Siamo tra quanti hanno contribuito a sollevare il polverone su Roberto Lassini e i “suoi” demenziali manifesti che equiparavano magistrati e brigatisti. Questi manifesti non ci piacevano, li trovavamo offensivi e l’indignazione ci sembrava un esercizio civile minimo ma irrinunciabile.
A una settimana esatta dal misfatto, tuttavia, ci viene un dubbio: non è che questo Lassini sta diventando – per tutti – un’ottima scusa per non parlare d’altro? Così, dopo quattro giorni di silenzio è arrivata la condanna del sindaco Letizia Moratti, si sono accavallate le polemiche e le proteste, le richieste e le smentite e ad oggi, ancora, Lassini la fa da padrone. Avrebbe rinunciato alla candidatura, dicono, ma non sarebbe efficace dal punto di vista formale, secondo altri, e quindi sarebbe votabile, o addirittura da votare per il Giornale di Sandro Sallusti, mentre Daniela Santanchè – naturalmente dalla parte di Lassini – arriva perfino ad evocare la memoria di Enzo Tortora, con un accostamento che sfiora la pornografia. La solita confusione, insomma, mentre Milano avrebbe ben altre esigenze.
Rischia, l’ex sindaco di Turbigo, di diventare l’unica faccia veramente nota di questa campagna elettorale e l’unico personaggio “nuovo” emerso da Milano in questi anni. Fossimo nei candidati sindaci – dal sindaco Letizia Moratti a Giuliano Pisapia, passando per Manfredi Palmeri – eviteremmo di parlarne ancora, cercheremmo di rendere operosa la sua promessa di non candidatura ma – soprattutto – scommetteremmo sul fatto che i milanesi, che noi cittadini milanesi, conserviamo il senso delle proporzioni. Eviteremmo di dover rispondere, insomma, a una domanda su Lassini da qui a metà maggio.
Già, perché in teoria si vota per decidere il destino di una città caotica, invivibile, molto inquinata, nemica dei bambini e delle giovani coppie e che nei decenni ha respinto chi ci abitava senza attrarre davvero nuovi residenti. Si vota per sapere se la politica può pensare di riprendersi il ruolo di leadership cittadini e coordinamento tra interessi e competenze o se, nel migliore dei casi, può continuare a stare al traino. Si vota per capire se quella che una volta era la capitale europea del design e della cultura ha le carte in regola per giocare almeno da comprimaria, aldilà delle figuracce e dei ritardi sull’Expo. Per quello val la pena di litigare, di difendere il proprio operato o di denunciare le mancanze dell’operato altrui.
Per i manifesti di Lassini qualcosa andava detto e fatto subito, perchè certe ferite entrano nel Dna di una città e di una storia. Ma non possono diventare un alibi per non parlare della città del 2011, del 2015 e del 2020, men che mai in campagna elettorale.