. Fondatore a soli 22 anni del marchio Technogym, azienda presto diventata leader nel campo del wellness e della riabilitazione, Nerio Alessandri sarebbe stato l’uomo giusto al posto giusto. Relativamente giovane, giovanissimo per le abitudini italiane, oggi ha 49 anni, l’imprenditore romagnolo, dinamico ed efficiente, ha costruito nel corso degli anni una fantastica rete di relazioni con i massimi dirigenti dello sport mondiale. Technogym da Sydney 2000 è stata fornitore ufficiale di tutte le edizioni dei Giochi. Innumerevoli i rapporti con Comitati olimpici e Federazioni sportive nazionali e internazionali.

Il problema è che Alessandri voleva costruirsi una squadra tutta sua, mentre il presidente del Coni Petrucci poneva come condizione la nomina di Ernesto Albanese, quale direttore generale del Comitato promotore. Attuale amministratore delegato di Atahotels, Albanese è stato per sei anni alla guida di Coni Servizi spa, il braccio operativo del Comitato olimpico nazionale, diventando così l’uomo di fiducia del presidente. E di Albanese oggi Petrucci ha di nuovo bisogno per tenere sotto controllo la situazione. Anche perché il suo mandato si esaurirà all’indomani dei Giochi di Londra 2012 e, non essendo più rieleggibile, dovrà lasciare la poltrona sulla quale è seduto dal 1999, imperturbabile di fronte a qualsiasi scossa politica o d’altro genere lo potesse far traballare.

Nato democristiano, Petrucci morirà democristiano e da perfetto democristiano ha accompagnato, con impercettibili spostamenti, i governi di centrosinistra e centrodestra che si sono succeduti durante la sua era. Ora, a 65 anni, portati benissimo, deve decidere che cosa farà da grande. È tentato dalla politica, ma in questo caso sarebbe costretto a una scelta di campo che non gli si addice. E quindi ritiene che, in caso di successo della candidatura di Roma 2020, sarà comunque più facile sottrarre a Pescante, piuttosto che a Montezemolo o allo stesso Alessandri, la guida del Comitato organizzatore.

Ma il governo è scettico. Il problema è che, al di là delle generiche parole di sostegno al progetto pronunciate da Berlusconi agli stati generali della capitale, è l’intero governo a nutrire seri dubbi sull’opportunità dell’intera operazione. E non è un buon segno che alla presidenza del Comitato compatibilità e programmazione economica Tremonti abbia indicato un economista, Marco Fortis, di estrazione leghista. Di quella Lega cioè che non solo ritiene uno spreco stanziare denari pubblici per fare più bella Roma ladrona, ma che aveva tifato apertamente per la candidatura olimpica alternativa di Venezia. Risulta poi abbastanza incomprensibile come studi di compatibilità e programmazione economica non siano stati condotti prima, e non dopo, il varo del progetto. Di questo si era lamentato anche l’altro, e altrettanto se non più autorevole, membro Cio italiano, Franco Carraro, cui per questi motivi, e cioè per non farselo troppo nemico, è stato affidato il coordinamento dello studio di fattibilità.

Per dare un’idea delle cifre, Londra 2012 costerà una dozzina di miliardi, Roma conta di cavarsela con 9-10, ma ancora non sono stati reperiti neppure i 40-50 milioni necessari per promuovere la candidatura. Il sindaco Alemanno ora invoca una legge obiettivo e conoscendo i tempi parlamentari è facile pronosticare che non sarà poi così facile ottenerla. Anche perché l’opposizione, tagliata fin qui fuori da tutte le scelte operative, non ha ancora ben deciso come comportarsi. Non ha nemmeno indicato il vice-presidente che le è stato offerto.

Forza Corea. Eppure, nonostante si stia facendo di tutto per ripetere il clamoroso insuccesso del 2004, c’è una possibilità di farcela. Una possibilità che non dipende dalla forza intrinseca della candidatura. Ancora non si sa quali saranno le avversarie di Roma, Tokyo è considerata la più temibile. Ma la data da tenere d’occhio è il prossimo 6 luglio. Quel giorno a Durban si sceglierà la sede dei Giochi invernali 2018: se vinceranno Monaco o Annecy la strada si farebbe ancor più in salita, ma se, come possibile, la spunterà la sudcoreana PyeongChang, allora diventerebbe difficile per il Cio, dopo una sudamericana (Rio 2016) e un’asiatica, non scegliere una città europea per il 2020.

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