Dopo un’ora di intervento viene giù il terzo spettatore, colto da malore. «Vi prego di stare in salute fino almeno a domenica prossima». Il pubblico ride. Vendola interrompe così un eloquio perfino più lungo di quello del premier, ieri al Palasharp. Se l’uno si è speso in un’ora esatta, davanti al palco pidiellino, il presidente della Puglia esagera: un’ora e un quarto. A Milano, all’Arco della Pace, ci è arrivato in un tardo pomeriggio (sono le sei) molto più caldo del previsto. E’ stanco, sudato, ma la sua è una visita obbligata per sostenere, all’ultimo miglio di una campagna elettorale dall’esito imprevedibile, il candidato del centro-sinistra Giuliano Pisapia.
L’Arco della Pace è accerchiato da diecimila persone (gli organizzatori ne dichiarano 5mila di più). Indubbiamente un’affluenza più ricca e partecipata di quella accorsa ieri attorno al sindaco uscente, Letizia Moratti. Lo staff delle Fabbriche di Nichi si aggira attorno al palco con indosso la maglietta scura “Milano riapre la partita. Vinciamola”. Il pubblico ha molti più volti giovani di quelli che si sono visti per il centro-destra, come già si era osservato in Duomo, da Grillo, per il candidato Calise. Ai cronisti che gli chiedono, prima di salire sul palco, se la scommessa di riprendersi il fortino di Milano – dopo quindici anni di destra – non esigesse un candidato meno “mite” di Pisapia, Vendola risponde che «La mitezza è una caratteristica meravigliosa, proprio l’opposto della consuetudine al pitbullismo», prerogativa di matrice berlusconiana, a suo avviso.
Questa della mitezza non è solo un dettaglio di colore. Durante le primarie, l’avvocato Pisapia si avvalse di uno slogan molto mite: “La forza gentile”, che riecheggiava addirittura una storica campagna elettorale di Mitterand. Qualcuno dalla base informò il candidato di Sel che il refrain mal s’attagliava a un carisma ancora tutto da dimostrare. Tanto più che, dall’altra parte, c’era molto denaro, visibilità e un’artiglieria ben collaudata, come bottino da spendere in campagna elettorale. In realtà, anche dai suoi, l’obiezione che più ricorre contro l’avvocato è che, per queste amministrative, si sia visto e sentito poco. Qualcuno insinua che età e temperamento non concedono più di tre eventi in giornata, altri rispondono con la consueta difesa: «Ma gli altri hanno più soldi». Fatto incontestabile, certo – il centro sinistra ha speso, per questa campagna, poco più di un milione di euro: spiccioli contro le decine di milioni ipotizzate per la Moratti, che a Linkiesta ha dichiarato una spesa tra i sei e i sette milioni – ma forse un motivo in più per essere presente.
Quando sale sul palco, Pisapia, rassicura che «Siamo gentili, ma anche forti. E capaci di alzare la voce». Uno, dal pubblico, ci dice che «Finalmente parla da avvocato, con la giusta oratoria. Lo doveva fare prima». Poi biasima un’inefficacia culturale, a sinistra, nella comunicazione politica: «Quando Berlusconi parla, lo fa non solo ai seimila del Palasharp, che possono sembrare pochi. Ma ai milioni cui viene rilanciato in televisione, ai giornali che possiede, al paese intero: dalla Lombardia alla Sicilia». Perché voterà Pisapia? «Perché deve fare tre cose: portare aria pulita nelle istituzioni, fornire una prospettiva alle categorie più deboli e attuare una rottura col malaffare in politica».
L’avvocato, sul palco, ricorda, parlando del centro destra, che «Ci hanno accusato di tutto. Di voler aumentare le tasse, di sottrarre le case ai poveri per darle ai clandestini. Perfino di copiare il loro programma elettorale: ma è impossibile perché la Moratti ha già copiato il suo di 5 anni fa, non riuscendo a realizzarlo». Nel suo breve intervento, ricorrono sostantivi cari alla cultura di sinistra: “associazionismo, comitati di quartiere, legalità”. Sogna una città amica dei bambini, a misura di donna, e attenta a giovani, cui vuole restituire non solo il presente, ma anche un futuro. Sull’ipotesi del ballottaggio, mentre legge il discorso con gli occhiali sulla punta del naso (Berlusconi, ieri, andava a braccio), risponde che non gli interessa andare al primo o al secondo turno: «L’importante è vincere».
Ovviamente, si andasse al ballottaggio, si potrebbero raccogliere i voti (antiberlusconiani) spesi al primo turno per il grillino Calise e per Manfredi Palmeri, il candidato Fli che – in realtà – ha sempre dialogato col centro-sinistra, in questi mesi, nel chiuso degli uffici adiacenti a Palazzo Marino. Quando si chiede del secondo turno a Vendola, risponde che non ha la palla di vetro, ma sente «un profumo di cose buone, a Milano». Dentro una camicia glicine, abito scuro e scarpe da tennis nere, Vendola muove – come la consuetudine ci ha insegnato a riconoscere – le corde emotive di chi lo ascolta. Al repertorio collaudato, aggiunge delle chicche. Quando cita la scomparsa dell’emergenza Fukushima, dai giornali, ricorda che è stato Leopardi a insegnarci che «Contro la natura matrigna, bisogna fare catena umana e prendersi per mano. Non sfruttare la paura, strumentalmente, come fa Berlusconi».
Come già per il Cavaliere, il suo intervento si apre alla politica nazionale a alla condizione del paese: solo l’ultima decina di minuti è dedicata a Milano. In questo, però, furbescamente, ribatte a Borghezio – che in un’agenzia dice che Napoli è da «gettare in discarica» – urlando che «le città del Nord sono incantevoli quanto quelle del Sud». Una spolverata ai vecchi arnesi della cultura di sinistra, mentre ribadisce «l’importanza dello sciopero», e un’altra stoccata alla destra: «Non ci sto a giocare al rilancio in un duello in cui ci si sfida sull’odore del sangue. Rivendico il mio diritto a non voler cambiare i miei connotati per assomigliare a un pitbull, come La Russa e Gasparri». E chiama la risata. Scivola spesso nel gandhismo, come quando estende i confini del discorso da Milano all’umanità: «Dobbiamo riprenderci il senso della parola libertà. Una libertà responsabile. Capace di abbracciare il genere umano. Non la libertà di inquinare, di delinquere e dello stupro».
Una signora ci dice che arriva da Cesano Boscone. Vuole sentire Vendola, anche se non vota in città, perché «L’importante è buttare fuori Berlusconi. Se vince Milano, vince il paese». E applaude quando il governatore urla al centro-destra: «Oh, siete vecchi! Godetevi la vecchiaia che è bellissima, perché diventate fragili e la fragilità ci rende fratelli e sorelle nel mondo!». Poi, consapevole di avere in prima fila due disabili, prosegue: «La bellezza l’ho vista, io! Camminava sulle gambe di un ragazzo paraplegico che lottava. Spegnete quella tv volgare! Aprite il cuore alle conoscenze del mondo!».
Una donna sui quaranta racconta che voterà Pisapia perché, nel programma elettorale, ha promesso molti interventi per l’infanzia: «Ho un bambino di due e uno di quattro anni. I servizi sono spariti. Siamo noi genitori a finanziare, di tasca nostra, le scuole. Le strutture sono fatiscenti, gli insegnanti si ammalano e non vengono sostituiti. Io abito in zona 6, Inganni: voglio più nidi». «E integrazione! – aggiunge una accanto a lei – Lo scriva che gli stranieri sono buttati sui marciapiedi, che ci sono scuole solo di extracomunitari e i genitori italiani scappano. Pisapia ci ha promesso di occuparsene». Su Letizia Moratti gli umori convergono: «E’ ricca, incapace e disonesta, ha peggiorato la città». Nichi Vendola la cita come una strana chimera che racchiude in sé «un incrocio tra Crudelia Demon e Mary Poppins» Il pubblico urla che «Milano ha perso l’allegria».
In realtà di “nativi” ce ne sono pochi. Ciascuno, però, un pezzo della città lo ha nel cuore: frutto della lunga permanenza qui, a dispetto delle origini, e sovente per ragioni di lavoro. «Vogliamo che torni ad essere il laboratorio d’Italia, quello che ha accolto tutti», ci racconta un altro. «Il cambiamento partirà da qui», promette Vendola. Venerdì il concerto con Vecchioni animerà piazza Duomo dalle 21, per Pisapia. La Russa, che cura il comizio di Bossi e Moratti dalle sei del pomeriggio, al Castello sforzesco, promette di offrire l’aperitivo in piazza Dante fino alle 23, per strappare pezzi di centro cittadino alla sinistra. Ultimi lazzi di una campagna elettorale che, nei sondaggi, si mostra dall’esito imprevedibile.