Nel mondo italiano degli affari è verità riconosciuta che un imprenditore provvisto di amici in banca abbia trovato molto più di un tesoro. Perché spesso, avendo una sponda solida negli istituti di credito, si riesce a conservare il controllo dell’impresa ottenendo nuovo credito, nonostante i risultati suggerirebbero altre soluzioni.
È questo lo schema-tipo dell’affare che martedì 22 marzo, l’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni – probabilmente coadiuvato da Piergiorgio Peluso, responsabile per l’Italia del corporate banking (la divisione dedicata alle grandi imprese) – proporrà al consiglio di amministrazione di Piazza Cordusio. Sul tavolo c’è il salvataggio dei Ligresti, la famiglia di costruttori siculo-milanese, che dal 2002 ha in mano la maggioranza relativa (41%) delle assicurazioni Fondiaria-Sai. Una filiera verso cui Unicredit ha un’esposizione che, stando alle diverse ricostruzioni, oscilla fra 300 e 400 milioni di euro (la banca non ha finora dato cifre ufficiali).
Indiscrezioni fin qui circolate, e non smentite dalla banca, indicano che l’esborso a titolo di capitale che Unicredit potrebbe essere chiamata a versare nelle casse della filiera Ligresti dovrebbe oscillare fra 160 e 180 milioni. Cui si aggiungerebbero altri 25-35 milioni a titolo di prestito verso Sinergia (società a monte della filiera). Dei 160-180 milioni, però, solo una parte finirebbe direttamente nelle casse di Fondiaria-Sai, bisognosa di una massiccia iniezione di mezzi freschi per contrastare la perdita di solidità dovuta alle scelte fatte in questi anni dai Ligresti. Il grosso (stimabile fra 110 e 115 milioni) andrebbe infatti alla Premafin, la holding quotata con cui la famiglia controlla la compagnia assicurativa, in cambio dei “diritti d’opzione” per sottoscrivere l’aumento di Fondiaria.
Così facendo, Premafin avrebbe liquidità a sufficienza per sottoscrivere una parte dell’aumento di capitale della controllata, già stabilito a 460 milioni, mantenendo però una quota di controllo prossima al 33% (contro l’attuale 41%). Di contro, dopo avere comprato i “diritti”, la banca di Piazza Cordusio avrebbe titolo a partecipare all’aumento di capitale versando nelle casse di Fondiaria-Sai circa 60 milioni in cambio di una quota attesa fra il 6,5% e l’8% del capitale post-aumento. Le cifre esatte dipenderanno dal prezzo a cui sarà deciso l’aumento Fon-Sai, e quindi anche dal prezzo di Borsa del titolo (che ieri ha chiuso in calo del 3,7% a 6,7 euro). Ma il criterio su cui è poggia l’impianto dell’operazione è di garantire alla Premafin una quota di controllo del 33%, sopra la soglia d’Opa. Ne discende che i diritti d’opzione sarebbero pagati a un prezzo più che doppio rispetto al valore teorico (ipotizzando il prezzo delle nuove azioni a 3,3 euro, i diritti verrebbero acquistati a 5,5 euro contro un valore teorico di 1,76). Per Unicredit vorrebbe dire sborsare circa 10 euro per ogni nuova azione contro un valore teorico (Terp) compreso tra 4,9 e 5,22 euro. Nei patti potrebbe poi esserci una clausola di “earn out”, un correttivo del prezzo a favori della banca, qualora in futuro le quotazioni di Fondiaria-Sai dovessero recuperare oltre un certo livello prefissato.
Resta da vedere se il cda darà il via libera all’operazione. Fondiaria-Sai è infatti socia di Unicredit con una quota dello 0,32% e il capofamiglia, l’ingegnere Salvatore Ligresti, è un amministratore della banca. E dopo i grandi scandali del passato (da Cirio a Parmalat), la Legge sul risparmio ha allargato le procedure prevista dall’articolo 136 del Testo unico bancario a qualsiasi credito o compravendita conclusi con un amministratore o con società a esso riconducibile. Perciò domattina Ghizzoni e Peluso dovranno scoprire le carte di fronte ad amministratori e sindaci, e qualche dubbio trapela.
Tecnicamente ci troviamo di fronte a un’operazione tra parti correlate. Perché sia deliberata, è indispensabile il voto favorevole e unanime del cda, compresi i consiglieri indipendenti, e di tutti i componenti del collegio sindacale. «Siamo i principali creditori della filiera dell’ingegnere, dalle società personali a Premafin-Fondaria-Sai, è interesse comune dei creditori e dell’impresa una gestione più efficiente e un azionista rigoroso», ha dichiarato al Corriere della Sera Fabrizio Palenzona, vicepresidente della banca. Rispetto ai tempi ormai lontani della Mediobanca di Enrico Cuccia, il banchiere che salvava le imprese mettendo in un angolo le famiglie che avevano mal gestito l’azienda (dal caso Romiti in Fiat a Enrico Bondi in Montedison), c’è indubbiamente un’evoluzione: si aiutano le imprese per salvare gli azionisti di controllo, in un’ottica di conservazione dello statu quo. Ma Palenzona non ha dubbi: «È una buona operazione», ha confermato alla Reuters.
Secondo il Sole 24 Ore, al 31 dicembre 2010 sulle società che direttamente o indirettamente fanno capo alla famiglia Ligresti pesano 2 miliardi di debiti verso le banche. Di questi, 1,9 miliardi afferiscono alla filiera assicurativa, cioè la holding Premafin e le controllate Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni. Nei primi nove mesi del 2010, il risultato consolidato di Premafin è stato negativo per 457 milioni, mentre Fondiaria-Sai ha registrato un rosso di 430 milioni (391 milioni del 2009), che secondo alcune fonti finanziarie potrebbe arrivare a sfiorare 1 miliardo di euro, a causa di accantonamenti e svalutazioni da impairment test (un’analisi su avviamento e altre immobilizzazioni per verificare la valutazione indicata in bilancio). I conti saranno approvati il 23 marzo, e ci si attende anche l’annuncio di un aumento di capitale su Milano Assicurazioni (300 milioni) in aggiunta a quello da 460 milioni per Fon-Sai.
Le perdite hanno ridotto al minimo i livelli di solidità della compagnia. Il margine di solvibilità (cioè il patrimonio libero in eccedenza rispetto agli impegni assunti verso gli assicurati) è sempre più vicino alla soglia minima richiesta dall’Isvap, l’autorità di vigilanza del settore. L’indice di solvibilità di Fondiaria-Sai (cioè il rapporto fra margine di solvibilità effettivo e margine di solvibilità richiesto dall’Isvap) è sceso dal 129% del 2009 al 109% dello scorso settembre. Secondo la stessa compagnia, «tenuto conto dell’evoluzione della gestione ordinaria, si stima un’ulteriore riduzione dell’eccedenza, con un rapporto di copertura comunque superiore al 100 per cento». Siamo in zona allarme rosso, insomma, e l’agenzia di rating S&P ha ridotto il giudizio di affidabilità da BBB a BBB-, ovvero l’ultima soglia prima della categoria speculativa o “junk” (spazzatura).
La situazione è grave, ma corre il rischia di non essere seria. «Se proprio dobbiamo fare un’operazione di sistema – osservava ieri un amministratore della banca – meglio rilevare le partecipazioni sensibili detenute dalla filiera Ligresti (Rcs, Mediobanca, Pirelli, ndr)». Anche perché se a fronte della generosità mostrata verso il socio-cliente-amministratore la banca chiederà delle contropartite sul governo societario (si parla dell’indicazione del direttore generale e di consiglieri di fiducia della banca), c’è pure il concreto pericolo che la Consob di Giuseppe Vegas, già molto dura sul precedente accordo fra Ligresti e Groupama, intravveda un cambiamento del controllo in Fondiaria-Sai. Con il conseguente obbligo di Opa.