E la “rivoluzione spagnola” adesso sfida la polizia

E la “rivoluzione spagnola” adesso sfida la polizia

Gli indignados sono stati zittiti, ma sembra non per molto. La Giunta Elettorale Centrale di Spagna ha proibito, per domani, gli assembramenti del gruppo 15-M, che da giorni si ritrova nelle piazze di oltre 50 città spagnole per protestare contro la cattiva politica, la corruzione, la scarsità di attenzione per i diritti. Il movimento, nato da un tam-tam corso lungo internet, è un fenomeno improvviso, organizzato e pacifico, che ha trovato il suo sbocco nei cortei a Puerta del Sol, a Madrid, subito estese anche ad altri centri del Paese come Barcellona, Valencia, Siviglia, Bilbao e Almeria.

Le prime avvisaglie sono nate però settimane fa. Prima con il sito Nolesvotes (Non votarli), che criticava i due principali partiti spagnoli, invocando una nuova legge elettorale che permettesse una maggiore apertura democratica. Poi è stato il momento di movimenti come Avaaz o Actuable, che hanno richiesto liste elettorali libere da politici imputati. E poi, i giovani della Juventud sin Futuro, che lo scorso 7 aprile sono scesi in piazza. Una massa che si è man mano allargata fino al fatidico 15 maggio. «Noi, i disoccupati, sottoccupati, mal pagati, con contratti precari, insomma, i giovani di Spagna, vogliamo un cambiamento. E un futuro dignitoso», dice Ines Bajo, di 24 anni e disoccupata. Così han cominciato a marciare. Verso Puerta del Sol, cuore della protesta.

Ora, però, dovranno fermarsi. O almeno, interrompersi: il giorno prima delle elezioni municipali e regionali è giorno di riflessione pre-elettorale dice la Giunta. Le manifestazioni potrebbero turbare il corretto svolgersi delle votazioni. La decisione è stata approvata ieri con cinque voti a quattro. Tra i favorevoli allo stop, c’erano i due membri della giunta indicati dal Partito Popolare. Invece, dei due indicati dal Psoe, il partito di Zapatero, uno si è astenuto e l’altro si è detto contrario, finendo nei quattro voti contro.

Per chi protesta, però, sembra che non cambi molto: la decisione della giunta non verrà rispettata. O meglio, secondo quanto riferiscono i portavoce del movimento, non saranno convocati raduni ufficiali in piazza. Ma ognuno potrà esercitare a proprio modo la sua “riflessione pre-elettorale”. Non c’è paura della polizia. Del resto, anche il vicepresidente Alfredo Pérez Rubalcaba sembra restio a impiegarla: le forze dell’ordine «servono a risolvere i problemi, non a crearne di nuovi», ha dichiarato. In ogni caso, sembra difficile che si faccia ricorso alle forze dell’ordine a meno che non si verifichino episodi violenti o che possano turbare l’ordine pubblico. E non sembra questo il caso.

A mezzanotte, quando scatterà il divieto, i manifestanti passeranno dello scotch sulla bocca: un modo per far vedere come siano stati “silenziati” dalle autorità. Non verrà fatto alcun riferimento a partiti politici, e non ci saranno indicazioni di voto. In piazza entrambe le formazioni politiche sono poco amate. Come recita il loro manifesto, ci vuole più democrazia, meno corruzione. In particolare, si chiede apertura nelle liste dei partiti, l’eliminazione degli imputati dalle stesse il cambiamento della legge elettorale. Inoltre, più attenzione all’economia, da tempo in crisi. Nei loro slogan i due partiti, il Pp e il Psoe, sono messi sullo stesso livello: entrambi appartengono alla stessa classe politica che cerca di sopravvivere a ogni costo, ignorando i problemi del Paese.

E così procede la protesta, che da subito ha ricevuto l’investitura di “primavera spagnola”. Come i loro colleghi nordafricani e arabi, anche in questo caso si tratta di giovani (la media dei manifestanti si aggira sui 24 anni), molti di loro disoccupati e studenti (insieme, sono il 48%), che si servono del web per sostenere la rivolta. Il malcontento causato dalla crisi è forte, se si considera il 45% di disoccupati nel Paese. Ma i modelli forse sono diversi: già domenica scorsa (l’ormai leggendario 15 maggio) gli stessi manifestanti si richiamavano ad altri esempi: «Da grandi vogliamo essere islandesi», gridavano. Oppure: «la Spagna in piedi: una nuova Islanda». Con riferimento ai movimenti di Hördur Torfason, che nel 2008 avevano provocato lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, attraverso continui raduni al sabato.

E il sabato sta per arrivare a Puerta del Sol, ormai nelle mani dei manifestanti. La piazza, organizzata, e suddivisa con ordine, accoglie le proteste e si trasforma in luogo di riunione e discussione. Ma non manca l’angolo cucina, l’ufficio stampa, il punto informazione e assistenza legale. Ci sono anche gazebo per l’infermeria, e per lo svago. Una piccola città, suddivisa in commissioni, senza gerarchie e con pari dignità. E soprattutto, indignata.
 

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