La Lega scopre di essere “unfit” per le poltrone

La Lega scopre di essere “unfit” per le poltrone

Quando si parla della Lega, è utile sottolineare che non sono organicamente leghisti tutti quelli che la votano, ma solo la parte più esigua e agguerrita che aderisce al fantasmagorico «progetto dio Po». Insomma, il manipolo di irriducibili che muove simboli e parole, proiettandoli all’interno di una società fragile come la nostra, che rovescia su Roma ladrona l’antico adagio padano, che trasferisce al proprio elettorato (passivo) sentimenti e bisogni comuni.

Al di là di certe credenze popolari, e di quel filo di propaganda che in politica non guasta mai, la Lega è un partito meno identitario di quel che era un tempo. Lo diventa ancora nelle sue espressioni più larghe ed evidenti, come sono i raduni, lo esprime nella contrapposizione partitica – orgogliosamente esibita – ma ve n’è ormai poca traccia nei comportamenti privati. Semmai è molto più facile, nella quotidianità, ritrovare cittadini-berluscones convinti del loro ruolo di sostenitori del premier, disposti persino a esibizioni esagerate come ogni buon tifoso dovrebbe fare, piuttosto che leghisti urlatori in servizio permanente effettivo. Questa paradossale inversione di tendenza ha giovato all’idea di una Lega che tracima dai suoi abituali territori e va a prender voti in regioni un tempo sconosciute.

Rispetto a quanto possiede sul piano del consenso elettorale, il partito di Bossi ha davvero poco in termini di poltrone. Bravi, direte voi, questo è il segno di una trasparenza politica che non ammette contaminazioni con i Palazzi, e invece no, dobbiamo deludervi. Perché i leghisti le poltrone le vorrebbero, solo che non gliele danno. Sui motivi potremmo ragionare per giorni e tutte le analisi mancherebbero sempre di pezzo. Restiamo ai fatti. Ci sarebbe, secondo una certa corrente anche un po’ snob, un’inadeguatezza di fondo, quell’essere “unfit” come l’Economist definì una volta Berlusconi. Scegliete voi, secondo sfumature: inadatto, inadeguato, non idoneo, sconveniente, incompetente. Questa è la versione anche più dolorosa, perché comprenderebbe un dislivello, diciamo così, culturale, difficile da digerire. Vorrebbe dire, in poche parole, che per mettersi a sedere su una poltrona di potere ci vuole anche un certo dosaggio intellettuale, che il «foera dai ball» non contempla alla perfezione.

C’è poi quel sottile disagio degli interessati da non sottovalutare, quei professionisti a cui un bel giorno arriva una marchiatura politica magari non richiesta. Non sappiamo nulla dell’ingegner Orsi, designato come ad di Finmeccanica, se non per ciò che ha fatto da professionista. I rumors lo danno in quota Lega e la cosa assume anche i tratti della pochade quando vedi che i motivi sarebbero due: il fatto che AugustaWestland ha sede a Varese e l’altro, decisivo assai, che il medesimo è nato a Guardamiglio, in provincia di Lodi. Ma se la geografia politica fa davvero la differenza, perché allora non è stata scelta direttamente Bianca Balti, la strepitosa top model, che è lodigiana autentica?

I giornali danno come grandi esclusi dalle nomine due leghisti doc come Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture e Gianfranco Tosi, già sindaco di Busto Arsizio. Parliamo di Castelli, che è più noto a tutti. Ma con quale proterva ingenuità un signore che sta facendo un lavoro istituzionale di quel tipo può legittimamente pensare di acchiappare una poltronissima pubblica? Qui c’è tutto il limite della proposta leghista, l’aridità dell’orizzonte, la troppa semplificazione della politica. Per tentare di spiegare il presente, è utile rifarsi al passato. E nel passato, il modo migliore per arrivare concretamente a un obiettivo è stato quello di uscire dal partito e rappresentarlo, a briglie più sciolte, senza l’assillo della politica. Due nomi su tutti: Giuseppe Bonomi, presidente di Sea, e Antonio Marano, vice direttore generale Rai.

Resterebbe da dire una cosa sui “laterali”, quei professionisti che con la Lega invertono il processo: non farsi sfruttare, ma utilizzare la politica. Illuminante è l’esempio di Massimo Ponzellini, banchiere, presidente di Impregilo e Bpm. Lo avrete visto spesso in quest’ultimo scorcio al desco padano, tra canti, balli e politica. Che si metta agli atti che lui c’era, e che Tremonti sappia.

X