L’immigrato? In America fa new economy

L’immigrato? In America fa new economy

La celebre canzone di Woody Guthrie degli anni ’40, This land is my land, this land is your land, rispolverata da Bruce Springsteen (e tanti altri prima di lui), ha sempre rappresentato un punto di vista tipicamente americano di accoglienza verso le masse dei nuovi immigranti. Ma l’atteggiamento americano verso l’immigrazione non è sempre stato positivo, e il tema è tornato con prepotenza al centro del dibattito politico ed economico. 

Il censimento del 2010 ha segnalato che la popolazione è aumentata in una decade di 27 milioni. Buona parte, secondo alcuni studi oltre la metà, di questo aumento è legato all’immigrazione. La crescita ha rinfocolato i sospetti verso i nuovi immigrati, accusati di abbassare i salari e aggravare i costi sociali di educazione e sanità – un cavallo di battaglia particolarmente caro a molti politici repubblicani. Ma un recente studio del Brookings institution mette in luce come l’afflusso di lavoratori stranieri, piu o meno qualificati, porti energie e dinamismo di cui beneficia anche la popolazione nativa. Secondo le stime più recenti, a fine 2009, gli emigranti (ossia i nati senza la cittadinanza) erano 38,5 milioni di persone, ossia circa il 12,5% del totale. Si tratta di un valore alto, non molto distante dal massimo storico del 14,8% del 1890. Dopo un declino storico che aveva portato questa percentuale al 4,7% negli anni ’70, l’immigrazione è tornata a crescere da quel decennio grazie a flussi di persone provenienti dall’Asia e dall’America Latina. 

Nel 1990 la percentuale di immigrati era risalita al 7,9% e nel 2000 all’11,1%. Il trend è probabilmente rallentato dopo la crisi economica del 2008, ma la tendenza storica resta al rialzo. Anche perché, ai 38 milioni di immigrati regolari, se ne aggiungono almeno altri 11 milioni di illegali. «Senza un cambiamento della politica relativa all’immigrazione, c’è da prevedere che ogni decennio la popolazione aumenti di circa 30 milioni di nuovi residenti e questo significa costruire e pagare 8mila nuove scuole, sviluppare terra per 11,5 milioni di nuove abitazioni e strade per 23,6 milioni di veicoli extra ogni dieci anni», scrive sul proprio sito il Center for Immigration Studies, l’organizzazione che si occupa di politiche restrittive per l’immigrazione. 

A inizio anno, un gruppo di repubblicani guidati da Daryl Metcalfe, un membro del Parlamento della Pennsylvania, ha lanciato la proposta – che sarà probabilmente presentata in almeno una decina di stati – di abolire il principio costituzionale secondo il quale i figli degli immigrati illegali hanno diritto alla cittadinanza. Lo ius solis risale ai tempi successivi alla guerra civile, quando era stato concepito come un modo per riconoscere la cittadinanza ai figli degli schiavi. Secondo Metcalfe, «L’obiettivo è di ritornare alle origini del principio, oggi travisato a tal punto da incoraggiare gli immigrati illegali a passare il confine: fenomeno che costa ai contribuenti 113 miliardi di dollari all’anno, 1.117 per ogni individuo». 

Dato che lo ius solis è garantito dal XIV emendamento della Costituzione, la proposta di legge (già presentata in Indiana e Arizona), è di fatto una provocazione che punta ad arrivare alla Corte Suprema, per costringerla a pronunciarsi sul tema. Ma a fronte di queste voci anti-immigrati, altre si levano per ricordare l’importante contributo economico che l’immigrazione porta al paese. Secondo uno studio che l’US Bureau of Labor Statistics and Census Bureau ha preparato per Reuters nel 2008 e 2009, pur nel mezzo di una crisi economica e finanziaria che ha spinto il tasso di disoccupazione vicino al 10%, circa 1,1 milioni di lavoratori immigrati hanno trovato lavoro. Questi, più o meno qualificati, di fatto rispondono a diverse esigenze del mercato del lavoro che non sempre i locali sono in grado di soddisfare. Sono inoltre tendenzialmente piu mobili.

La mobilità territoriale storicamente connaturata agli statunitensi è stata in molti casi ridotta dalla crisi del mercato immobiliare. Infatti il calo del costo delle abitazioni ha contribuito a bloccare gli spostamenti, perché, spesso, il mutuo da rimborsare alla banca è diventato piu alto del valore a cui si riesce a vendere. Anche quando non si arriva a tali estremismi, non sempre è facile, per una famiglia, trovare il contante necessario (il cui valore è aumentato a causa della stretta creditizia) per acquistare una nuova abitazione. Tutto ciò ha reso il mercato del lavoro meno mobile, contribuendo ad aumentare il tasso strutturale di disoccupazione. Ma non è solo la maggiore mobilità a contraddistinguere il lavoro degli immigrati. 

Secondo una ricerca pubblicata di recente dalla Brookings Institution– uno dei piu antichi think thank di Washington – il contributo degli immigrati al prodotto interno lordo USA è pari a 37 miliardi di dollari all’anno. Oltre un quarto delle nuove attività, avviate tra il 1995 e il 2005 nel campo delle nuove tecnologie e dell’ingegneria, registrano almeno un immigrato tra i soci fondatori. Nel 2005 le società fondate da loro hanno riportato un fatturato di 52 miliardi di dollari Usa con oltre 450.000 lavoratori. «Gli economisti calcolano che, come risultato dell’immigrazione, oltre il 90% dei lavoratori con un diploma di scuola media superiore hanno avuto un aumento dei loro salari», dice lo studio che suggerisce una politica che agevoli l’immigrazione di lavoratori qualificati.

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