Dimessosi dalle Generali, ieri Cesare Geronzi ha lasciato la sede romana della compagnia, in Piazza Venezia, avendo in tasca un assegno di buona uscita da 16,6 milioni di euro. Un bonus che si aggiunge al compenso di 2,32 milioni per l’attività svolta dal 24 aprile al 31 dicembre 2010. Il suo incomodo per Trieste gli ha dunque fruttato 19 milioni di euro. Per il banchiere di Marino è un bis: nel 2007 aveva ricevuto un premio di ammontare analogo per la più che decennale carriera in Banca di Roma-Capitalia, conclusa trionfalmente con la vendita a caro prezzo dell’istituto al gruppo Unicredit. Solo che stavolta sono bastati poco meno di dodici mesi per fare lo stesso gruzzoletto.
«Una buonuscita di 20 milioni di euro equivalenti a oltre 50mila euro per ogni giorno di lavoro», ha subito calcolato Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista. Il calcolo è corretto ma la deduzione che fa porta fuori strada: «Se questo dato corrisponde al vero – ha detto ieri – ci troviamo di fronte a un vero e proprio insulto ai cittadini italiani che debbono vivere con stipendi da fame, una situazione vergognosa ed intollerabile, il Parlamento metta un tetto alle retribuzioni e ai premi ai manager».
Il Parlamento può infatti mettere un tetto alle retribuzioni per i manager pubblici, ma non ha alcun titolo per intervenire sulle imprese private, per di più quotate in Borsa: è un affare che tocca gli azionisti di queste società, tramite gli organi di rappresentanza.
Che cosa hanno fatto nello specifico questi organi? Della faccenda si è occupato il comitato remunerazione, l’organismo interno al cda che formula le proposte sui compensi. Alle Generali il comitato è presieduto dal consigliere Paolo Scaroni (l’amministratore delegato dell’Eni), da Lorenzo Pellicioli (in cda rappresenta il socio De Agostini) e da Leonardo Del Vecchio, che però si è dimesso il 21 febbraio. La trattativa sulla liquidazione del presidente è stata perciò gestita da Pellicioli, fra i più convinti sostenitori della cacciata del banchiere romano, e da Scaroni, che invece nella vicenda non si è esposto ma di fatto inclinava dalla parte di Geronzi.
La proposta di Scaroni e Pellicioli è stata quindi approvata dal cda: 16,6 milioni di euro. Come si è arrivati a questa somma? La compagnia non fornisce risposte, salvo ribadire che sono state rispettate le procedure. Qualche risposta si può arguire dalla relazione sulla governance: il compenso del presidente Geronzi è «fisso annuo per tutta la durata del mandato sulla base di un’analisi comparativa con figure analoghe nazionali e internazionali». Non solo. Negli accordi presi un anno fa fu contrattato «in caso di mancata conferma nel ruolo di presidente al termine del primo mandato, il riconoscimento di un’indennità pari a due annualità del compenso annuo lordo». Nel 2010, per poco più di otto mesi di servizio, il banchiere ha ricevuto 2.321.894 euro (benefit non monetari esclusi). Si può stimare che il compenso annuale lordo viaggi intorno a 3,3 milioni. Il bonus di 16,6 milioni sarebbe pari a circa 5 annualità. In sostanza, a Geronzi sono stati saldati i due anni mancanti alla scadenza del primo mandato triennale, come se avesse lavorato. Più altri due del mancato rinnovo. Più una quinta annualità che, in assenza di informazioni ufficiali, si può attribuire alla generosità dei vincitori.
«Generosità? Un affare piuttosto», ribatte una fonte vicina a un amministratore. Dalla chiusura di martedì 5 aprile, a 15,41 euro per azione, in due sedute Generali è tornata a 16,06 euro. Nel complesso, il valore di Borsa della società è aumentato di un miliardo di euro. Il rapporto costi-benefici «è positivo», con un ritorno di 60 volte sulla cifra spesa.
Per mettere la parola fine alla vicenda scesa «a livelli beceri», secondo le stesse parole di Geronzi, a questo punto manca un ultimo atto di trasparenza. L’assemblea della compagnia è fissata per il 30 aprile. Non sarebbe male se i vertici della società, senza bisogno di sollecitazione della Consob, integrassero la bozza di bilancio già pubblicata con tutti i dati sulla buona uscita di Geronzi. In una vicenda in cui i panni sporchi sono stati lavati in pubblico, con danno per gli azionisti della compagnia, trincerarsi dietro il rinvio al prossimo bilancio, fra un anno, sarebbe una beffa. Soprattutto in sede di prima applicazione della raccomandazione che Consob ha approvato poco più di un mese fa per garantire trasparenza sulle paghe accordate a manager e amministratori.