Italia-Germania, l’ultimo sorpasso è firmato Raùl

Italia-Germania, l’ultimo sorpasso è firmato Raùl

Angela Merkel, prima di tutto. Che invidia. E poi la crescita al 3,6%. I salari più che decenti. La Volkswagen in corsia di sorpasso su Toyota, primo produttore di auto al mondo. «Un capitalismo umano – scriveva qualche settimana fa Claudio Magris sul Corriere della Sera – anzitutto per i suoi legami con la realtà concreta, con le cose e non solo con l’immaterialità della finanza». Non stupisce perciò che il modello tedesco risulti oggi vincente nella più concreta e materiale delle attività ludiche (ludiche?): il gioco (gioco?) del calcio. Anche qui i paragoni con il sistema Italia sono impietosi: da un punto di vista economico ormai da qualche anno e, di conseguenza, ora anche dal punto di vista sportivo. Ce ne accorgeremo dalla prossima stagione, quando per la prima volta in Champions League ci saranno quattro squadre tedesche e solo tre italiane. E pensare che solo alle soglie del XXI secolo ci guardavano, con molta invidia, dal basso verso l’alto.

La Bundesliga produceva un fatturato complessivo che era pari al 64,3% di quello realizzato dalla Serie A: 1059 a 681 (milioni di euro) per noi. Oggi siamo costretti a inseguire: 1.715 milioni loro, 1520 noi. E questo nonostante il calcio italiano riesca a succhiare dalle televisioni quasi il doppio di quanto ricavino i tedeschi: noi siamo arrivati a sfondare il tetto del miliardo, loro sono ancora al di sotto dei 600 milioni annui. E’ l’unico settore nel quale manteniamo una solida supremazia, ma è anche la corda alla quale i club italiani rischiano di impiccarsi. La continua crescita esponenziale del mercato dei diritti televisivi, e anche, va detto, gli intrecci fra gli assetti proprietari delle emittenti pay e quelli delle società calcistiche (da Tele+ a Stream a Mediaset Premium), hanno portato a una sorta di processo di impigrimento nella ricerca di fonti di ricavo alternativo. E a consegnare ai broadcasters le chiavi degli stadi, causandone il loro progressivo svuotamento.

Il modello calcistico tedesco, un pallone “dal volto umano”, è invece tutto basato sulla partecipazione diretta del pubblico. A ogni partita di Bundesliga assistono in media 41.904 persone, a ogni gara di Serie A 25.304. Per un totale di 12.822.484 spettatori paganti in Germania nel 2008-09 contro i 9.642.000 italiani. E va tenuto conto che nella prima divisione tedesca ci sono due squadre, e perciò quattro giornate di campionato, meno che in Italia. Nel 2000 gli spettatori medi erano 29.100 in Italia, 28.400 in Germania. Noi siamo tornati indietro, loro hanno preso il volo. Anche grazie a una politica di prezzi popolari: la media è di 20,79 euro a biglietto. (Ma non è questa la ragione principale: anche in Italia i biglietti costano relativamente poco, 27 euro di media, contro i 43 dell’Inghilterra dove a ogni partita di Premier assistono in media 35.600 spettatori). L’equilibro fra le fonti di ricavo delle società calcistiche tedesche è davvero virtuoso: 31,85% da sponsor e merchandising; 29,17% da diritti televisivi; 20,85% da stadio; 8,24 da trasferimenti di giocatori (il che significa che hanno una bilancia dei pagamenti attiva); 9,89% da altre voci. I club italiani producono oltre il 60% del fatturato grazie ai diritti televisivi, mentre i ricavi da stadio oscillano intorno al 13%.

Per non parlare del costo del lavoro: i club tedeschi impiegano il 44,6% del fatturato per pagare gli stipendi di calciatori, tecnici e staff. Nella Serie A italiana siamo oltre il 70%.
L’inevitabile conseguenza di questi dati è resa evidente dal livello di indebitamento complessivo del sistema: 610 milioni di euro per i club di Bundesliga, quasi 2,5 miliardi per quelli italiani. A fronte di risorse di capitale proprio sulla stessa linea: 520 milioni i tedeschi, 545 i club di Serie A (che, è bene ricordare di nuovo, sono 20 contro i 18 della Bundesliga).
Tutti gli studi più recenti dimostrano quanto il sistema-calcio europeo sia rimasto per ora sostanzialmente impermeabile alle conseguenze della crisi finanziaria mondiale. Quasi tutti gli indicatori restano in crescita. Anche i ricavi pubblicitari hanno mantenuto un trend positivo. Il pericolo semmai potrà venire dai prossimi rinnovi dei contratti con le televisioni, tutti poliennali e perciò finora mantenuti ad alto livello. I problemi economici delle squadre di calcio, quelli per cui l’Uefa ha deciso di introdurre le nuove norme sul fair play finanziario, sono perciò conseguenza della cattiva gestione dei club: per il vizio di riversare quasi automaticamente nelle tasche di calciatori e procuratori qualsiasi nuova entrata e, soprattutto in Inghilterra, per le acrobazie speculative di nuovi proprietari, soprattutto stranieri, capaci di caricare sui bilanci delle società le operazioni di take over. Perciò non stupisce che le squadre tedesche abbiano prodotto anche nel 2008-09 un utile netto complessivo superiore ai 30 milioni di euro. Anche se in Germania sono molto preoccupati del fatto che per la prima volta sette società di Bundesliga abbiano chiuso in rosso. Solito paragone imbarazzante: negli ultimi dieci anni i club tedeschi hanno sempre ottenuto risultati operativi positivi, 250 milioni il record del 206-2007 la stagione post-mondiale, mentre gli italiani sempre negativi, tranne che nella stagione 2004-05 (e per la misera di un milione di euro!).

Che la stagione 2006-07 sia stata la migliore, economicamente parlando, per il calcio tedesco non è un caso: l’organizzazione del campionato del mondo del 2006 è stata prima volano poi traino per la crescita robusta di un sistema sano. A conferma del fatto che un grande evento, se organizzato con competenza ed efficienza, può essere un eccezionale stimolo allo sviluppo. Ne hanno tratto particolare beneficio gli stadi, tutti rifatti o comunque rammodernati a misura di spettatore.
In conclusione: dai tedeschi nel calcio abbiamo solo da imparare. Anche dalla loro capacità di pensare non solo al presente, ma pure al futuro: sono arrivati a oltre 80 milioni annui gli investimenti sui settori giovanili, contro i 65 milioni delle squadre italiane. E dalla loro trasparenza totale: tutti i dati contenuti in questo articolo sono tratti dal rapporto «Lo stato economico del football professionistico», che ogni anno la Lega calcio pubblica sul suo sito. L’unico problema, crescente, è che un sistema economico così sano è diventato oggetto delle mire degli scommettitori, clandestini e non, di tutto il mondo. E il rischio corruzione sale. 

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