Due casi di scuola per capire meglio. Prendiamo un’azienda, in crisi (e di esempi nella realtà economica italiana ce ne sono a iosa), che per non fallire deve riorganizzarsi. Magari spostare gli impiegati, addetti a funzioni amministrative, in altri reparti, con lo scopo di aumentare la produzione. Ieri avrebbe rinunciato. Troppe beghe da affrontare con i sindacati. Oggi, se approva un contratto aziendale che prevede queste forme di flessibilità, può farlo tranquillamente. E quindi cambiare mansioni ai colletti bianchi, aumentare i ricavi e magari salvare se stessa e i suoi lavoratori. Altro esempio: i turni. Cambia il mercato e quindi la domanda. Di conseguenza l’impresa può avere la necessità di intensificare il lavoro a seconda dei momenti. Si siede a un tavolo, negozia l’intesa, e chiede il consenso della maggioranza delle sue rappresentanze sindacali. Succede già a Mirafiori, dove gli operai possono stare alla catena di montaggio per dieci ore per quattro giorni alla settimana, ma poi hanno diritto a tre giorni di riposo successivi.
Sono alcuni dei risvolti pratici di un accordo che segna una stagione nuova nel complesso mondo delle relazioni industriali. Due giorni fa, infatti, Confindustria e le parti sociali (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) hanno fissato in otto punti le nuove regole sulla rappresentatività delle parti sociali e l’esigibilità dei contratti aziendali. Cosa vuol dire?
Il primo punto: Camusso, Bonanni, Angeletti e Centrella stabiliscono le regole per pesarsi. Il meccanismo è un po’ complesso, ma il leader dell’Ugl lo semplifica così per linkiesta: «Le aziende sono obbligate a raccolgiere i dati degli iscritti ai sindacati e inviarli all’Inps – spiega Centrella – L’istituto nazionale di previdenza li certifica e li invia al Cnel che fa la media ponderata con i risultati delle elezioni delle Rsu. Insomma, un mix tra voti e iscritti. A questo punto, solo i sindacati che avranno superato il 5% del totale dei lavoratori saranno legittimati a negoziare».
Quindi si passa ai due livelli: il contratto nazionale e quello aziendale. Il primo, si legge nel testo “deve garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore>>. In soldoni: stabilisce un livello minimo di garanzie sia legislative che retributive. Mentre il secondo «si esercita per le materie delegate dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge». Ma la domanda è un altra: il contratto fatto in azienda può derogare quello nazionale? Certo, anche se la Marcegaglia preferisce usare un termine più soft, «adattabilità». Quando? «I contratti collettivi aziendali – si legge nel testo – possono definire anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative…dei contratti nazionali». Di più. Una clausola prevede che nei settori ancora in attesa dei rinnovi contrattuali, le modifiche possono riguardare alcuni aspetti essenziali: prestazioni, orari e organizzazione del lavoro. Proprio gli esempi che abbiamo visto all’inizio.
Ma non finisce qui. Dietro un tecnicismo per addetti ai lavori, l’esigibilità, si nasconde l’altro punto delicato dell’accordo. Il senso è: quali caratteristiche devono avere questi accordi aziendali per essere vincolanti e quindi non disattesi dalle parti? Primo caso (quello più semplice): basta l’approvazione della maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie. E c’è una spiegazione: i rappresentanti delle Rsu per i due terzi sono eletti dai lavoratori e solo per un terzo appartengono ai sindacati. Il problema sorge quando in azienda non ci sono le Rsu, ma la rappresentanza è affidata alle Rsa, i cui membri sono designati in toto dai sindacati. Bene. A questo punto l’accordo prevede un passaggio ulteriore: che il contratto aziendale sia sottoposto al referendum abrogativo dei lavoratori.
Il diritto allo sciopero e il caso Fiat. E veniamo alle accuse delle prime ore post firma. Si dice: l’accordo lede il diritto allo sciopero. In realtà dà la possibilità alle parti di inserire delle clausole di tregua sindacale che sospendano gli scioperi. L’obiettivo è evitare il solito giochetto all’italiana: si firma un’intesa a maggioranza e un secondo dopo le sigle contrarie ci piazzano una bella protesta che blocca per giorni la produzione. Nessuna violazione della Costituzione, dunque. «Tanto che – ricorda Centrella – alcuni contratti integrativi aziendali già prevedono questa possibilità. La clausola è prevista dal 1993 alla Fiat Sata di Melfi e nello stabilimento Fma di Pratola Serra».
E poi l’attacco al Lingotto: puzza la “coincidenza” del tavolo Confindustria-sindacati con le esigenze specifiche di una delle più grandi aziende italiane. Fuori dai denti: la Marcegaglia ha usato l’intesa per cercare di trattenere Marchionne in Confindustria? Vedremo. Ma se andiamo sul pratico sembra che le nuove regole non si possano applicare agli accordi siglati a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Semplicemente perché non sarebbero retroattive. Occhio però, perché sul punto non mancano i distinguo. «Nel testo – sottolinea sibillino Centrella – non è sancito per iscritto il concetto di non retroattività. Semplicemente non si parla di accordo retroattivo…E c’è una bella differenza».
Le polemiche nella Cgil. Ma è proprio sui possibili vantaggi per la Fiat che la Cgil rischia di spaccarsi. Da un lato ci sono i duri e puri della Fiom, guidati da Landini e Cremaschi, che accusano Susanna Camusso di aver favorito il Lingotto, e arrivano a chiederne le dimissioni . Dall’altro la stessa leader di corso d’Italia che smentisce con forza questa tesi: «L’accordo sull’esigibilità dei contratti – ribadisce anche oggi in un’intervista al Sole24Ore – non comporta benefici per la Fiat perché non c’è retroattività». E poi insiste: «A chi dice che ci sarebbero benefici per la Fiat rispondo che è evidente che siamo esattamente all’opposto». Un film già visto. Prossime puntate: i metalmeccanici della Cgil riuniscono oggi il comitato centrale. E saranno scintille. Mentre il direttivo della Camusso che dovrà pronunciarsi sull’accordo si terrà l’11 ed il 12 luglio. Visto il clima da redde rationem, però, potrebbe essere anticipato.