Usano la legge sugli stadi per sottrarre soldi agli stadi. E’ l’ultimo paradosso dei presidenti delle squadre di calcio italiane. Da anni chiedono uno strumento legislativo che consenta di aiutare a risalire la china rispetto ai concorrenti europei dotati di impianti nuovi, funzionali, comodi, sicuri e di proprietà, e poi si inseriscono nelle pieghe del dibattito parlamentare per risolvere le loro beghe che girano sempre attorno al solito nodo: come spartirsi la torta dei diritti televisivi.
Domani, martedì 8, si riunisce di nuovo la Commissione cultura della Camera dove da mesi giace la proposta di legge «per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi», già approvata dal Senato: sul tavolo ci sono oltre 30 emendamenti all’ultimo testo rielaborato da un comitato ristretto. Si è molto discusso della formula «fatta salva la normativa vigente in materia di vincoli storico, artistico-architettonici, archeologici e idrogeologici», che i presidenti vorrebbero eliminare con l’appoggio di Pdl e Fli (sì, allo stadio Fini sta con Berlusconi) e l’opposizione di Pd, Udc, Idv e, udite udite, Lega. Ma c’è un altro passaggio su cui si sta litigando.
Le legge Melandri che ha reintrodotto la commercializzazione centralizzata dei diritti televisivi stabilisce che il 6% dei ricavi globali sia destinato alle categorie calcistiche inferiori (Serie B, Lega Pro e Dilettanti) e riserva il 4% «allo sviluppo dei settori giovanili, al sostegno degli investimenti per la sicurezza, anche infrastrutturale, degli impianti sportivi, e al finanziamento di almeno due progetti per anno finalizzati a sostenere discipline sportive diverse da quelle calcistiche». A questo scopo istituisce una Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre e dispone che fino alla stagione 2015-2016 parte rilevante della quota a sua disposizione sia riservata dalla Fondazione a un programma straordinario per l’impiantistica sportiva. Cioè anche per gli stadi.
Peccato che nel testo in discussione della nuova legge sugli stadi sia stato inserito un articolo per cancellare tutto ciò, che si intitola «modifiche al sistema di ridistribuzione delle risorse assicurate dal mercato dei diritti audiovisivi». Nell’ultima versione prevede: alla mutualità generale (e quindi anche ai programmi per l’impiantistica) va attribuito non più il 4% ma lo 0,5%; alla Serie B il 7,5%, alla Lega Pro (ex Serie C) l’1,2% e ai Dilettanti lo 0,8%. Su queste cifre ci si accapiglia ancora: non per restituire agli stadi il maltolto, ma per rivedere le quote destinate alle varie Leghe calcistiche. Particolarmente attivo il presidente della Lega Pro Macalli che ha suggerito al Pd un emendamento che forse sarebbe il minore dei mali. E cioè riservare alla Federcalcio, che in fondo dovrebbe governare tutto il calcio italiano, di stabilire a ogni rinnovo di contratto come ripartire l’intero 10% destinato alla mutualità.
Al momento, sembra difficile che la legge sugli stadi vada in porto in tempi brevi: alla Camera quasi certamente finirà in Aula e poi dovrà tornare al Senato. Ma se fosse approvata così come è stata congegnata andrebbe appunto a finire che la legge sugli stadi toglierebbe agli stadi quelle risorse finanziarie che erano state garantite dalla legge sui diritti tv. Un pasticcio all’italiana.