Gli immigrati di Pisapia vogliono meno rom e più scuole

Gli immigrati di Pisapia vogliono meno rom e più scuole

Quarantotto candidati (in dissenso col decreto governativo che li ha aumentati a sessanta), 27 donne e 21 uomini, tutti incensurati. In rigoroso ordine alfabetico. Quattro giornalisti, due professori che insegnano all’Università, sei liberi professionisti partite iva, tre sotto i vent’anni, tre cittadini di origine straniera, e poi avvocati, imprenditori, medici, architetti, ambientalisti, consulenti finanziari, ricercatori, e nessun capolista. È la fotografia della lista Milano Civica x Pisapia, una di quelle che sostengono il listone del candidato sindaco per il centro-sinistra, Giuliano Pisapia. La lista del «civismo, delle professioni, del fare, dei moderati», ha detto l’avvocato. Sessantamila euro di budget, «Perché noi non abbiamo un marito che ci regala la campagna elettorale», dicono, riferendosi ai presunti 25 milioni di euro donati da Gianmarco a Letizia Moratti. Dentro, qualche nome noto e un po’ di curiosità. Francesco Mazza fa l’autore televisivo per Striscia La Notizia ed è figlio del più noto Massimo, dentista e igienista del premier Berlusconi da circa undici anni. Fu lui, per intenderci, quello che si occupò della ricostruzione dei due denti danneggiati al premier, dopo l’attentato di Tartaglia al Duomo, nel dicembre di due anni fa. C’è uno studente liceale che frequenta il Berchet, Alessandro Generali, e si divide tra i banchi di scuola e la campagna elettorale.

C’è un ex partigiano, Enrico Nobile, 82 anni e tanta voglia – ancora – di volantinare. C’è Franco Bomprezzi, giornalista disabile, che aspetta qualcosa di nuovo – poiché nessuno è ancora intervenuto in tal senso, a suo giudizio – contro le barriere architettoniche che gli impediscono di muoversi a Milano. Cè Viviana Varese, chef, e Anna Scavuzzo, insegnante e nella segreteria Lombardia dell’Agesci. C’è un editore, Nanni Anselmi, filosofo della “rockterapia” per fronteggiare la Sla che lo ha colpito nel 2005. C’è la Lega delle Cooperative con Mattia Granata, il bancario senegalese – Cheikh Tidiane Gaye – e l’area socialista (Alberto Anzalone, commerciante, e Giuliana Nuvoli, studiosa). Ci sono pezzi di sindacato: la UilTucs (il settore commercio del sindacato Uil), la Aldai (associazione lombarda dirigenti d’azienda industriali), il sindacato dei giornalisti. Tra i cronisti: Marina Cavallo in Codecasa – ha fondato, con altri, D di Repubblica, Anna Del Freo e Cristina Jucker, del Sole 24 Ore (sta loro a cuore il tema del lavoro e quello dell’economia). In piazza San Babila a Milano, tre dei candidati – Luana Desiré Carraro, di origine eritrea, Maria Stefanache, rumena, e Cheikh Tidiane Gaye, senegalese – hanno presentato le loro proposte su “Immigrazione e Nuovi Italiani”.

Chiediamo a Maria Stefanache – romena, regista teatrale e documentarista, 49 anni – cosa pensi dei recenti sgomberi dei campi rom, decisi dal vicesindaco pdl De Corato. «La Moratti si è disinteressata del problema». D’accordo. Proposte? «La soluzione per ora non c’è». Ah, dunque la Moratti non si è disinteressata della cosa: è che non c’è rimedio? «Voi giornalisti pensate che si possa risolvere il problema su due piedi». Obiettiamo che la questione, in realtà, va avanti da anni. «Allora le dico che dei 5 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea destinati al problema, la Moratti non ne ha speso neppure un centesimo». Di quali finanziamenti parla? «Mi scusi, su questo non sono preparata, io mi occupo di altro». Ma il tema non è l’integrazione? «Senta, voi giornalisti, non fate una distinzione tra rumeni e rom. I rom sciupano la nostra immagine, chiedono soldi e approfittano della generosità degli italiani che li accolgono. Ci vuole accoglienza, ma dentro il perimetro della legalità. Nel rispetto dei 12 articoli della costituzione italiana». In concreto? «Non lo so, ma di certo Pisapia ha un buon progetto in merito». Ma lei non si candida in una lista a lui collegata? «Sì, ma se lo faccia dire da lui. Io voglio parlare delle altre mie idee sull’integrazione». Prego. «A Milano manca l’informazione per tutte le comunità straniere multilingue: i filippini, i cileni, gli ecuadoregni. Io mi candido per tutti loro, i nuovi milanesi. Un’altra grave carenza è in tema di lavoro. Sul sito del comune occorrerebbe una sezione in cui vi siano (in tante lingue quante sono le comunità di stranieri) le offerte e le proposte di lavoro che agevolino i non italiani che vivono in città. E poi, la ristorazione. Pensi a Parigi. Sotto il Louvre vi è una macrostruttura che accoglie la cucina di tutti i paesi del mondo. Perché non pensare a qualcosa di simile anche qui da noi, in modo da far sentire più integrati gli stranieri?».

Bene. A proposito di cibo e nutrimento, un suo giudizio sull’ Expo? «No, guardi, devo approfondire, non sono preparata». Va bene, allora sul Pgt (Piano di governo del territorio)? «Senta, io non sono una politica di professione, devo studiare, non so molto sull’argomento». Perfetto. In fondo noi dovremmo solo darle il nostro voto per rappresentarci in consiglio comunale. Passiamo a un’altra candidata. Luana Desiré Carraro, di origine eritrea. Trent’anni, precaria, impiegata in un liceo artistico, babysitter per arrotondare, ma lavora in teatro da dieci anni. Cosa propone su immigrazione e integrazione? «I corsi serali nelle scuole civiche, per consentire ai residenti stranieri, comunitari e non, di imparare la lingua italiana. Le strutture ci sono già, sarebbe a costo zero». E i fondi per retribuire gli insegnanti? «Abbiamo pensato a una forma di volontariato: ad esempio, precettare i docenti che hanno ancora voglia di insegnare e sono in pensione. La tendenza del centro-destra è quella di esternalizzare anche l’istruzione. E invece, dovremmo utilizzare le risorse pubbliche già a disposizione, sarebbe anche un modo per sostenere i precari e i disoccupati».

Proseguendo sul tema, cosa proponete sul problema della gestione dei figli, per le lavoratrici straniere? Quali strutture li possono accogliere durante le ore che le donne trascorrono in ufficio? «Abbiamo pensato all’esempio della Francia. Vi sono modelli di quartiere basati sul volontariato, in cui piccoli nuclei autogestiti di donne si occupano anche dei bambini degli altri, a turno. Pensi al sistema della banca del tempo. I figli sono di tutti, in questo modo, appartengono al quartiere». Ottimo. Avrà certamente letto, allora, il piano dei servizi compreso nel pgt. «No». Si parla di valorizzare le forme, già forti in città, di associazionismo e volontariato. Una sorta di delega del pubblico al privato, in tema di servizi, anche per quanto riguarda l’infanzia, gli asili nido, la gestione dei figli. «In questo senso, allora, vorrei che ci fosse una forte regia del pubblico, che non si abbandonasse tutto all’iniziativa privata». È quello che c’è scritto sul piano di servizi. «Le ripeto, non l’ho letto».  

paola.bacchiddu@linkiesta.it

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