C’era una volta la città dell’efficienza, dell’economia privata, che era stanca di pagare le tasse che finivano in spesa pubblica. Questa città si chiama Milano e oggi, nel pieno di una campagna elettorale che ha svoltato in modo inatteso, si trova assediata di promesse che arrivano da Palazzo Marino come da Palazzo Chigi.
Promesse che non ci piacciono, perché non fanno il bene della città e non assomigliano alla storia della città, né al suo miglior futuro. La prima: spostare alcuni ministeri a Milano. L’idea, lanciata da Silvio Berlusconi su spinta della Lega e rifiutata con toni da rottura dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, ha già scatenato una ridda di polemiche e ipotesi variegate. Saranno Ministeri. No, saranno solo dipartimenti. E così via.
Tra smentite e controsmentite segnaliamo che questa città dei ministeri non ha mai avuto particolare bisogno, anzi. La Seconda Repubblica, tra eccessi e miopie, è nata proprio a Milano, e proprio per stanchezza rispetto a una macchina pubblica e politica asfissiante. Strappa quindi un sorriso amaro quando Umberto Bossi, che è diventato qualcuno dicendo Roma Ladrona, oggi promette ministeri come volano di occupazione per la città. Con tanti saluti all’efficienza e al controllo della spesa pubblica fatto attingendo dalle nostre tasche tanto caro, una volta, alla Lega.
C’è poi una seconda proposta, di tono un poco minore ma sempre significativo di un clima: il taglio delle multe, promesso dal sindaco Letizia Moratti. Che oggi spiega che non di taglio generalizzato si tratterebbe, ma solo di un condono mirato ad alcune violazione dell’Ecopass. Va bene, non ci piace lo stesso. Perché punisce chi ha già pagato, chi ha commesso un’irregolarità e poi magari è stata solerte nell’espiare la sanzione. Perché, esattamente come per l’altra proposta di abolizione di ampie zone di parcheggi a pagamento ventilata dalla Moratti nei giorni scorso, adombra un voto di scambio che ha poco da invidiare alla tradizione di Lauro e della peggior Prima Repubblica.
E perché, infine, si tratta di soldi nostri, di cittadini e contribuenti che non hanno voglia di vederli spesi in nuovi carrozzoni né di veder premiati, secondo tradizione, i furbetti di ogni sorta.