Da settimane tengono testa alle truppe del colonnello. Hanno uno sparuto gruppo di vecchi carri armati, qualche lanciarazzi arrugginito. A stento sanno maneggiare un’arma. Non sono organizzati per fare una vera guerra. Dalla loro parte hanno solo una grande volontà di ferro. Dopo gli entusiasmi dei primi giorni, però, si sono accorti che non basta più. Gli shabab della rivoluzione in Libia chiedono armi alla coalizione internazionale. Per sconfiggere Muammar Gheddafi e imprimere una svolta democratica al paese. Gran Bretagna e Francia, soprattutto, si sono dette disponibili. Ma i dubbi, tra gli occidentali, restano ancora molti. E se tra i combattenti dell’opposizione al regime ci fossero infiltrati di al Qaida? L’ipotesi, esclusa dalla leadership del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, è seriamente presa in considerazione dalla Casa Bianca, dai principali governi della coalizione e dai servizi di intelligence occidentali.
In un rapporto che l’amministrazione di Barack Obama ha in mano da giorni, si certifica la presenza di uomini di al Qaida tra i ribelli che combattono le truppe di Gheddafi. Sufyan Bin Qumu e Abdel Hakim al Hassiri: sono questi i nomi che, più di ogni altro, preoccupano gli 007 di tutto il mondo. Il primo è un cittadino libico, già catturato in Afghanistan e detenuto nel carcere statunitense di Guantanamo, nell’isola di Cuba. Qumu, veterano dell’esercito di Tripoli, al momento del suo arresto fu accusato di lavorare come autista al soldo di Osama bin Laden e in qualità di contabile per un’organizzazione umanitaria sospettata di avere legami con i terroristi. Al Hassiri, che con il primo condivide la nazionalità, ha trascorso invece numerosi anni in un campo di addestramento in Afghanistan. Fu catturato poco dopo l’inizio della guerra nel paese asiatico e successivamente consegnato alle autorità libiche. Entrambi sono stati scarcerati nel 2008. Entrambi hanno nuovamente combattuto in Afghanistan.
Di loro, adesso, si sono perse le tracce. Sono ricercati dalla Cia e dal Mi6. Nessuno sa con certezza dove siano finiti. Almeno all’apparenza. Perché fonti dell’intelligence riferiscono che i due libici avrebbero lasciato l’Afghanistan in tutta fretta. Sarebbero tornati a casa. In Cirenaica. E avrebbero già infiltrato cellule dormienti tra i ribelli. Pochi uomini, almeno duecento affiliati secondo le stime, ma tali da togliere il sonno agli esperti del contro-terrorismo. Tutti estremisti islamici che hanno combattuto in Afghanistan, in Pakistan, nello Yemen. E che adesso sarebbero rientrati in Libia per approfittare dell’attuale stato di crisi, con il contributo di gruppi radicali provenienti dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Algeria. Avrebbero trovato posto a Derna, non lontano da Tobruk. E secondo alcune fonti qualificate non avrebbero neppure intenzione di fare proseliti: sarebbero scesi in campo solo per addestrare gli shabab e combattere contro il regime. L’ipotesi, a quanto riferito, è che «almeno uno di loro sia riuscito a infiltrarsi, in incognito, anche nell’organo direttivo dell’opposizione, il Consiglio nazionale di transizione». La sensazione è che sia Qumu che Al Hassiri starebbero svolgendo un ruolo di primo piano a sostegno dei due ufficiali – non si sa quanto consapevoli – posti alla guida delle truppe ribelli: l’ex ministro dell’Interno e capo di Stato Maggiore della Difesa, Abdel Fattah Younis, e l’ex comandante delle forze libiche in Ciad, Khalifa Hiftar.
E il fatto che i legami tra la Cirenaica e l’organizzazione di Bin Laden non siano del tutto nuovi non può certo rassicurare la Casa Bianca e i suoi alleati occidentali. Che si sono posti il problema non appena è stato chiesto loro di fornire armi ai combattenti dell’opposizione. Pare che l’Egitto, a questo proposito, si sia già attivato. E che il Qatar, dopo un accordo annunciato proprio oggi, sia pronto a fare altrettanto. Anche l’Italia ha aperto a questa soluzione. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, che oggi ha incontrato alla Farnesina il responsabile per la politica estera del Consiglio nazionale di transizione Ali al Isawi, non ha escluso «una fornitura di armi come estrema ratio». La risoluzione 1973 approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu «prevede ogni mezzo necessario per difendere i civili», quindi anche questo. Ma non tutti sono concordi, è una questione di interpretazione.
La Russia è contraria. La Cina pure. E secondo fonti diplomatiche occidentali «servirebbe una nuova risoluzione che autorizzi esplicitamente la cessione di armi ai ribelli, aggirando l’embargo attualmente in atto». Persino Obama è perplesso. Solo pochi giorni fa, il presidente degli Stati Uniti ha spiegato alla Nbc: «Dobbiamo ancora capire se aiutare i ribelli in Libia a rovesciare un dittatore che non ci piace, ma allo stesso tempo chiudiamo un occhio su un monarca che ci piace in Bahrein, sebbene abbia represso violentemente il suo popolo. E ai sauditi, che ci rimproverano di avere lasciato andare un leader così antipatico per il suo stesso popolo, l’egiziano Hosni Mubarak, non possiamo neppure rispondere: hanno leadership, petrolio e soldi che ci piacciono».