Il governo Berlusconi perde elettori ma cresce in Aula

Il governo Berlusconi perde elettori ma cresce in Aula

Il Paese e Montecitorio, due realtà parallele. Mentre il Governo perde il consenso degli elettori (le due batoste alle amministrative e al referendum parlano chiaro), in Parlamento la maggioranza cresce di settimana in settimana. L’ultimo successo stamattina, durante il voto di fiducia sul decreto Sviluppo. Per la prima volta dallo scorso anno, l’Esecutivo ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Con buona pace di chi si aspettava l’implosione della coalizione dopo le sconfitte di amministrative e referendum.

Oggi i voti in favore del Governo sono stati 317. Il più alto consenso mai raggiunto dai tempi della scissione di Futuro e Libertà. Una cifra ancora lontana dalla quota 330 che il premier Silvio Berlusconi era sicuro di ottenere pochi mesi fa, comunque significativa. Qualche esempio: durante il voto sulle mozioni di sfiducia del 14 dicembre scorso, l’Esecutivo non aveva superato i 314 voti. Era arrivato a 315 a inizio febbraio, durante il pronunciamento di Montecitorio sulla richiesta di autorizzazione per le perquisizioni domiciliari del Cavaliere in seguito al caso Ruby. Ma già a fine febbraio – in occasione della fiducia sul Milleproroghe – non era riuscito a ottenere più di 309 voti.

Il presidente del Consiglio incassa il successo. E nel pomeriggio si presenta al Senato per la verifica di maggioranza chiesta dal capo dello Stato. Un discorso di 40 minuti in cui il Cavaliere fa il bilancio di tre anni di governo e prova in qualche modo a rilanciare l’azione dell’Esecutivo. Un intervento per replicare alle richieste avanzate due giorni fa dalla Lega. Berlusconi promette un  ddl costituzionale sul Senato federale, la riforma fiscale (solo tre aliquote), la riduzione delle missioni militari. Umberto Bossi non assicura il suo appoggio nel 2013? Il premier lo anticipa: «Non voglio rimanere per sempre a Palazzo Chigi». Nessun riferimento, invece, al decentramento dei ministeri al Nord.

Dell’opposizione, intanto, si sono perse le tracce. I leader del centrosinistra avevano promesso il fiato sul collo al Governo. Un confronto duro e serrato su ogni provvedimento. E invece al Senato il Pd preferisce evitare la conta (rinunciando a presentare una mozione di sfiducia). In mattinata, durante il voto a Montecitorio, le opposizioni si erano distinte per il numero di assenze. «Ma siamo proprio sicuri che questi vogliono far cadere il Governo?» ironizzava un addetto ai lavori al termine del voto sul decreto Sviluppo. 

Il record spetta a Futuro e Libertà. Al momento della chiama sono quattro i deputati assenti: Mirko Tremaglia, Francesco Divella, Gianfranco Paglia e Andrea Ronchi. Proprio l’ex ministro – sempre più vicino al rientro in maggioranza – qualche ora dopo il voto ha commentato con entusiasmo l’intervento del premier al Senato: «Questa è la strada per rinnovare il centrodestra italiano». Tre gli scomparsi dell’Udc: Pietro Marcazzan, Ricardo Merlo e Luca Volontè (ufficialmente in missione).

Nel Partito democratico spicca l’assenza di Piero Fassino, neo sindaco di Torino. Per dedicarsi al capoluogo piemontese, nei giorni dopo l’elezione l’ex segretario aveva annunciato le sue dimissioni da deputato. Un progetto rimasto sulla carta: oggi risultava assente, così come la collega di partito Elisabetta Zamparutti. Non hanno sfiduciato il Governo neppure i deputati Libdem Daniela Melchiorre (in missione) e Italo Tanoni. Già all’opposizione, poi in maggioranza, ora di nuovo all’opposizione, tanto per non scontentare nessuno hanno preferito disertare il voto.

Discreta anche la pattuglia degli assenti nel gruppo misto. Si tratta di Antonio Gaglione (eletto nelle liste del Pd), dell’ex Udc Calogero Mannino, e dei due Mpa Ferdinando Latteri e Angelo Lombardo (in missione anche lui). Presenti, ma si sono astenuti, i due deputati delle minoranze linguistiche Karl Zeller e Sigfried Brugger.  

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