Pechino torna in deficit e spaventa gli Usa

Pechino torna in deficit e spaventa gli Usa

La Cina dei record positivi a sorpresa mette a segno a febbraio il primo deficit della bilancia commerciale in 7 anni. Il tasso di crescita sia per le importazioni sia per le esportazioni si è allontanato molto dai livelli di gennaio. L’export è cresciuto del 2,4% rispetto a febbraio di un anno fa, e l’import del 19,4 per cento. Brusca frenata che ha portato la bilancia commerciale a un deficit di ben 7,3 miliardi di dollari, rispetto al surplus di gennaio pari a 6,5 miliardi.

Secondo gli esperti il fattore chiave dietro questo dato è l’anno lunare cinese che cade proprio a febbraio. Un mese caratterizzato da una forte crescita delle importazioni per far fronte ai festeggiamenti del capodanno. «Il fattore calendario tradizionalmente causa una fortissima riduzione dell’attività lavorativa e dunque delle esportazioni», sostiene il presidente di Osservatorio Asia Alberto Forchielli. Che sottolinea come un altro aspetto importante sia la crisi. La ripresa internazionale non parte, questo si traduce in un rallentamento dell’attività produttiva che colpisce l’economia cinese sui flussi in entrata e in uscita.

Il dato dunque potrebbe essere falsato ed è per questo che alcuni economisti affermano che sarebbe meglio considerare i primi due mesi dell’anno, non solo febbraio, per capire meglio il messaggio che si nasconde dietro questi numeri. Ting Lu di Merrill Lynch – Bank of America sostiene che accumulando i numeri di gennaio e febbraio le importazioni cinesi sono cresciute del 36%, le esportazioni del 26,3 per cento. Secondo l’economista la bilancia commerciale potrebbe rivedere un surplus nei prossimi mesi. Ma procedendo verso una sua ulteriore riduzione, come sta avvenendo da tre anni. Pur eccentriche rispetto al passato dunque, le statistiche di febbraio accelerano una tendenza. «Rappresentano l’accensione di una spia, più che un campanello d’allarme», continua Forchielli.

Infine, il rialzo delle quotazioni del greggio non aiuta. L’eventuale aumento di un dollaro a barile del prezzo del greggio potrebbe comportare una diminuzione del surplus commerciale cinese di 1,9 miliardi di dollari all’anno.

Attenzione però. Il dato, di primo impatto molto negativo, offre anche una chiave di lettura positiva. Casca infatti a fagiuolo nell’aiutare il governo cinese a respingere le pressioni internazionali su un apprezzamento della valuta locale, lo yuan. Richiesta che giunge periodicamente dal Segretario di Stato Usa Timothy Geithner, a causa dei massicci surplus accumulati negli anni dalla Cina. E che viene sempre rispedita al mittente. Anche perché il debito americano è sostenuto soprattutto dal Renminbi. Il dato di oggi potrebbe aiutare il premier Wen Jiabao a difendere la politica del governo cinese nel corso della conferenza stampa che  lunedì chiuderà a Pechino l’incontro annuale del Congresso nazionale del Partito comunista cinese. «È irragionevole pensare che lo yuan sia sottovalutato», ha affermato il ministro del Commercio cinese Chen Deming. «Le pressioni esterne per un apprezzamento dello yuan ora diminuiranno», gli fa eco Société Générale.

La Cina spesso è stata criticata per aver mantenuto artificialmente basso il valore dello yuan, dando così un vantaggio competitivo agli esportatori locali. E sebbene il deficit della bilancia commerciale potrebbe alleviare eccome le pressioni in tal senso, sarebbe nell’interesse della Cina lasciare fluttuare liberamente la propria valuta. Uno yuan più forte renderebbe le importazioni verso la Cina più economiche e aiuterebbe Pechino a centrare l’obiettivo principale: aumentare i consumi domestici, così come dichiarato nel nuovo Piano Quinquennale. Il dato di oggi potrebbe dunque significare che sarà come sempre Pechino, nel bene e nel male, a decidere la tempistica dell’apprezzamento della sua valuta. 

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