Due nomi e qualche domanda per la Milano di Pisapia

Due nomi e qualche domanda per la Milano di Pisapia

Tocca, tutto, a Giuliano Pisapia. Fin qui ha vinto lui, dicendo meno che poteva su Milano e in generale. In questo modo strano ha perfino battuto Berlusconi sul suo terreno: la giustizia. Di fronte adesso a una Letizia Moratti travolta da una botta enorme, che segna la rotta di una coalizione a pezzi in mezza Italia. Ha vinto, Pisapia, dentro a un partito e a una coalizione che continuano a somigliare, molto, a quelli che Berlusconi aveva punito molte volte, nelle urne.

Insomma, le probabilità che a Giuliano Pisapia tocchi di governare Milano si fanno davvero concrete. Val la pena quindi di abbandonare per un po’ il palazzo romano, e di pensare a Milano. A come migliorarla davvero confrontandosi, aldilà delle propagande con le poche cose fatte – o quantomeno davvero progettate – dalla precedente giunta.

Partiamo dal Pgt, il piano di governo del territorio di cui Milano si è dotata nella precedente giunta. Il Pgt, riguarda l’ediliza, l’urbanistica, e l’architettura: elementi sulla quale Milano aveva progettato, o almeno annunciato il proprio futuro nei primi anni del 2000 con Albertini sindaco. La città, al momento, è piena di progetti, di cantieri e di immobiliaristi falliti che non hanno reso Milano migliore. Il Pgt sostituisce i vecchi “piani regolatori”, e presuppone una visione della città, un rapporto reale con interessi, bisogni, terreni, padroni. Il Pgt di Milano sta dentro ad una continuità: come strumento urbanistico regionale l’ha prodotto Formigoni sul finire della sua seconda Giunta, nel 2005. E come piano comunale, l’ha caparbiamente voluto un uomo legato a Roberto Formigoni e a Comunione e Liberazione, l’assessore all’urbanistica Carlo Masseroli. Uno che per forza di cose dialoga, tratta, concorda: con immobiliaristi, costruttori,  architetti, cittadini. 

Il Pgt di Milano stabilisce quanto si potrà costruire nei prossimi anni, quali funzioni fare e dove. Il Piano si fonda su capisaldi controversi: social housing, mix urbano, standard, perequazione, e ripensa in modo abbastanza radicale anche tutto il sistema dei servizi cittadini. È un pgt, quello approvato dal centrodestra, che favorisce e facilita l’edificazione all’interno del perimetro comunale: scommette sulla voglia di vivere a Milano, e sull’edilizia come cardine dell’economia cittadina. Ovviamente, si potrebbe discutere a lungo e di molte cose, e molto di questo Pgt resta da capire. Tuttavia, propone una visione della città con cui confrontarsi seriamente, aldilà di quel po’ di propaganda identitaria che giova alla causa. Ora Pisapia deve dire che città ha in testa, davvero, e se pensa seriamente abolire il Pgt ci spieghi cosa metterà al suo posto. Lo stato in cui è ridotta Milano, a cominciare da periferie semicentrali, non autorizza proprio a proporre un ritorno al sistema che preesisteva il Pgt di Masseroli. 

Proprio Masseroli, sfinito da una campagna elettorale fatta in giro per Milano e da una sconfitta che rende uguale la Moratti e Silvio Berluconi, diceva qualche ora fa: «Io e Pisapia? Incompatibili, non esiste». Perché con loro «la città si ferma, bloccheranno subito il Pgt». Sarebbe utile a Milano e quindi a Pisapia sfidare Masseroli sul suo terreno, spiegare perché Milano non si fermerà e poi proporgli di lavorare insieme per la città. Uno che ha fatto un Pgt, nella Milano presa in pieno dalla crisi dell’immobiliare, è forse una risorsa da non accantonare troppo in fretta.

Se il Pgt è Milano che pensa se stessa, l’Expo è – dovrebbe essere – Milano che proietta se stessa nel mondo, invitando il mondo a passare di qua in una grande esposizione intrenazionale che dura un semestre. La vicenda ha dell’assurdo, del paradossale. È la storia una idea potenzialmente bella, paralizzata per tre anni dai litigi, la scarsità di fondi, dalle lentezze burocratiche. Dal 2008, anno dell’assegnazione al 2011, si sono succeduti diversi amministratori delegati, diversi schemi societari, diversi immaginari. I pochi fondi stanziati da Tremonti e l’imbarazzante inconcludenza dei vertici cittadini ne hanno fatto una lunga chiacchiera oziosa. Al suo interno, il centrosinistra di Pisapia esprime la solita molteplicità di visioni, tendenzialmente incompatibili tra loro e, in alcuni casi, con il governo dell’evento: c’è il capolista del Pd Stefano Boeri, che per l’Expo ha lavorato come consulente prima di scendere in politica, e c’è l’ala sinistra che vede solo speculazione e cementificazione. Un po’ come capita parlando di Pgt. Pisapia potrebbe fare una scelta: spiegare la sua idea di Expo al più presto; dire cosa ci metterà e in che tempi e confermare l’amministratore della società Giuseppe Sala, che ha dato concretezza e senso pratico a una storia sbagliata, garantendo continuità. In questo modo, zittirebbe per la seconda volta chi dice che il suo centrosinistra sono nemici della crescita della città.

Non bastano naturalmente Expo e Pgt, ma sono due buoni test, offerti a Pisapia dalla cronaca degli anni scorsi e dei prossimi, per dimostrare che idee e che squadra ha in testa e attorno a sé. Anche sul tema delle partecipazioni, delle regole della trasparenza per evitare un terzo caso del Pio Albergo Triulzio, dell’ambiente (che facciamo ad esempio con l’Ecopass?), Milano ha sicuramente bisogno di capire cosa vuol fare Pisapia, con che risorse e quali persone. Sono tutti temi che affronteremo, da qui al secondo turno per capire che volto assumerà Milano se, per la prima volta dal 1994, sarà governata dal centrosinistra. 

Questa città, del resto, ha appena votato per dire che alle chiacchiere crede poco. Ha votato per punire i fallimenti del centrodestra, e non per fiducia nelle idee e nelle capacità del centrosinistra. Pisapia non si accontenti di dov’è arrivato: inizi a spiegare, davvero, la sua Milano. 

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