Assad si tiene la licenza di uccidere

Assad si tiene la licenza di uccidere

Con una mano firma, con l’altra uccide. Il presidente siriano Bashir al Assad mette in atto la sua strategia per contrastare le manifestazioni di piazza, che da settimane stanno infiammando il paese. Da un lato scende a compromessi, anche significativi, ma dall’altro alza il livello dello scontro con i rivoltosi. I disordini di ieri a Homs hanno lasciato 20 morti, secondo quanto riporta al Arabyia. Ad Aleppo, 35 studenti sono stati arrestati. Le proteste divampano in tutto il paese, da nord a sud: se le città portuali di Banias e Latakia sono assediate dall’esercito, a Daraa hanno sfilato 1000 studenti, e a Shahba, centro della religione drusa, almeno in 500. Il tutto, in attesa di domani, venerdì della rabbia, ma anche venerdì santo, giorno in cui islamici e cristiani saranno uniti per marciare contro il governo. Negli appelli e i richiami che si susseguono nei social network, si chiede e si prevede una manifestazione «oceanica». La pagina Facebook «The Syrian Revolution 2011», reca l’immagine di una croce tra due mezzelune: è il sodalizio religioso invocato contro Assad.

Ma il presidente non demorde, e non usa solo il pugno di ferro. Questa volta, Assad ha avanzato un compromesso che, sulla carta, sembra importante. Sono tre le leggi approvate ieri dal parlamento e firmate oggi, con le quali il governo mostra di assecondare le richieste dei protestanti. O almeno, così appare. Il decreto legislativo n. 161 sancisce la fine dello stato di emergenza, in vigore dal 1963, che imponeva norme rigide sulle riunioni pubbliche e rendeva più facile arrestare persone sospettate di tramare contro lo stato. Uno strumento che ha permesso al regime di sopire ogni tentativo di protesta e ribellione, con il pretesto di proteggere il paese dalla minaccia israeliana. Con il decreto legislativo n. 53, invece, si cancella la Corte Suprema per la Sicurezza dello Stato, creata nel 1968, come organo al quale veniva demandato il giudizio sui nemici o sui soggetti ritenuti pericolosi per la stabilità. Il n. 54, infine, regola il diritto dei cittadini alla protesta pacifica, ritenuto dalla costituzione siriana uno dei diritti fondamentali dei cittadini.

Questo è il punto più complicato: per protestare, secondo la legge, sarà necessaria un’autorizzazione, rilasciata dal ministero dell’Interno. Un dettaglio, ma importante. Se è vero che il regime si libera di due elementi simbolici, come la legge d’emergenza e la corte suprema, Assad mantiene ancora il pieno controllo delle manifestazioni di piazza. Le autorizzazioni saranno controllate. Ogni protesta non autorizzata sarà, per necessità, illegale, e quindi perseguibile.
Come spiega ad Al Jazeera Haytham al Maleh, avvocato per i diritti umani di 80 anni, oppositore del regime, l’abrogazione della legge d’emergenza non cambia nulla. «Innanzitutto, non era necessario istituire una commissione per abrogarla», spiega. «La sua entrata in vigore non aveva mai avuto l’approvazione del parlamento, come invece era previsto». Perciò, conclude «era sufficiente un decreto presidenziale». La scelta di nominare una commissione potrebbe essere una strategia mediatica, per mettere in maggior risalto l’azione pacificatrice del presidente. «Finché la magistratura resterà nelle mani del regime», aggiunge al Maleh «non ci sarà garanzia». Inoltre, secondo alcune indiscrezioni di qualche settimana fa, sarebbero previste nuove leggi “anti-terrorismo”, non ancora definite, che sostituirebbero lo stato d’emergenza.

E la minaccia terroristica è l’ultimo fantasma sventolato dal regime. Principali accusati: i gruppi salafiti, che il governo considera responsabili di fomentare le piazze, soprattutto nelle città di Banias e Homs. In questo modo sembra che l’obiettivo di dividere i protestanti dia qualche risultato. Non sono pochi i cristiani che, spaventati dalla minaccia di una rivoluzione guidata da estremisti islamici, preferiscono restare nelle chiese e non partecipare ai movimenti. Per ora.
 

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