BERGAMO – Chi arriva a Bergamo in treno può ancora vedere, dalle finestre delle case costeggiate dalla ferrovia, qualche bandiera neroazzura, con al centro una grande A bianca. A come Atalanta, certo. Come Serie A, finalmente. Ma anche A come addio, o arrivederci, secondo quanto ormai si dice in giro, dopo lo scandalo scommesse che ha coinvolto il capitano, Cristiano Doni, la bandiera. Ma la Curva Nord, e il popolo atalantino tutto, non ci stanno. E allora la decisione di manifestare: “A testa alta”, come recita lo slogan. Cioè, contro la gogna mediatica cui sarebbe sottoposta la squadra del cuore.
Il ritrovo è al piazzale della Malpensata per le 20.30, appena dopo il passaggio della ferrovia, dove, appena si arriva, si sente il silenzio delle grandi attese. Anziani e ragazzi, famiglie e ultrà. Uno si aspetta qualche tifoso sfegatato, e invece trova un esercito di giureconsulti. «E la presunzione di innocenza? Le intercettazioni non dicono nulla: ci vogliono anche i riscontri», ci spiega Giuseppe C., con figlio e moglie al seguito. E se è colpevole? «Non ci crederò mai. Doni è solo indagato. Non è in galera, non è nemmeno agli arresti domiciliari». Si capisce che il capitano è già stato perdonato.
I veri nemici, del resto, sono altri: Claudio, con il cane al guinzaglio, grida contro una troupe televisiva. «Siete di Mediaset? Il vostro servizio faceva schifo. Dovete vergognarvi». Come ci racconta, è da 50 anni un abbonato dello stadio. «Era già successo nel ’58, e anche allora eravamo innocenti», spiega, con una certa fierezza. «Ce l’hanno con l’Atalanta. Perché fa vendere più giornali, e perché ce l’hanno con Bergamo. Altrimenti non si spiega. Appena è venuta fuori la Roma, tutti zitti. Su di noi, invece. Siete voi giornalisti, che vi siete inventati la Serie B, o la Lega Pro. Ma quando mai…». Quelli della Curva Nord lo sanno bene. E, serafici, non rispondono: si defilano, guardano male. Se invece rispondono, è per dire che con i giornalisti, loro, non parlano.
Poi, alle 20.30 in punto, il corteo parte. Il primo coro è un grido di liberazione: «Giù le mani dall’Atalanta». Echeggia. La strada è piena: sono circa cinquemila gli indignados nerazzurri. Delusi e arrabbiati, ma non chiedono impunità: «Non vogliamo il fango che ci buttate addosso. Finché non ci sono prove, è tutto inventato». E se invece è vero? «Ma cosa? Non è possibile», ci grida una ragazza. «Chi ha sbagliato è giusto che paghi», aggiusta il tiro il fidanzato, intervenuto da lontano. «La società non c’entra, comunque», conclude. Intanto i tifosi tra fuochi e fumogeni, risalgono via Bonomelli. I canti sono potenti. Ma solo quando si intona il nome del capitano, il corteo è unito come una cosa sola.
Alla svolta in viale Papa Giovanni XXIII, partono i fischi. Non ci vuol molto a capire per chi sono: lì c’è la sede del giornale locale, l’Eco di Bergamo, sintesi della categoria dei nemici. «Giornalisti pezzi di m…» intonano: fischiano, urlano. Poi, riprendono a marciare, ma il corteo è nel vivo: nel rosso dei fumogeni e dei cori, procede verso il punto d’arrivo, piazza Matteotti, di fronte al Comune.
«Doni lo abbiamo tenuto in palmo di mano per tutti questi anni. Se fosse vero, sarebbe la delusione più grande» racconta una signora, nerazzurra dalla nascita, mentre si affretta a raggiungere la piazza. Lì, è pronto un palco. Sotto, uno striscione di due chiare parole: «Mai sola». Come spiega al pubblico Claudio Galimberti, detto il Bocia, leader della Curva, chi vuol dire qualcosa è invitato. Però parlano solo politici, e giornalisti. Il primo è il leader della Cisl lombarda, Gigi Petteni. «È troppo facile scendere in piazza quando si vince il campionato», arringa, e la folla si esalta. «È nei momenti di difficoltà che si vede chi ama l’Atalanta». Giusto. Applausi. «Com al parla be’», come parla bene, si sente mormorare. L’italiano scompare, si torna al dialetto.
Applausi anche Matteo Rossi, consigliere provinciale del Pd, che dimostra che l’Atalanta non è contro i giudici, e che vuole solo chiarezza. A questo punto, manca poco alla fine. E allora il Bocia, dal palco, richiama la folla e intona l’ultimo coro. È un boato. Mentre la piazza, unita, canta con le mani al cielo «Bergamo, Bergamo», partono i fuochi d’artificio. Sembra un festa, non una protesta. Tutti cantano, tranne uno: Daniele Belotti, Lega Nord, assessore regionale al Territorio. Perché? «Sono tifosissimo, sia chiaro, è solo che sono un po’ teso», sorride «ho firmato io in questura per questa roba».
Niente problemi, per lui. La manifestazione è stata tranquilla e pacifica. «Ci mancava solo quello. Già ce l’hanno con noi. Figurati se c’erano casini» sintetizza un ragazzo appoggiato al portone del Comune, mentre la folla si divide in gruppi e si allontana dalla piazza. «È andata bene. Ora vediamo come va in tribunale». Il concetto è «che non ce l’abbiamo con i giudici», ci spiega un suo amico. «Semmai con i giornalisti». Ma non sono stati certo i giornalisti a scommettere. «Già», dice il terzo, e indica uno striscione: «ma scommettiamo che ne usciamo?».