Il primo decennio degli anni Duemila sarà certamente ricordato, dal punto di vista economico, per l’entrata della Cina nel Wto e la successiva ascesa dell’economia del dragone. Dal 2000 ad oggi la Cina ha più che triplicato il suo export e quadruplicato il suo import, diventando al contempo la più rilevante minaccia competitiva per numerosi produttori occidentali. Il Rapporto Ice-Prometeia, presentato oggi a Roma, analizza la “galoppata” dell’export cinese nel corso dell’ultimo decennio, non trascurando il ruolo della diffusione delle produzioni cinesi sulle difficoltà di alcuni comparti del Made in Italy.
I beni di consumo rappresentano il settore in cui la Cina si è maggiormente affermata come produttore ed esportatore mondiale, sia nell’ambito di quelli tradizionali (di cui fornisce un quinto dell’intero commercio mondiale) che di quelli più innovativi. Questi ultimi hanno gradualmente aumentato il loro peso, e rappresentano ormai il 30% di tutto l’export cinese. All’evoluzione del mix settoriale si associato anche un cambiamento del peso dei mercati di sbocco: l’export cinese ha sempre più ampliato il raggio d’azione geografico e arriva a servire mercati sempre più lontani.
L’elemento più rilevante che emerge dal rapporto è che la formidabile spinta all’avanzata cinese continua ad essere alimentata, più che dal basso costo del lavoro, dalle ingenti economie di scala che è in grado di realizzare internamente. E i processi di frammentazione produttiva a livello internazionale vanno a sostegno della competitività cinese in due principali direzioni. Da un lato le imprese cinesi acquistano società occidentali e attraverso queste know-how e tecnologia; dall’altro lo sviluppo di competenze manifatturiere maggiormente avanzate permette alla Cina di rifornire sempre più i paesi a forte sviluppo industriale (Asia, America Latina, Europa dell’Est) con beni semilavorati precedentemente prodotti dai paesi di più antica industrializzazione. Di conseguenza la metamorfosi della “pericolosità” cinese si continuerà a muovere sempre più verso produzioni maggiormente complesse ed evolute.
La consolazione potrà arrivare dal lato della domanda cinese: l’import cinese, come testimoniato dall’assottigliarsi del surplus commerciale, cresce a ritmi maggiori dell’export e rappresenta un’innegabile opportunità. Tali importazioni servono principalmente a servire l’industria cinese: gli input produttivi rappresentano quasi il 75% dell’import totale cinese e ormai il 10% di tutto il commercio mondiale.
Il Rapporto Ice-Prometeia analizza inoltre la somiglianza tra le esportazioni cinesi e quelle di altri paesi: al di fuori del continente asiatico, è l’export italiano, insieme a quello inglese, a presentare la più marcata somiglianza con quello cinese e a subirne quindi di più la concorrenza. Ma se tale somiglianza è elevata, essa tende a rimanere stabile, per lo meno negli ultimi anni. Al contrario, l’offerta di prodotti della Germania e degli Stati Uniti tende a sovrapporsi sempre più a quella cinese (e ha raggiunto valori ormai non dissimili a quella dell’Italia). Anche i paesi dell’Est Europa – tradizionale meta delle imprese italiane – risultano sempre più minacciati dalla concorrenza cinese poiché le loro produzioni si sovrappongono a quelle del colosso asiatico più di quanto non accadesse nel passato.
È proprio nei mercati vicini che si gioca una partita cruciale per le nostre imprese: incrociando le informazioni settoriali e quelle geografiche emerge una rilevante intensificazione delle pressioni competitive cinesi per i produttori italiani nei mercati dell’Europa dell’Est (dove le imprese italiane hanno perso quote di export in maniera significativa) e nel Nord Africa, mentre sui mercati dell’Europa Occidentale e del Nord America la concorrenza cinese non è particolarmente sentita dalle nostre imprese.
La crescente presenza delle merci cinesi ha certamente avuto un ruolo importante nello spiegare la performance esportatrice dei maggiori produttori europei. Ma i problemi più rilevanti emergeranno sui mercati locali di quei paesi (gran parte del continente europeo) in cui il basso grado di penetrazione delle merci cinesi non ha ancora esaurito i sui effetti.