Il sogno di Ruggiero a 33 anni è già realtà

Il sogno di Ruggiero a 33 anni è già realtà

Un anticorpo e una proteina in grado di combattere efficacemente l’arteriosclerosi, ma anche alcune forme di cancro particolarmente pericolose. Fantascienza? No, una possibilità concreta, alla quale corre dietro ormai da alcuni anni uno dei medici ricercatori più promettenti e, nonostante la giovane età, blasonati d’Italia. Il suo nome è Ruggiero Mango, romano, classe 1978, medico cardiologo e allo stesso tempo esperto ricercatore nel campo della genetica legata alle malattie cardiovascolari. Quando è stato il tempo di scegliere tra gli alambicchi e la corsia, lui ha scelto entrambi.

La gavetta al tavolo di laboratorio è cominciata infatti a diciannove anni, all’inizio del suo percorso universitario, ed è andata avanti di pari passo con gli studi in medicina. È stata proprio la passione per la ricerca, unita all’impegno e alle capacità dimostrate sin da giovanissimo, a rendere Ruggiero protagonista nel 2005 di una scoperta scientifica brevettata in tutto il mondo che potrebbe segnare una svolta importante nella cura dell’arteriosclerosi coronarica, nella prevenzione dell’infarto del miocardio e, forse, anche del cancro al colon-retto, al seno, alla cervice uterina, e dell’epatocarcinoma, la Loxina: una speciale proteina in grado di contrastare l’azione del cosiddetto colesterolo ossidato e, stando agli sviluppi della ricerca, probabilmente capace di tanto altro.

Ad appena 33 anni, Ruggiero Mango è cardiologo emodinamista presso la Cardiologia dell’Università di Roma Tor Vergata diretta dal professor Romeo, dove in parallelo svolge la sua attività di ricerca con l’equipe di genetica del professor Novelli. E’ inoltre segretario della Società Italiana di Cardiologia per il Lazio.

Per non stupirsi troppo di come tanti riconoscimenti e responsabilità gli siano arrivati così presto basta sfogliare il curriculum. Nel 2003 Mango ottiene il premio Giovani Ricercatori al 64° congresso della Società italiana di cardiologia; nel 2005 riceve il “Best Abstract Award” dall’Europe Appliedbiosystems, e dal 1997 al 2007 diventa assistente di ricerca presso il laboratorio di Genetica Medica a Tor Vergata, dove studia le malattie cardiovascolari. Poi, prima di tornare a Roma, tra il 2007 e il 2010 svolge l’attività di cardiologo emodinamista e ricercatore presso l’unità operativa di Emodinamica e Cardiologia Invasiva dell’istituto clinico “Humanitas” di Milano e, nel 2009, trova il tempo anche per vedersi conferire il Cavalierato Giovanile dalla Provincia di Roma. Ma, da quando ha cominciato ad indossare il doppio camice di medico e ricercatore, Ruggiero è stato autore di oltre venti pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, tra cui “Circulation Research”, “PlosOne”, e l’“European Journal of Human Genetics”.

L’avvio alla ribalta della comunità scientifica comincia da lontano, sin dalla tesi di laurea su genetica dell’arteriosclerosi. È da lì che parte la ricerca di un collegamento tra una possibile predisposizione genetica all’infarto del miocardio ed una proteina che era stata da poco identificata.  «Volevamo individuare nuovi marcatori genetici che predisponessero all’aterosclerosi coronarica ed all’infarto miocardio» spiega il giovane medico ricercatore. «Nel 1997 era stato identificata la molecola che permette al colesterolo ossidato, una componente del colesterolo estremamente tossica per le cellule delle arterie, di passare all’interno della parete delle arterie. La proteina, chiamata Lox-1, sembrava essere la principale responsabile di molti dei meccanismi di formazione delle lesioni arterosclerotiche». Questo però era stato fino ad allora dimostrato esclusivamente attraverso modelli cellulari ed animali. «Il nostro obiettivo era invece chiarire se nel gene che porta alla produzione della proteina Lox-1 ci fossero degli errori in grado si spiegare il rischio maggiore di alcuni individui di sviluppare l’aterosclerosi coronarica».

La ricerca prende il via su soggetti sani o con pregresso infarto del miocardio, scelti su base volontaria, ai quali venne “mappata” la porzione di Dna che produce la proteina Lox-1. Da qui, l’identificazione di alcuni cambiamenti significativi nella sequenza del Dna che si presentano con maggiore frequenza nei soggetti con l’infarto. Ma cosa significano queste variazioni? «Analizzando cellule di donatori volontari sani e con infarto del miocardio ci siamo accorti che le variazioni di Dna identificate favorivano la produzione di una proteina, dai noi in seguito chiamata Loxina, presente in maggiori quantità in persone con coronarie sane. In altre parole – spiega Mango – la proteina era presente in ogni individuo, ma i suoi livelli potevano variare a seconda della presenza o assenza delle variazioni nel Dna. Individui portatori della variazione protettiva producevano quantità maggiori di Loxina ed avevano un rischio minore di ammalarsi di aterosclerosi ed infarto del miocardio».

La scoperta della Loxina, avvenuta nel 2005, porta al brevetto della proteina, e alla realizzazione di un kit diagnostico per la rapida determinazione delle varianti genetiche che ne modulano la produzione.
«Il passo successivo – spiega ancora il medico romano – sarebbe stato quello di realizzare un farmaco in grado di “convogliare” le capacità di contrasto della Loxina all’azione del colesterolo ossidato e all’insorgere dell’arteriosclerosi». Ma su questo fronte notizie positive sembrano arrivare subito da Oltremanica: «Circa un paio di anni fa sono stato contattato da un ricercatore inglese, che a seguito di test di laboratorio effettuati su animali è riuscito a riscontrare un’azione importante della Loxina nella riduzione significativa della placca arteriosclerotica». Le ricerche proseguono tutt’ora in attesa di poter maturare sufficienti certezze per dare il via alla sperimentazione umana, e quindi alla produzione del farmaco, che però al momento sembra ancora di là da venire. Anche se nuovi interessanti sviluppi sembrano arrivare da un fronte inatteso.

Già, perché ora è un gruppo di ricerca di Harvard ad imprimere un nuovo sprint alla ricerca sulla Loxina e i suoi possibili utilizzi. Alcuni ricercatori dell’università americana hanno scoperto infatti il coinvolgimento della proteina Lox-1 anche nell’epatocarcinoma, nel tumore della cervice e nel tumore al seno. L’obiettivo di Ruggiero e dei suoi colleghi e ora quello di sviluppare un anticorpo monoclonale in grado di inibire il recettore Lox-1, in particolare nel contrasto al cancro al colon retto. Spiega il ricercatore italiano: «Esiste un link molto stretto tra i fattori che condizionano in un soggetto predisposto il rischio di insorgenza di arteriosclerosi e il rischio di insorgenza di un cancro di questo tipo, ed è su quello che stiamo lavorando». La segreta speranza è quella di riuscire a cogliere i proverbiali due piccioni con una fava, sintetizzando un anticorpo monoclonale, o un farmaco a base di Loxina, in grado di opporre un contrasto efficace in entrambe le direzioni. Peccato che ciò che appare così facile a dirsi non lo sia altrettanto a farsi.

Servono tempo, lavoro, e soprattutto finanziamenti ingenti che, per fortuna, sembrano non mancare: «Abbiamo di recente ottenuto il sostegno da parte della Fondazione Veronesi, che ha manifestato un grande interesse per il nostro lavoro proprio alla luce degli interessanti risultati che si potrebbero ottenere nella lotta al cancro». La macchina della ricerca, almeno in questo caso, sembra quindi funzionare molto bene anche qui da noi. Non solo: l’interesse internazionale è elevato, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, passando adesso anche per la Spagna. Tutto sta nello scovare quel piccolo anticorpo, atteso ormai più di Godot.

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