Non c’è una linea comune, figuriamoci l’esercito europeo

Non c’è una linea comune, figuriamoci l’esercito europeo

Mentre i jet europei sono in azione in Libia, a Bruxelles ancora una volta resta una profonda diversità di vedute, almeno sull’aspetto militare. Soprattutto qualcuno si chiede: che fine ha fatto il sogno di un “esercito europeo”, solo pochi mesi fa rilanciato dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini e dal collega tedesco Guido Westerwelle, e poi da Silvio Berlusconi a dicembre al summit di Bruxelles?

Il nuovo trattato di Lisbona rafforza nettamente le possibilità della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc), prevedendo lo sviluppo di una “capacità operativa” dell’Ue. È l’ultima tappa di un processo iniziato nel 1998, con la storica dichiarazione franco-britannica di Saint Malo. Peccato che, complici oltretutto i pesanti tagli ai bilanci militari anche nelle due nazioni Ue militarmente più forti, Francia e Gran Bretagna (da sole la metà del bilancio militare dei 27 paesi Ue), almeno per ora l’“esercito europeo” resti in realtà un miraggio lontano, su questo a Bruxelles concordano un po’ tutti. Basta ascoltare lo sfogo, lo scorso 17 gennaio, dell’allora capo di Stato maggiore italiano, generale Vincenzo Camporini. «L’esercito europeo – ha dichiarato – tecnicamente è pronto da anni ma se non c’è una volontà politica di procedere verso una progressiva integrazione non facciamo passi in avanti». E nel corso di un incontro con i colleghi Ue a Gand, in Belgio, lo scorso settembre, l’allora ministro della Difesa francese Hervé Morin avvertiva che «al passo a cui stiamo andando, rischiamo che l’Europa diventi progressivamente un protettorato (…) sotto il dominio di Cina e America».

Il quadro in effetti non è certo roseo. Un po’ ovunque si nota un calo negli sforzi di riforma e rilancio delle forze armate, i bilanci si contraggono. A livello Ue, mentre si fa un gran parlare di “mettere in comune le risorse”, anche per risparmiare, spiega Clara Marina ‘O Donnell, esperta di difesa europea al think-tank londinese Centre for Europe Reform (Cer), «ancora l’80% delle gare d’appalto militari sono strettamente nazionali, mentre solo tra il 3 il 5% delle truppe sono effettivamente impiegabili con rapidità». Non che manchino alcuni esempi positivi, come il comando europeo congiunto per il trasporto aereo militare, inaugurato a settembre e Eindhoven, in Olanda. O come le missioni targate Psdc (in totale una ventina) come la Atalanta contro i pirati somali, la Eumm in Georgia o la Althea in Bosnia. Non mancano neppure strutture già operative, primo fra tutti l’Eurocorps forte di circa 1.000 militari con base a Strasburgo, cui partecipano Germania, Francia, Belgio, Spagna e Lussemburgo (ma non l’Italia).

Solo che tutto questo non basta certo a parlare di un qualcosa che possa davvero prefigurare un “esercito europeo”. L’Eurocorps, ad esempio, da qualcuno visto come “embrione” di un esercito europeo, ha il grave handicap di essere “boicottato” dalla Gran Bretagna, senza la quale una vera politica militare europea è impensabile. Proprio Londra è uno dei problemi principali, non solo a causa del cambio della guardia a Downing Street. «I britannici – dice ancora ‘O Donnell – sono sempre più frustrati con molti paesi europei, a cominciare da grandi come la Germania, che rifiuta missioni rischiose».

È il caso del no tedesco all’impegno in combattimenti attivi nel sud dell’Afghanistan e, da ultimo, dell’“astensione” tedesca all’intervento in Libia. Così lo slancio dimostrato nel 1998 da Tony Blair, si è esaurito, Londra si è progressivamente ritirata dalla politica europea di difesa e punta ormai esclusivamente sulle intese bilaterali, soprattutto con la Francia e altri paesi definiti “prioritari” (anzitutto la Danimarca e, fuori dall’Ue, Turchia e Norvegia). Come l’accordo siglato il 2 novembre 2010 a Londra da Nicolas Sarkozy e David Cameron, che prevede oltre all’integrazione delle capacità aeronavali e di dissuasione nucleare anche la creazione di una forza congiunta di 6.500 soldati.

Qualcuno ha voluto vedere l’ennesimo “embrione” dell’esercito europeo, ma a gelare le speranze ci ha pensato il segretario alla Difesa britannico Liam Fox: «non è un passo avanti verso l’esercito europeo – ha detto secco – al quale ci opponiamo. È sempre stata mia convinzione che la difesa debba restare una questione sovrana e dunque intergovernativa». Pochi mesi prima, in occasione del lancio della brigata congiunta di alpini italo-francese, il 12 aprile 2010, Frattini aveva parlato a sua volta proprio di un «passo avanti verso l’esercito europeo», quello contro cui ha tuonato il britannico Fox. «Il fatto è – dice un diplomatico europeo che non vuole comparire – che all’esercito europeo e alla difesa comune, nonostante le chiacchiere, ci credono sempre in meno in Europa». Con buona pace delle crisi che circondano i Ventisette. 

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