Come nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati siamo appostati in attesa dell’esodo di migranti dal Nord Africa dopo l’ondata di rivolte popolari partita dalla Tunisia, infrantasi in Egitto e rifluita con altrettanta forza in Libia.
È quest’ultima, in particolare, a preoccupare. La questione, se c’è una questione, è ben nota. I porti Libici sono stati negli ultimi anni importanti punti di partenza del tratto finale della migrazione clandestina verso l’Italia. Il governo Berlusconi è riuscito a ridurre il flusso da questi porti firmando un “trattato di amicizia” con Gheddafi nel 2008. Sorvoliamo sul costo di questa operazione diplomatica, sia in termini di immagine internazionale (bacetti al dittatore, e la capitale concessa per qualche giorno come parco dei divertimenti dello stesso) sia in termini di denaro pubblico. Per esempio, nel “trattato di amicizia” il governo italiano ha stanziato 200 milioni di dollari all’anno per 25 anni per placare l’ira di Gheddafi e convincerlo a fermare i motori dei trafficanti di persone che fanno affari nei suoi porti. Non è difficile immaginare usi alternativi di queste ingenti risorse pubbliche (fate voi la somma, scontando appropriatamente le somme future) per migliorare il controllo delle frontiere marine (lotta al racket), per migliorare il sistema di ricezione di coloro che ricercano asilo (centri di accoglienza), per riportare a casa chi non ha diritto ad asilo politico (rimpatri) o per co-finanziare operazioni umanitarie nelle aree di crisi (prevenzione). Il primo marzo il governo italiano si è finalmente mosso e ha iniziato a fare almeno questa quarta cosa alla frontiera tra Libia e Tunisia.
Comunque sia, il punto è che adesso il “tappo” è saltato a causa sia del caos sia del fatto che secondo la migliore tradizione nazionale l’Italia ha voltato la gabbana e ha dichiarato sospeso il “trattato di amicizia”. Ma si trattano così gli amici? Vabbè, dobbiamo essere comprensivi qui. Forse hanno pensato che non è saggio essere ancora amici di Gheddafi mentre sta per arrivare un altro a prendere il suo posto. O forse si sono accorti che il trattato includeva anche imbarazzanti clausole in materia di difese strategiche non esattamente favorevoli alla politica estera dei partners europei e degli Usa. Comunque sia, torniamo al punto: saltato il “tappo” si teme la ripresa massiccia dei flussi migratori dalla Libia verso le coste italiane, rinforzati da cittadini nordafricani in cerca di protezione internazionale.
Quanti saranno? Il ministro della difesa La Russa, la settimana scorsa, ha parlato di “migrazioni bibliche”: ci sono 2,5 milioni di lavoratori stranieri in Libia, ragionava il ministro, e “una percentuale” di questi arriverà verosimilmente in Italia. Questa percentuale sconosciuta con la quale il ministro si scervella oscilla tra 0% e 100%, naturalmente. Non molto utile, davvero. Possiamo infatti aumentare a piacere il numero di potenziali migranti a 25 o anche 250 milioni abbassare corrispondentemente questa percentuale, e così impressionare sempre di più lo sbigottito interlocutore mentre si ottiene lo stesso risultato in termini di arrivi attesi. Pochi giorni dopo il ministro dell’Interno Maroni ridimensionava: c’è il rischio che vadano via dalla Libia un milione e mezzo di persone. A farle venire tutte in Italia, possiamo calcolare, ci vorrebbero circa 8000 barconi da 200 persone l’uno. Al suo apice, nell’agosto del 1945, la marina degli Stati Uniti d’America disponeva di poco meno di 7000 navi. Immaginatevi che traffico tra la Libia e la Sicilia! Non verranno tutti in Italia, certo.
Infatti la strangrande maggioranza di questi, se lasciano la Libia se ne tornano a casa propria. Ma allora cosa li spariamo a fare questi numeri sui milioni di migranti? Siamo cosi’ arrivati alla cifra ufficiale, stabilita dal ministro Maroni in 50mila migranti attesi dalla Libia, e dal Nord Africa in generale. Ma questo numero, 50mila, da dove viene fuori? È ragionevole? Il Ministero dell’Interno ci informa che dal 2005 al 2007 sono sbarcati in Italia poco più di 20mila clandestini all’anno. Nel 2008 furono 37mila, un’anomalia rispetto agli anni precedenti. Nel 2009, anno di ratifica del “trattato di amicizia”, furono poco meno di 10mila, cioè la metà del periodo 2005-2007 e poco più di un quarto del livello anomalo del 2008. Cosa ci fa pensare che il flusso possa essere più del doppio di quello “normale” degli anni dal 2005 al 2007? Forse potrebbe esserci un po’ più di domanda a causa della ricerca di protezione internazionale da parte di cittadini libici che altrimenti sarebbero rimasti ben volentieri a casa propria.
Ma le condizioni del mercato del trasporto clandestino non sono certo le stesse di prima. Se la domanda aumenta così tanto e il numero di motoscafi e barconi utilizzabili è poco flessibile, il prezzo del viaggio aumenta. Inoltre, il prezzo aumenta anche perché gli scafisti corrono più rischi. Se ci sono i mercenari che sparano addosso alla gente, allora spareranno anche addosso a loro. Oppure questi mercenari approfitteranno del caos per estorcere denaro ai trafficanti di persone in cambio di un po’ di protezione del loro business. Questa “tassa” verrà sommata al prezzo del viaggio. Inoltre aumenta, per le stesse ragioni, il rischio dei potenziali migranti. Tutte queste cose, presumibilmente, faranno diminuire, non aumentare, la migrazione clandestina dalla Libia rispetto al livello degli anni precedenti al “trattato di amicizia”. Arriveranno barconi, certo, magari dalla Tunisia da dove oggi è più facile partire, come è successo oggi e come è succcesso nei mesi e anni precedenti. Ma piuttosto che fissare ossessivamente il Mediterraneo come fosse il deserto dei Tartari e piagnucolare perché l’Europa accorra in aiuto, un governo serio farebbe bene a cogliere i segni dei tempi e ripensare radicalmente la propria politica estera e quella dell’immigrazione.