I soldi per Lampedusa l’Europa ce li ha già dati

I soldi per Lampedusa l’Europa ce li ha già dati

BRUXELLES – Per fronteggiare l’emergenza sbarchi a Lampedusa, il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha chiesto 100 milioni di euro alla Commissione europea. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto che l’Unione europea si è mostrata “inerte” e “impreparata” di fronte alla crisi. Secondo un copione consolidato, nel crescendo di critiche a Bruxelles, pochi si sono fermati a farsi due conti in tasca per verificare se effettivamente qualche soldo dall’Ue non l’avessimo già a disposizione.

A un’analisi più attenta, infatti, viene fuori che i 100 milioni richiesti da Maroni ce li abbiamo già. Secondo i dati del gabinetto del Commissario europeo agli Interni, Cecilia Malmström, per il biennio 2010-2011 all’Italia sono stati allocati 80 milioni di euro, che si ripartiscono fra il Fondo europeo per i rifugiati, il Fondo per i rimpatri e il Fondo per la gestione delle frontiere esterne. A questi si aggiungono 47 milioni di euro alla voce Fondo europeo per l’integrazione. Un totale di 127 milioni, che, secondo quanto risulta alla Commissione, l’Italia non ha ancora speso totalmente. A questi si devono aggiungere i 25 milioni di euro che lo stesso portafoglio della Ue può sbloccare immediatamente, secondo una procedura di emergenza. Senza contare i 2,6 milioni spesi nei primi 40 giorni di missione del Frontex, l’agenzia europea per la tutela delle frontiere.

La Commissione non ha fornito cifre su quanto effettivamente l’Italia abbia già speso di questi fondi, ma stando ai precedenti, non è difficile stimare che ne siano avanzati una buona fetta. Basta pensare che, secondo l’ultimo rapporto della Ue, dei 59,4 miliardi di fondi strutturali riservati all’Italia per il periodo 2007-2013, ne abbiamo spesi finora appena il 9,5%. E proprio al capitolo rifugiati, nel 2009, abbiamo rinunciato a 10 milioni di euro in fondi che potevano essere utilizzati per un precedente episodio nella storia di Lampedusa, ha ricordato Niccolò Rinaldi, parlamentare dell’Idv. Colpa, spiega l’eurodeputato, di serie difficoltà da parte delle nostre amministrazioni a gestire i fondi, presentando le domande in tempo e i progetti che rispettino i canoni Ue. O forse, in questo caso, di “scarsa volontà politica ad impegnarsi per un progetto a favore dell’integrazione degli immigrati”.

Insomma, non è sul fronte dei soldi che la Ue merita di essere bacchettata. Ma allora cos’è che ci fa sentire così soli davanti all’Europa? È la scarsa solidarietà mostrata dagli altri Stati membri. Nell’ipotesi di una redistribuzione sull’intero territorio dell’Unione di coloro che non potranno essere rimpatriati, infatti, finora solo la Svezia ha timidamente alzato la mano per dire che sarebbe pronta a farsi carico di 200 persone. Dagli altri, silenzio. Per non parlare della reazione della Francia, che si è affrettata a chiudere le frontiere respingendo i tunisini a Ventimiglia. Una mossa che potrebbe, tra l’altro, essere in violazione del trattato di Schengen.

Se ne parlerà ancora l’11 aprile, quando la riunione dei ministri degli Interni della Ue avrà modo di esaminare meglio le ipotesi sul tavolo, soprattutto i joint resettlement programmes, che coordinerebbero la redistribuzione dei profughi fra gli Stati membri. Pare che circoli già un documento con i nomi dei volenterosi che si aggiungeranno alla Svezia. Difficile, per ora, che il Consiglio decida l’applicazione della direttiva 55 del 2001, quella che nacque nel post-Kosovo e serve a garantire ai profughi protezione immediata su tutto il territorio dell’Unione, con una condivisione di responsabilità da parte degli Stati membri. «Possiamo stare certi che i membri della Ue non desiderano l’applicazione della direttiva del 2001», afferma Yves Pascouau, ricercatore allo European Policy Centre. A parte la mancanza, per ora, di numeri che possano giustificare un «flusso di massa», la sua applicazione «costringerebbe gli Stati membri a condividere il peso dei migranti. Ed è quello che gli Stati membri non vogliono».

Certo, le sue colpe la Ue ce le ha. A Bruxelles non è mancato il coro di voci che ancora una volta sottolineano la rovinosa politica estera comune, che si traduce in una scarsa compattezza della Ue nell’affrontare le emergenze alle sue frontiere. «È un po’ difficile dire ai profughi sudanesi in Libia: non vi possiamo portare in Europa perché non abbiamo trovato un accordo sui mandati», ha detto con una nota polemica la Malmström in una recente conferenza stampa. «Se esistesse una politica estera della Ue, a quest’ora avremmo già degli accordi con Tunisia ed Egitto», osserva Pascouau. Invece ci possono essere solo accordi bilaterali, come quello su rimpatri e permessi concluso dall’Italia con la Tunisia. «Ci sono due debolezze di fondo che impediscono alla Ue di affrontare la crisi efficacemente», conclude lo studioso. «La prima è che la Ue non ha competenze legali in materia di immigrazione», quindi non può gestire né imporre ai suoi membri di accettare i rifugiati. «La seconda è di natura politica: manca una visione sul futuro dei rapporti con il Nord Africa. Lo testimonia il fatto che questa crisi non era stata prevista da nessuno».

X