Il ministro Tremonti dice cose giuste, e le condividiamo in gran parte. I controlli fiscali si sono fatti molto pressanti, negli ultimi anni. L’Agenzia delle Entrate rivendica a ogni occasioni risultati eccellenti, accertamenti di evasioni da capogiro, recuperi di gettito importanti.
Nel frattempo, come ovvio, raccogliamo spesso storie di imprenditoriche raccontano un clima da polizia fiscale sempre più asfissiante. Accertamenti a tappeto anche sugli acquisti della cancelleria e sui buoni benzina. Come se al governo ci fossero ancora Prodi, il “vampiro” Visco, e il compianto Padoa Schioppa che delle tasse parlò come di una cosa «bellissima».
Già, solo che al governo, ormai da più di due anni, c’è chi di altre promesse, di diversi programmi e – perfino – di un’altra antropologia ha fatto la sua bandiera e il suo marchio di fabbrica. Al governo, ovviamente, c’è Giulio Tremonti, da cui dipendono, ovviamente, anche le politiche dell’Agenzia dell’Entrate. Avevamo capito fosse lui il garante dei conti pubblici in ordine. Avevamo sentito dire che fosse lui, più di tutti, a volere un nuovo rigore e la mano dura nei confronti dell’evasione, tanto da spendere parole lusinghiere – in privato, naturalmente – per le politiche di rigore di Prodi.
Oggi per un attimo c’è venuto il dubbio di aver capito male. Poi ci siamo ricordati che, in effetti, il malcontento serpeggia e giganteggia nel cuore del nord produttivo, in quella “pancia del paese” che manda avanti la baracca e vota Lega e Pdl. E abbiamo fatto caso al fatto che si avvicina a grandi passi un appuntamento elettorale che ha molto da dire sul futuro della centrodestra e -perché no – di Tremonti nell’epoca del dopo-Berlusconi che prima o poi comincerà.
Insomma, all’inizio della campagna elettorale ha parlato un Tremonti di lotta. Cui non piace del tutto, a quanto pare, quel che fa il Tremonti di governo.