Alla Popolare dell’Emilia va di moda il rosso

Alla Popolare dell’Emilia va di moda il rosso

Ora che si sono calmati gli animi, dopo il ring assembleare di sabato 16 aprile, è utile fare un paio di considerazioni a freddo sul titolo Banca Popolare dell’Emilia Romagna, alla luce delle “confortanti” rassicurazioni sullo stato di salute dell’istituto espresse dall’ad Fabrizio Viola durante l’assemblea. Assemblea che quest’anno godeva del sostegno logistico e organizzativo della Coop. La quale, per mano del proprio presidente Mario Zucchelli, ha scritto ai soci della banca informandoli sul servizio di pullman-navetta dall’assemblea al supermercato. Quasi a dire: al mattino il gettone per il cda, al pomeriggio quello per il carrello della spesa.

Come sappiamo, ha vinto la “lista della continuità” guidata da Piero Ferrari, il quale ha evidenziato come Bper sia «un modello di intermediazione tradizionale», una «banca del territorio, della gente, per la gente». «Un progetto vincente nato 140 anni fa». Purtroppo però – almeno negli ultimi anni – di vincente c’è ben poco, e i numeri non sembrano dare ragione al figlio del compianto Drake.

Qualche giorno fa è arrivato il downgrade dell’agenzia di rating Fitch, che afferma: «L’outlook negativo riflette la nostra convinzione che il rating andrà sotto pressione se la banca non riuscirà a portare a termine l’obiettivo di rafforzare il patrimonio». Fitch inoltre solleva dubbi sulla scelta di incrementare il trading di bond, sottolineando l’impatto sulla redditività delle svalutazioni sui titoli di Stato (32,5 milioni di euro di perdita nel 2010). Standard & Poor’s, invece, focalizza l’attenzione sull’aumento del 50% dei crediti problematici negli ultimi due anni, l’11,2% dei crediti lordi verso la clientela nel 2010. Oltretutto, il grado di copertura di questi crediti è pari al 43%, al di sotto delle norme internazionali. 

Proviamo a metterci nei panni di un risparmiatore/azionista della Bper, come ce ne sono tanti a Modena, per vagliare in concreto le qualità decantate dal consigliere Ferrari attraverso l’unico metro oggettivo e realistico nella valutazione di un investimento: il rendimento. Per considerare un arco di tempo sufficientemente esteso, ipotizziamo che il nostro risparmiatore abbia acquistato azioni Bper rispettivamente cinque anni fa, quattro anni fa, tre anni fa, due anni fa o un anno fa e confrontiamo questa scelta con il rendimento di investimenti alternativi: da un lato l’indice dei titoli a maggiore capitalizzazione della borsa italiana (Ftse Mib) e dall’altro un titolo di Stato a cinque anni (Btp).  I risultati sono raffigurati graficamente in questa tabella.  

Dalla tabella si evince facilmente che l’investimento in azioni Bper è stato sempre perdente, su tutti gli orizzonti temporali, ed ha sempre generato un ritorno negativo. Anche considerando la componente dividendi, misurabile con la differenza tra il rendimento totale e la variazione assoluta di prezzo, è più rilevante per l’indice che per il titolo Bper. Ciò significa, in parole semplici, che i principali titoli della borsa italiana hanno pagato, in media, maggiori dividendi rispetto all’azione Popolare Emilia. L’investimento in titoli di Stato, infine, ha generato i ritorni più stabili e mediamente maggiori.

A questo punto c’è da chiedersi come mai, nonostante queste deludenti performance finanziarie, i soci/risparmiatori abbiano deciso di rinnovare la fiducia al management che ha guidato la banca in questi anni. Si potrebbe pensare che, nella loro mente, il localismo e la tradizione facciano premio a tal punto da indurli a digerire bocconi finanziariamente così indigesti, sopportando stoicamente pesanti minusvalenze.

Ipotizzando invece, com’è logico che sia, che il risparmiatore modenese medio sia un individuo razionale, la spiegazione va ricercata altrove. Ovvero, nella scarsa rappresentatività del piccolo azionariato nelle scelte di gestione della banca, un fenomeno che interessa tutte le società quotate e che nel caso delle banche popolari, per le quali vige il principio “una testa un voto”, assume connotati patologici, tali da influenzare seriamente l’allocazione efficiente del capitale di rischio.

Sono considerazioni particolarmente calzanti nel caso della Popolare, laddove c’è voluta la creazione di una lista “civetta” per tenere fuori la minoranza contestastrice (nel caso specifico guidata dall’avvocato Samorì) dal cda. A ciò si aggiunga lo sforzo organizzativo messo in campo dalla Coop, che nel depliant informativo ai soci (della banca), oltre agli orari degli autobus, ha fornito anche le istruzioni di voto. C’è da chiedersi, ma la domanda è ovviamente retorica, in cambio di quale contropartita.

*Bud Fox

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