Nichi sbarca in Piazza Affari ma nessuno se ne accorge

Nichi sbarca in Piazza Affari ma nessuno se ne accorge

Presidente, cosa pensa della questione Parmalat? Fa bene il governo a intervenire?
«Fammi un’altra domanda, poi ti rispondo».
Perché? «Perché devo seguire il dibattito, Mucchetti mi sta guardando male dal palco».
Insisto, due domande dopo. Parmalat? «Mandami le domande scritte, così ho modo di studiarle per bene».
Nichi Vendola è a Milano per un’iniziativa organizzata dalle sue fabbriche: «C’è un’Italia migliore – la fabbrica dell’economia». Parla a Linkiesta seduto su una sedia della prima fila di una sala (non affollata, a dir la verità) al pianoterra di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, in piazza Affari. Cravatta arlecchinata su camicia bianca, abito nero, scarpe da ginnastica scure, orecchino d’ordinanza e una fede d’oro indossata con disinvoltura sul pollice della mano destra. Ha portato qui, nella capitale economica d’Italia, una giornata di dibattiti su economia, sviluppo, ricerca, innovazione.

Un po’ per sostegno al candidato sindaco di Milano Giuliano Pisapia, un po’ perché scalda i motori per occupare lo spazio che la politica italiana aprirà, inevitabilmente, nel “dopo Berlusconi”. Le tre tavole economiche intendono occuparsi di imprese, economia e lavoro: «L’Italia che produce e innova al tempo della crisi economica», si legge nella brochure. Chi c’è? Diverse personalità dell’economia progressista. Carlo Petrini, presidente di Slow Food; l’economista Tito Boeri; Pierluigi Celli, direttore della Luiss (quello che – in una lettera inviata a Repubblica – invitava i giovani ad andarsene dall’Italia per mancanza di opportunità di lavoro), Marina Salomon, imprenditrice; Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia. La mattinata si è spesa, in realtà, in repliche e rilanci di agenzia tra Vendola e Formigoni. L’uno ha accusato il presidente ciellino di non essersi accorto che la Lombardia è in mano all’ndrangheta («Lui non è mai convocato a dire una parola sul fatto che le Asl lombarde sono ’ndranghetizzate? Che uno dei capi dell’ndrangheta era il direttore generale che lui aveva scelto per dirigere un’Asl?), l’altro – con eleganza – ha replicato che il governatore pugliese è un “miserabile” e fa uso di “sostanze”. E giù botte verbali sulle agenzie fino all’ora di pranzo.

In realtà la giornata si apre con una notizia: secondo un report della Reuters, Marchionne intenderebbe spostare la sede legale di Fiat a Detroit. Bene. Si parla di economia, giusto? Domanda: Presidente, che ne pensa dell’indiscrezione? «Sarebbe la conferma di ciò che molti hanno paventato e cioè che il progetto di Marchionne non si muove verso un’internazionalizzazione della Fiat, quanto verso l’acquisizione da parte del gruppo Chrisler». Ah. Ma, riguardo la notizia, trova sia una cosa buona? «No», secco.
Procediamo. Poiché la sala non è affollatissima (la sera prima dell’evento, sul sito, si comunicavano molti posti ancora disponibili), e il pubblico pare composto più da vecchi comunisti che imprenditori, una domanda è obbligata: Presidente, a suo avviso non era meglio portare più esponenti dell’Italia che produce, per esempio dal Nordest? Segue occhiata incenerente: «Guarda che il Nordest è la parte ingannata dal berlusconismo. A Vicenza e a Torino, nelle sedi di Confindustria, sono stato accolto con entusiasmo. Anche da Cota e Zaia».

Sì. Ma perché qui non ce n’è neppure uno, di esponente, di questo pezzo d’Italia ingannata? Niente. Altra domanda: Crede che sia meglio una politica di interventismo statale nelle questioni relative alle decisioni economiche di un Paese, o predilige una linea di maggiore liberismo? Risposta: «Lo Stato interviene in tutto il mondo con ammortizzatori sociali per le oligarchie. Non si capisce perché l’idea che governa il mondo sia la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti». Cioè? Non c’è tempo per spiegare: tre del suo staff mi intimano di concludere l’intervista sbocconcellata tra una pausa e l’altra.
La mattina, nell’intervento di Carlo Petrini sulle politiche agricole, si parlava di «Sud del mondo», «vitigni», «problemi di obesità infantile nel Sud Italia», e della scomparsa della parola «contadino». Il sostantivo «imprenditore agricolo» veniva rievocato più come una parolaccia, che una promessa. Il mercato, invece, puntellava il discorso non in senso finanziario, ma nella sua accezione alimentare.
Chiedo a Ed, il compagno (grafico) di Nichi Vendola che lo segue nell’organizzazione delle Fabbriche (di questo evento ha curato l’allestimento), se non fosse stato meglio coinvolgere nel progetto più imprenditoria locale. «Ma c’è Marina Salomon», mi risponde, «e poi noi abbiamo chiamato gente già attiva nelle Fabbriche di Nichi qui a Milano. Questo è comunque solo un esperimento. Faremo altri incontri nel resto d’Italia su altri temi: penso all’acqua pubblica e al nucleare, ma è tutto ancora da definire».

Tra una dichiarazione sulla guerra in Libia e un’altra sugli sbarchi a Lampedusa, viene da sussurrare a taccuino chiuso una domanda milanese a Vendola seduto in prima fila: «Ma ce la fate qui a Milano? Certo che la questione Pisapia sulla casa del Pio Albergo Trivulzio ha creato molto malcontento nell’elettorato di sinistra». «È stata una cazzata. Poi è esplosa la faccenda Batman, sulla casa del figlio della Moratti e la gente se n’è un po’ scordata e se l’è presa di nuovo con loro». 

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