Con la morte di Joseph Comblin, avvenuta oggi a Salvador, nel Brasile settentrionale, la Chiesa perde uno dei suoi più stimati e controversi intellettuali e l’America Latina uno degli ultimi protagonisti della “teologia della liberazione”. Nato nel 1923 a Bruxelles, si era trasferito nel paese sudamericano nel 1958 e, da allora, la sua vita si era confusa con la storia della Chiesa e delle società sudamericane. Esponente della parte più progressista del clero brasiliano, assistente e amico del vescovo di Recife dom Helder Camara, che negli anni Sessanta l’aveva invitato a insegnare nella locale facoltà di teologia, Comblin fu protagonista di un clamoroso incidente nel 1968, quando venne denunciato da Plinio Correa de Oliveira, leader del movimento clerico-fascista “Tradizione, famiglia e proprietà”, come uno dei principali responsabili delle infiltrazioni marxiste nel clero brasiliano.
Formatosi nella prestigiosa Università cattolica di Lovanio, uno dei principali centri di riflessione teologica e sociale dell’Europa novecentesca, Comblin era entrato in contatto con gli ambienti più aperti del cattolicesimo francofono, conoscendo da vicino l’esperienza dei preti operai e gli insegnamenti della nouvelle théologie. Queste suggestioni giovanili, respirate in uno dei paesi più liberi e avanzati dell’Europa occidentale, avrebbero continuato a influenzare la sua opera in Sud America, ove egli si recò in risposta a un appello di Pio XII, che aveva invitato i giovani sacerdoti europei a recarsi nel continente.
La formazione aperta, e attenta ai problemi sociali imposti dalla modernità, e la diretta conoscenza dell’enorme sperequazione economica esistente nei paesi latinoamericani, contribuirono a determinare l’adesione del sacerdote belga alle posizioni più radicali, sviluppatesi in seno al clero brasiliano. Egli abbracciò, infatti, una visione del cristianesimo come fede incarnata nel vissuto quotidiano, che era propria anche dei coevi movimenti europei del “dissenso”. Questa concezione si basava sulla rivalutazione della vita di tutti i giorni e su una fedeltà al vangelo da vivere quotidianamente all’interno della propria esistenza, in contrapposizione ai tradizionali modelli eroici di santità. Strettamente legata a una simile visione era la coscienza della necessità di un profondo rinnovamento sociale e civile dei paesi latinoamericani, a vantaggio dei diseredati e delle frange marginali della popolazione.
Questa opzione “per i poveri”, che caratterizzò l’atteggiamento delle Chiese e degli episcopati dell’America del Sud, tra la seconda metà degli anni Sessanta e il decennio successivo, pose Comblin in diretta antitesi con i regimi militari che allora dominavano il continente, che di quell’iniquo ordine erano i guardiani e i garanti, contro cui scrisse il significativo L’ideologia della seconda nazione: il potere militare nell’America Latina. Per le sue posizioni sociali ed ecclesiali e per l’aperta denuncia dell’autoritarismo dei regimi militari, il sacerdote venne allontanato dal Brasile nel 1972 e dal Cile, ove si era rifugiato, alcuni anni dopo. Nel 1976, infine, subì anche un breve arresto in Equador, accusato di destabilizzare l’ordine sociale ed economico del paese andino.
Negli ultimi anni, Comblin, pur essendo apprezzato per le sue doti intellettuali e per il personale disinteresse, appariva un corpo estraneo all’interno della Chiesa brasiliana. In un continente in cui, per far fronte ai crescenti proseliti dei movimenti pentecostali di derivazione statunitense, la Chiesa cattolica ha fatto un crescente uso dello strumento televisivo e dell’affidamento ai gruppi carismatici, il rigoroso attaccamento del sacerdote belga all’insegnamento evangelico, sembrava appartenere a un’altra epoca. Egli stesso ne era consapevole e non nascondeva la sua amarezza.
In un’intervista concessa nel dicembre 1998 a “Jesus”, mostrava, infatti, il proprio disappunto per una Chiesa preoccupata più di mostrare una compattezza formale ed esteriore, che non di ricercare le ragioni ultime dell’insegnamento cristiano nello spirito evangelico. Un’istituzione trionfante e riverita, ma sempre meno ascoltata, che mentre marginalizzava l’esperienza delle comunità di base laicali, nelle quali Comblin era molto impegnato, non rifiutava il pericoloso abbraccio dei potenti, nell’illusorio tentativo di ricompattarsi contro i pericoli esterni.