Solo pochi mesi fa non si sarebbero mai aspettati di ritrovarsi a Roma, sotto il ministero dello Sviluppo Economico con fischietti, megafoni e striscioni. Invece eccoli, i lavoratori e gli imprenditori del fotovoltaico. Protestano contro il nuovo regime di incentivi, che il governo varerà entro fine mese. «Spegne la luce su tutto il settore», riassume uno degli striscioni. Intanto, però, il ministro Romani un piccolo successo l’ha già portato a casa: è riuscito a compattare Cgil, Cisl e Uil dopo mesi di polemiche e fiumi di inchiostro sulla morte dell’unità sindacale. Si sono ritrovati in via Molise, di fronte al Ministero.
Mentre il sottosegretario Stefano Saglia sottolinea come l’Italia sia ancora il paese «con gli incentivi più alti per il solare fotovoltaico», gli imprenditori rispondono che questo è l’ultimo dei problemi.
«Gli incentivi devono cominciare a diminuire, su questo siamo d’accordo», premette Enrico Giovannini, general manager di GE Progetti, una delle tante medie imprese riconvertite al fotovoltaico. La sua azienda ha cominciato facendo consulenze per ingegneri a Narni, oggi realizza impianti chiavi in mano, conta sessanta dipendenti e fattura 65 milioni. «Al contrario di chi produce i pannelli, per il momento non abbiamo messo nessuno in cassa integrazione. Ma se il governo andrà avanti per la sua strada presto sarà buio pesto anche per noi».
Il messaggio di chi manifesta è questo: abbassiamo gli incentivi, ma non poniamo paletti né vincoli a un mercato in espansione. La bozza che il governo sta sottoponendo al parere della conferenza Stato-Regioni (che deciderà la prossima settimana) prevede un limite di 1350 megawatt incentivabili da giugno a settembre 2011, che si estende a 1750 per tutto il 2012. In più, le tariffe a cui verrà venduta l’energia pulita verranno stabilite mese per mese. Dal 2013 al 2016 gli incentivi andranno scemando ogni sei mesi fino a un costo indicativo di 86 milioni per il 2016. Cifra che potrà essere superata, salvo una ulteriore riduzione della tariffa nel periodo successivo. Questo, in pillole, dovrebbe essere il quarto Conto Energia per gli impianti fotovoltaici superiori ai 200 chilowatt.
Le principali associazioni di settore Aper, AssoSolare, Gifi e Rives hanno rigettato la bozza: «Così com’è, porterebbe al blocco di tutto il settore», scrivono in una lettera al presidente della conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani. E adesso resta solo una via: «Mobilitazione continua, in tutte le regioni», annunciano i sindacalisti al megafono. «Se l’incentivo cambia ogni mese, per noi è impossibile pianificare», spiega Stefano Neri, presidente della Terni Energia, 230 impiegati. Neri fa un esempio concreto: «Comincio a costruire un impianto sapendo che godrà di un incentivo pari a 10. Però non riesco ad allacciarlo alla rete entro il tempo previsto. Ed ecco che finisco nella finestra successiva, che però prevede un incentivo pari a 7. Con queste premesse, quale banca ci finanzierà?».
Nella battaglia per le rinnovabili gli imprenditori del fotovoltaico non possono contare su Confindustria, che tuona quotidianamente contro gli incentivi a pioggia verso le imprese del sole. Secondo Fabrizio Potetti, della Fiom Cgil nazionale, «Confindustria sta subendo l’influenza dei grandi gruppi energivori, che chiedono un abbassamento delle bollette elettriche senza preoccuparsi delle ricadute sul lavoro». Poi ci sono i giganti dell’energia: «Enel e Edison stanno facendo lobby per strozzare la concorrenza sul nascere e sanno farsi ascoltare dal governo»
C’è anche chi, approfittando della confusione, cerca il pretesto per chiudere baracca. La Gsd Compuprint di Leinì (nel Torinese), produce stampanti e, da marzo 2010, anche pannelli solari. Il giorno dopo il decreto “ammazza rinnovabili” ha messo in mobilità 250 dipendenti su 270. «Ma a noi sembra più una scusa per uscire dall’Italia e delocalizzare, come già stiamo cominciando a fare in Cina e in Romania», dice Luca Cevanin, delegato sindacale Fiom.