Un altro sussulto dello smottamento. La defenestrazione di Cesare Geronzi dalle Generali è stata immediatamente percepita in Vaticano come l’ennesimo colpo all’indirizzo di Gianni Letta, l’ennesimo segnale di crisi di Berlusconi. L’ennesimo campanello di allarme che prepara l’arrivo di nuovi protagonisti sulla scena politica italiana, di nuovi interlocutori di un Palazzo apostolico che un po’ assiste, un po’ favorisce, un po’ subisce questo terremoto.
Perché ogni colpo perso dal fidatissimo Gianni Letta, ogni attacco alla sua rete di relazioni, rischia di lambire, se non coinvolgere, lo stesso Vaticano. È stato così con Guido Bertolaso. Stimatissimo organizzatore dei grandi eventi religiosi, dalla Giornata mondiale della gioventù del 2000 (si spinse a guidare l’auto con il Papa nella distesa di Tor Vergata) ai viaggi di Ratzinger in Italia, più volte elogiato, per efficienza e devozione, dalla Cei di Camillo Ruini e Giuseppe Betori, è stato abbandonato solo all’ultimo, e solo a malincuore, dal Vaticano. La scena dell’addio si è svolta nell’aula delle udienze il 6 marzo del 2010. Benedetto XVI ricevette i volontari della Protezione civile, li ringraziò per l’impegno nella ricostruzione dell’Aquila e non mancò di ringraziare lo stesso Bertolaso – già investito da indagini e sospetti sulla “cricca” – «per tutto quello che fa per la società civile e per tutti noi». Bertolaso salutò il Papa con voce rotta dall’emozione. Accanto a Mr. Protezione civile, ovviamente, c’era Gianni Letta. Non c’era, invece, Berlusconi. Il premier a quell’incontro voleva partecipare, ma da Oltretevere, con gran discrezione, gli venne recapitato l’invito a non presentarsi, causa il montare delle rivelazioni sulle notti ardenti di Arcore.
Di lì a poco lo scandalo della “cricca” scoppiò, ma coinvolse anche il cardinale Crescenzio Sepe, ora alla guida dell’arcidiocesi di Napoli, all’epoca efficientissimo organizzatore del Giubileo del 2000. Se Ratzinger, personalmente, non aveva nulla a che fare con gli affari del Giubileo, la Segreteria di Stato non poté prendere le distanze dalle scelte assunte solo pochi anni prima dal porporato che era stato a capo di Propaganda fide. E l’addio di Bertolaso, l’estate successiva, venne vissuta Oltretevere più come un vulnus che come una liberazione. Imbarazzo ci fu anche per l’incarcerazione di Angelo Balducci, braccio destro di Bertolaso, consulente di Propaganda fide, frequentatore di torbidi giri di cantori dei cori vaticani. Da anni annoverato nell’esclusivo club dei Gentiluomini di Sua Santità – come lo stesso Gianni Letta – il suo nome è scomparso, senza annunci, nell’annuario pontificio del 2011.
Passano pochi mesi e, ad aprile di quest’anno, un altro pezzo da novanta del sistema Letta cade fragorosamente. Cesare Geronzi viene sfiduciato dagli azionisti delle assicurazioni Generali. A Geronzi gli uomini del Papa hanno guardato per anni con fiducia. È stato il capo di quella banca di Roma dove sono confluite la Cassa di Risparmio di Roma e il Banco di Santo Spirito, da sempre istituti di credito di fiducia per il Vaticano. La stessa banca ha condiviso il destino dello Ior (Istituto per le Opere di Religione), la banca vaticana diretta da Ettore Gotti Tedeschi, quando la procura di Roma ha aperto un’indagine – ancora non conclusa – a partire da alcuni movimenti finanziari sospetti della filiale di via della Conciliazione. Quando, pochi anni prima, Capitalia era finita in Unicredit, Geronzi era corso a rassicurare i vertici della Conferenza episcopale italiana preoccupati di perdere un appoggio sicuro nel sistema creditizio italiano.
Ora, con l’estromissione di Geronzi, è il Vaticano che perde un sicuro punto di riferimento. C’è un uomo, soprattutto, che si trova con la spalle scoperte. È Marco Simeon, uomo-tuttofare del cardinale Tarcisio Bertone, il Segretario di Stato di Sua Santità. Poco più che trentenne, Simeon nasce benzinaio in quel di Sanremo, poi si conquista velocemente la fiducia di Bertone, allora arcivescovo di Genova, come priore della Fondazione Magistrato della Misericordia, l’ente che amministra – e fa fruttare – l’imponente patrimonio immobiliare della diocesi della Lanterna. Efficientissimo fund raiser, organizza il “cardinal dinner”, una cena di beneficenza diocesana che vede il gotha del capoluogo ligure staccare assegni per progetti a favore dei bisognosi sotto la supervisione dell’arcivescovo. Simeon entra anche nel consiglio d’amministrazione della Carige. E quando Bertone viene chiamato dal Papa a Roma, se lo porta dietro, con qualche sollievo del suo successore, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che dell’amministrazione degli immobili di curia ha un’altra idea.
Con Simeon, peraltro, Bertone porta a Roma anche Giuseppe Profiti, ex direttore generale della regione Liguria, ex vicepresidente dell’ospedale Galliera di Genova, qualche problema nelle indagini sulla cosiddetta “mensopoli” del capoluogo ligure (ma Bertone lo difende a spada tratta con un comunicato della Segreteria di Stato del maggio 2008) e, ora, presidente dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. Quanto a Simeon – molto vicino all’Opus dei, proprio come il presidente dello Ior Gotti Tedeschi – nella capitale moltiplica relazioni e accumula cariche: diventa “responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali” della Rai, poi prende la guida della struttura Rai-Vaticano (anche se negli uffici di Borgo Pio non lo vedono di frequente), viene nominato da Geronzi “consulente per i rapporti istituzionali” di Mediobanca. Sarebbe sempre Simeon a firmare i corsivi di un quotidiano nazionale che ha di recente perso il suo vaticanista di punta. Un’irresistibile ascesa che si blocca all’improvviso, con il fuoco di sbarramento su Geronzi.
Bertone e i suoi uomini si interrogano. Non da oggi, in realtà. È da mesi che Oltretevere – e, in particolare, nella Terza loggia del Palazzo apostolico, dove si trovano gli appartamenti di Ratzinger – si osserva con crescente preoccupazione l’avvitarsi della crisi politica e istituzionale italiana. Berlusconi è stato per lunghi anni un alleato sicuro, ma, dall’affaire Boffo in poi, è emerso un temperamento sempre meno affidabile e sempre più impresentabile. In Vaticano nessuno rinuncerebbe allo stimatissimo Gianni Letta, se non fosse legato a doppio filo con il presidente del Consiglio. Nessuno vuole offrire il fianco a una sinistra scompaginata o a certe iniziative ritenute avventate della magistratura. Ma, senza strappi e senza annunci, è iniziata da mesi una strategia di sganciamento da Palazzo Chigi.
Ridotte al minimo le possibilità di incontro tra Berlusconi e il Papa, Oltretevere si inizia a immaginare un dopo-Berlusconi. Con la remota speranza che, un domani, un cattolico “doc” come Pier Ferdinando Casini possa sostituirlo alla guida del Governo. Ma con l’intenzione di individuare già oggi validi interlocutori nella maggioranza. Come i cattolicissimi Maurizio Sacconi ed Eugenia Roccella, ieri fautori di culture distanti dalla Chiesa (socialista l’uno, radicale l’altra), ma oggi araldi della difesa dei “principi non negoziabili”. Come il ministro degli Esteri Franco Frattini, uomo affabile che non poco si è speso, anche in Europa, per la difesa dei cristiani perseguitati nel mondo. Come il governatore lombardo Roberto Formigoni, pur considerato più fedele alla sua “parrocchia” ciellina che alla Chiesa universale.
O, soprattutto, come Giulio Tremonti. Il Papa lo stima personalmente, lo ha ricevuto più di una volta – accompagnato da Gotti Tedeschi – per colloqui riservati negli appartamenti pontifici, lo chiama “il professore” e scambia con lui un carteggio su temi di etica e di politica. L’ipotesi che ci sia l’ombra di Tremonti dietro la caduta di Geronzi o dietro altri sgambetti a Gianni Letta rafforza solo l’impressione che il ministro dell’Economia sia destinato ad un futuro da protagonista nella politica italiana. Quanto al suo legame con la Lega, in Vaticano si tende a relegare in un passato remoto i tempi in cui Bossi tuonava contro i “vescovoni” e sbandierava riti e simboli celtici. Lo si è visto con l’emergenza immigrazione. Mentre Napolitano invitava a non drammatizzare lo scontro tra l’Italia e l’Europa, mentre l’opposizione denunciava le politiche discriminatorie del ministro dell’Interno Maroni, mentre Frattini frenava sui propositi bellicosi del Carroccio, Bertone ha tuonato contro Bruxelles. Se non era un assist alla Lega, era un segnale di fumo a Tremonti.