La Consob è con il mercato o con il Sistema di Ligresti?

La Consob è con il mercato o con il Sistema di Ligresti?

Quando ci si chiede perché in Italia la gente si fida sempre meno della Borsa, non bisogna andare troppo lontano. La scarsa cultura finanziaria degli italiani è certo un fattore rilevante, ma non deve essere un alibi.

È ampiamente dimostrato, oltre che intuitivo, che se gli azionisti di minoranza sono protetti, il risparmio affluisce e il mercato azionario di sviluppa. Con beneficio per risparmiatori e imprese, e quindi per l’Italia nel suo insieme. All’opposto mercati azionari poco sviluppati e alta concentrazione degli assetti proprietari possono essere sintomi di una insufficiente tutela degli azionisti di minoranza. Questa relazione, ribadita lunedì 9 dal neo presidente della Consob, Giuseppe Vegas, (vedi Discorso, paragrafo 4), in Italia sembra non avere funzionato. Perché?

Perché nonostante tutto l’apparato di regole adottato dalla legge Draghi in avanti, ogni volta che si vanno a toccare i vari potentati spunta sempre una “interpretazione” che favorisce la conservazione degli intrecci e degli equilibri interni dei centri di potere finanziario esistenti. Il cosiddetto “Sistema”. Persino nei casi più indifendibili. 

L’esordio del nuovo presidente della Consob ha però aperto (forse) qualche spiraglio di speranza. Due mesi fa la commissione guidata da Vegas ha ricordato ai Ligresti, una delle famiglie che da decenni è al centro del potere finanziario italiano, che c’è un giudice anche a Piazza Affari.

A fronte del patto stretto fra la famiglia di costruttori-assicuratori e il gruppo francese Groupama, ha stabilito che dovessero lanciare una doppia offerta pubblica d’acquisto: sulla Premafin, la società oggetto del patto, e sulla controllata Fondiaria-Sai. La decisioneè stata letta come un segnale positivo per restituire credibilità alle regole del mercato finanziario. Tanto più significativo perché è arrivato all’inizio del mandato del nuovo presidente, in carica da gennaio.  

L’assuefazione all’andazzo degli ultimi anni era tale che quasi tutta la stampa ha parlato di “decisione a sorpresa”. La sorpresa sta in questo: Consob è andata al cuore della questione, oltre le sofisticazioni legali e formali del patto. Perché i francesi erano disposti a strapagare i Ligresti per acquisire una quota della Premafin, la malandata holding quotata della famiglia, quando avrebbero potuto comprare con minor spesa in Borsa? Perché in cambio ricevevano una porzione di potere (di controllo) su un gruppo che ha il suo principale attivo nella compagnia assicurativa Fondiaria-Sai. Da qui, ha deciso la Consob, l’obbligo di Opa, lo strumento che assicura parità di trattamento a tutti gli azionisti.

La decisione ha messo in subbuglio tutti i potenziali interessati: le altre imprese quotate, le banche e gli avvocati d’affari. Indubbiamente, si è trattato di una svolta radicale. A differenza che nel passato, la Consob ha adottato un approccio “sostanzialista”, andando al sodo, in chiara contrapposizione con la linea “formalista” (e nei fatti non amichevole verso gli interessi del pubblico di risparmiatori) che era stata la cifra della presidenza di Lamberto Cardia. Colta quindi l’essenza dell’accordo, i commissari hanno tradotto e argomentato in “legalese” la loro decisione.

A questo punto il patto con i francesi è sfumato (Groupama non ha risorse sufficienti per la doppia Opa) e i Ligresti hanno raggiunto un accordo con il “Sistema” (v. Unicredit ha salvato il soldato Ligresti). Nello specifico è stato siglato un patto con Unicredit, banca di cui i Ligresti sono soci e verso cui sono esposti per 380 milioni (su un debito totale che, secondo il Sole 24 Ore veleggia a quota 2 miliardi). L’appoggio di Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit ed esponente del mondo delle fondazioni, è stato decisivo. Ufficialmente Unicredit è intervenuta «per tutelare il nostro credito», ha detto Federico Ghizzoni, l’amministratore delegato di Unicredit.  

Ma il tema che si era posto con Groupama resta immutato, anche se il nuovo patto Premafin-Ligresti presenta qualche accortezza legale in più, pensata ad hoc per evitare l’obbligo d’Opa, alla luce della risposta che la Consob aveva dato ai francesi. La sostanza, però, non cambia: anzi, per certi versi, le probabilità concrete che il nuovo socio bancario influisca sulla gestione sono aumentate. 

Se così non fosse, perché mai Unicredit dovrebbe pagare circa 110 milioni di euro alla Premafinper avere il diritto di investirne altri 60-70 milioni per avere il 6,6% di una società (Fondiaria) che ha disperatamente bisogno di liquidità? Secondo Ghizzoni, la differenza starebbe nel minore premio garantito ai Ligresti: «Noi compreremo i diritti pagandoli l’equivalente di 12 euro per azione, Groupama li avrebbe pagati tra i 19 e i 20 euro». Il valore di mercato di questi diritti (che sono sostanzialmente una prelazione dei vecchi soci rispetto ai nuovi) arriva a mala pena a 1,5 euro. I Ligresti, via Premafin, conservano i benefici del controllo (con una quota superiore al 35%) , sia pure in misura affievolita, mentre Unicredit avrà una serie di pesanti garanzie affinché l’azionista Ligresti sia (sono parole di Palenzona) «più rigoroso». 

In che cosa consiste il rigore imposto dal creditore-salvatore? La banca di Piazza Cordusio avrà il diritto di designare tre consiglieri di amministrazione, due dei quali entreranno a far parte del comitato esecutivo, l’organismo ristretto cui spetta la conduzione degli affari della compagnia. Unicredit avrà poi il diritto di nominare un sindaco o, se non ci sono liste di minoranza, il presidente del collegio sindacale. Potrà dire la sua sui piani industriali e anche sul budget annuale e avrà diritto di veto su eventuali aumenti di capitale.

Se tutto questo non fosse sufficiente, Piergiorgio Peluso – il banchiere di Unicredit che ha trattato tutta l’accordo in quanto responsabile dei rapporti con i grandi clienti – lascerà la banca per andare a fare cosa? Il direttore generale di Fondiaria-Sai con delega alla finanza. «Unicredit si assicura sul rischio Ligresti, la banca, grande creditrice del gruppo, vuole seguire da vicino la gestione», ha titolato giovedì 5 maggio il quotidiano Finanza & Mercati, commentando il passaggio di Peluso. Inoltre, l’istituto di Ghizzoni sarà tutelato anche dai cosidetti covenants, clausole che vincolano le scelte gestionali del debitore, stabiliti di recente nell’ambito della rinegoziazione dei debiti di Premafin. Insomma, ce n’è quanto basta perché, se vuole, la Consob possa argomentare a supporto della tesi del cambio parziale del controllo, e quindi dell’obbligo di Opa. A tutela dei piccoli azionisti.

Su questo secondo patto, proprio in queste ore, nelle stanze dell’autorità di vigilanza del mercato si sta svolgendo un duro confronto fra i commissari. Le previsioni della vigilia indicano di un via libera, probabilmente con qualche aggiustamento, ma così era anche prima della “decisione a sorpresa” su Groupama. Il voto e l’azione di persuasione del presidente può fare la differenza: così come è stato nel primo caso.

La domanda è se prevarrà l’orientamento di tutela degli azionisti o se invece verranno difese, ancora una volta, le ragioni del “Sistema”. In quest’ultimo caso, avrà ragione chi, in occasione della risposta data a Groupama, parlò di difesa non del mercato ma dell’«italianità» di Fondiaria Sai e, ancora meglio, delle partecipazioni che la compagnia detiene in Mediobanca e Rcs.

Al di là dei formalismi e delle argomentazioni legali che verranno usate, per la Consob di Vegas si tratta di scegliere fra le ragioni del mercato e dei risparmiatori e quelle del Sistema. E poi non ci si lamenti se la gente sta alla larga da Piazza Affari e le Pmi non trovano soldi per svilupparsi.

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