Da noi ci vuole l’America per fare emergere nuove idee?

Da noi ci vuole l’America per fare emergere nuove idee?

Che una Paese possa vivere della propria capacità di attirare le menti migliori l’America l’ha dimostrato. E il talento italiano Oltreoceano ha sempre avuto forme diverse: dal ligure Amadeo Giannini che fondò Bank of America sulle macerie del terremoto di San Francisco, a Camillo Jacuzzi che trasformò l’artrite reumatoide del figlio Kenneth nell’occasione per inventare le vasche da idromassaggio che hanno fatto la fortuna di quel cognome. O ai giorni nostri Lorenzo Thione, creatore del motore di ricerca di Microsoft. Ma qualcosa deve stare cambiando se l’American Chamber of Commerce in Italy (AmCham Italy) organizza un’iniziativa per arginare la fuga dei nostri cervelli.

Venerdì e sabato di questa settimana si terrà infatti a Milano al Palazzo delle Stelline il “Brain Fair Calling 2011 – La fiera delle idee e dei talenti” un evento per fare incontrare domanda e offerta nel campo dell’ideazione e della creatività. I numeri sui circa mille progetti ricevuti dagli organizzatori mostrano che si tratta per lo più di persone nella fascia 31-40 anni (31%) e in quella 26-30 (24%). La maggior parte ha una laurea specialistica (27%) e un post laurea (14%), viene dal Nord (47% rispetto al 19% del Sud) e il sito (www.braincallingfair.it) ha già ricevuto oltre 50 mila accessi.

Di iniziative per sviluppare l’imprenditorialità e la creatività se ne tengono, per fortuna, diverse. Dalla “Mind the Bridge” del gruppo di menti e imprenditori italiani attivi in California attorno a Marco Marinucci di Google al salone “Mi faccio impresa” organizzato dalla Bocconi passando per l’Italia Camp della Luiss di Pier Luigi Celli. Sono tutti eventi più che meritori e i dati della Fondazione Kauffman indicano con chiarezza perché non siano semplicemente utili, sono necessari. Una ricerca del novembre 2009 mostra come negli Usa le aziende con meno di cinque anni di vita sono quelle che nel periodo 1980-2005 hanno creato la stragrande maggioranza dei posti di lavoro.

Ancora nel 2007 su 12 milioni di nuovi posti di lavoro ben 8 sono stati creati da aziende con meno di 5 anni. Non è un caso che il presidente Obama consulti regolarmente la Fondazione Kauffman quando deve discutere di come combattere la disoccupazione. La grande stampa si occupa soprattutto dei grandi gruppi, che per lo più licenziano, mentre se dovesse trattare l’economia dal punto di vista meramente occupazionale, della creazione di posti di lavoro, dovrebbe proprio parlare delle imprese di più recente costituzione.

Anche il peso della fuga dei cervelli è facilmente quantificabile: solo calcolando il valore economico dei 301 brevetti depositati dai 20 principali scienziati italiani emigrati all’estero, si ricava che nei vent’anni dal 1989 al 2009 che si sono persi 4 miliardi di euro, circa 200 milioni l’anno. Secondo l’Ocse poi dei 300 mila italiani altamente qualificati che vivono all’estero circa un terzo (il 32 %) vive proprio negli Usa. Ma allora viene da chiedersi: perché le aziende legate all’American Chamber si spendono così tanto per aiutare noi italiani a valorizzare le nostre idee stando qua? «È bene che rimangano qua, poi ovviamente possono andare anche negli Usa, ma noi cerchiamo di intercettare qui quei giovani talenti in erba per affinare i loro talenti» risponde Simone Crolla, consigliere delegato di AmCham Italy. «Poi, ovviamente, è una loro scelta se restare o meno. Noi siamo americani sì ma anche italiani. Le aziende americane comunque lavorano e investono in Italia e quindi hanno tutto l’interesse a fare crescere qua dei talenti». Del resto nell’epoca del lavoro in remoto è anche vero che «si può dare un contributo alla casa madre anche stando qua, si possono fare partire progetti anche senza lasciare l’Italia».

Come sono buoni gli americani che ora ci aiutano a stare qua, viene quasi da insospettirsi. Eppure dietro a tanta generosità, sottolinea Crolla, non c’è niente altro che «un’iniziativa di responsabilità sociale di grandi aziende che vivono qua e vogliono fare crescere anche il territorio». Forse si rendono conto che il Paese sta messo davvero male e hanno capito che gli conviene fare qualcosa. «Più o meno possiamo dire che è cosi», risponde.

Le aziende sottoscrivono dei documenti con cui si garantisce che l’idea che verrà proposta non verrà rubata. Fra le nove aziende che prendono parte ci sono UniCredit, McKinsey e Pepsi con le prime due che sono le più richieste (21 e 17% rispettivamente). Nei due giorni dell’iniziativa i partecipanti selezionati hanno degli appuntamenti con i rappresentanti delle aziende per esporre nel dettaglio le loro idee. E questa per Crolla è la differenza con le altre iniziative: «al nostro evento racconti l’idea all’utilizzatore finale» dice citando un celebre avvocato.

Per le famiglie l’immigrazione, sottolineava tempo fa un esperto del Viminale, è spesso una forma di selezione. Chi manda i figli all’estero a studiare seleziona il migliore, quello che ha più possibilità di farcela. E questo vale per chi li manda ad Harvard come che per chi li carica su un barcone in cerca di fortuna nel Canale di Sicilia. L’investimento delle due famiglie in proporzione è lo stesso. L’immigrazione è quindi in qualche modo già una forma di fuga, se non sempre delle menti più brillanti, almeno dei più forti intesi come i più adatti. Ma il fatto che il 73% dei “cervelli” italiani all’estero non voglia tornare in Italia è un dato ancora più preoccupante. Dato a cui magari un giorno alcune delle nuove imprese che, si spera, nasceranno da queste idee, porranno un rimedio.    

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