Si chiama turismo riproduttivo, ed è il fenomeno per cui si va oltre confine per ricevere trattamenti di fertilità attraverso le tecnologie riproduttive assistite. L’Italia è piattaforma di partenza di questi flussi migratori tutti particolari dal 2004: da quando cioè è entrata in vigore la legge 40 che ha introdotto il limite di tre embrioni a un unico e contemporaneo impianto e vietato tecniche come l’eterologa, spesso unica via per riuscire ad avere un bambino per molte coppie infertili. Nonostante una sentenza del 2009 della Corte Costituzionale abbia di fatto abbattuto alcune restrizioni della legge – come il limite a tre embrioni – si stima che ogni anno circa 25mila coppie vadano all’estero per tecniche di Pma ancora proibite in Italia come appunto l’eterologa.
Con Procreazione medicalmente assistita (Pma) si indicano una serie di procedure mediche che consentono alle coppie infertili o sterili di avere un figlio. Nel 20% dei casi, dopo un trattamento, c’è la gravidanza: per le donne con meno di trent’anni il tasso di successo si aggira intorno al 40%, mentre per quelle sopra i 43 anni scende a 4%. Per l’Organizzazione mondiale della sanità l’infertilità colpisce circa 80 milioni di persone nel mondo e almeno una coppia su dieci. Il problema è in aumento: per età, malattie genetiche o virali, e stress.
In Italia ci sono 353 centri che offrono tecniche di Pma censiti e registrati nel registro nazionale della Pma dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). 62 sono in Lombardia, 54 nel Lazio: qui la Regione non ha però ancora emanato la normativa specifica di equiparazione alla norma nazionale. Un rallentamento che “non ha effetti sulla qualità del servizio”, spiega Giulia Scaravelli, Responsabile del registro nazionale Pma dell’Iss. Ma che rappresenta certo una lungaggine burocratica in una Regione che proprio nella Sanità vede uno dei suoi principali punti deboli, e per il quale il consigliere radicale Rocco Berardo ha presentato, il 24 novembre 2010, un’interrogazione regionale per conoscere i motivi di tale inadempimento. «Di fatto la regione Lazio non ha ottemperato nell’autorizzare 54 centri di procreazione medicalmente assistita né per i centri pubblici e neppure per le strutture private», si legge nell’interrogazione. «Nonostante i centri della regione Lazio abbiano ottemperato all’iscrizione nel registro nazionale come previsto dalla Legge 40». All’interrogazione «non abbiamo mai ricevuto risposta», spiega Berardo.
I numeri a livello nazionale, comunque, «rappresentano uno spaccato a macchia di leopardo: ci sono regioni in cui i centri pubblici e privati funzionano molto bene e altre in cui le strutture sono poche e prevalentemente private», spiega Luca Gianaroli, ginecologo della Sismer, Società italiana studi di medicina della riproduzione. «In Italia vengono eseguiti circa 700 trattamenti per milione di abitanti mentre in Danimarca o in Belgio si arriva a circa 2500. I trattamenti eseguiti nel nostro Paese, quindi, sono pochi e mal distribuiti».
Le regioni in cui vengono effettuati più cicli sono Emilia Romagna e Lombardia, «mentre l’attività è significativamente minore al Sud e, ad esempio, nelle Marche». In Italia possono ricorrere alla Pma «le coppie eterosessuali con problemi di infertilità e sterilità in età potenzialmente fertile», spiega la dottoressa Scaravelli. Ci sono delle eccezioni riguardo allo stato di infertilità accertato, per le coppie dove il partner maschile è portatore di una patologia infettiva come epatite B (HBV) e C (HCV) e HIV. Le stime parlano di «un’incidenza del 15-20% della popolazione generale in età fertile», spiega ancora la Scaravelli. «Stimiamo che una coppia su sette o su otto tra quelle alla ricerca di un figlio non riesca a concepire spontaneamente», aggiunge Gianaroli. «Non tutte queste coppie, però, si rivolgono ai Centri di Pma, quindi non è un dato preciso. Il numero di cicli effettuati ogni anno – 80mila – è in aumento del 4-6% ogni anno. E rappresenta solo la punta dell’iceberg del fenomeno».
Ci sono, però, i dati delle coppie che nei cinque anni dall’istituzione del Registro si sono rivolte alle tecniche di Pma. E sono in aumento. Nel 2005 erano 46.519, 52.206 nel 2006, 55.437 nel 2007 e 59.174 nel 2008. «Al Sismer l’età media della prima visita per la donna è oggi di 37 anni», spiega Gianaroli. Quattro anni fa era di 35, e dieci-undici anni fa di 33. «Un altro fattore da tenere in considerazione è che oggi il 30% dei matrimoni finisce in divorzio e il 90% dei divorzi porta alla formazione di un secondo nucleo famigliare col conseguente tentativo di avere altri figli con i nuovi partner».
I problemi incontrati dalle coppie che intraprendono questo percorso sono prima di tutto di ordine economico: tecniche sofisticate e con costi elevati, e «l’offerta di trattamenti rimborsati dal Sistema Sanitario Nazionale è diversa nelle varie regioni italiane», spiega la Scaravelli. I costi variano a seconda dei casi. «Ci sono centri pubblici dove non si paga o si paga un ticket di ingresso che può arrivare fino a 1500 euro», aggiunge Gianaroli. Nei centri privati il costo per un trattamento “standard” si aggira tra i 4000 e i 4500 euro. «Per tentare di avere un figlio una paziente di 43 anni può arrivare a spendere in totale 40-45mila euro, a fronte dei circa 7mila di una venticinquenne», dice il ginecologo.
E poi ci sono i problemi di ordine psicologico e fisico. «Sono percorsi terapeutici molto faticosi sia per il trattamento farmacologico e il successivo prelievo ovocitario che viene eseguito in anestesia, sia per lo stress legato alla possibilità che il percorso riesca fin dalle sue prime fasi», dice Giulia Scaravelli. Stimolazione ormonale, produzione di più ovociti, prelievo degli stessi, la loro inseminazione, la possibile fertilizzazione, il loro sviluppo in embrione e il successivo trasferimento in utero. «Ognuna di queste fasi è un passaggio che può avere diverse evoluzioni ed esiti, e quindi viene vissuto con ansia dalla coppia», spiega la dottoressa. Le percentuali di gravidanza con i trattamenti di Pma, in base agli ultimi dati pubblici disponibili (2008), sono del 20.1% se calcolate sui cicli iniziati, del 22.4% se calcolate sui prelievi di ovociti eseguiti e del 25.9% se calcolate sui trasferimenti di embrioni.
Nel 2008 le coppie che si sono rivolte per un trattamento a un istituto pubblico sono state 25.734. Nel privato 21.684, nel privato convenzionato 11.756. «Spesso però può non essere una scelta perché in alcune regioni il privato rappresenta l’87% dei centri presenti», dice Giulia Scaravelli. Non solo: oggi la domanda è molto superiore all’offerta. «I centri pubblici hanno liste d’attesa di molti mesi o addirittura anni, ma al momento non disponiamo di dati che ci permettano di fare un quadro preciso della situazione globale», dice Gianaroli. Il ministero, infatti, «censisce solo i trattamenti eseguiti e, ovviamente, non ha dati sulle liste di attesa».
L’associazione Cecos Italia (Centri studio conservazione ovociti e sperma umani) ha provato a quantificare il turismo riproduttivo dopo l’introduzione della legge 40. Cecos ha chiesto a 28 centri – 25 europei e tre statunitensi – le cifre dei pazienti italiani prima e dopo la legge, quindi per il 2003 e il 2005. I risultati? 1066 erano le coppie italiane ad essere andate all’estero per ragioni riproduttive nel 2003. Due anni e una legge dopo la cifra si era quadruplicata: 4173. «Si stima che ogni anno 20-25mila coppie italiane vadano all’estero per la fecondazione assistita», spiega Filomena Gallo, avvocato e docente di Legislazione nelle Biotecnologie in campo umano, da sempre in prima linea contro le restrizioni della legge 40/04 difendendo le coppie con un impegno volontario.
Ma con la decisione della Corte Costituzionale nell’aprile 2009, che ha dichiarato illegittima una parte dell’articolo 14 della legge 40/2004, prevedendo che il medico debba creare un numero di embrioni necessario, senza indicarne il limite numerico, e aprendo una deroga alla crioconservazione, c’è un’inversione di tendenza. «La sentenza – spiega – consente, in deroga alla legge, anche la crioconservazione. Se il medico con il consenso del paziente ritiene che per avere un’aspettativa di gravidanza concreta per la tutela della salute della donna e del nascituro, può produrre piu embrioni e crioconsevarli. Pian piano la gente ora sta comprendendo che si può fare in Italia quello che si fa all’estero. Ora l’unico motivo per il quale le coppie italiane vanno all’estero resta solo l’eterologa, con donazione di gameti maschili o femminili».
«Le modifiche che la sentenza ha apportato – spiega la Scaravelli – si potranno valutare pienamente sull’attività svolta nel 2010 e quindi con la prossima raccolta dati». Dati disponibili a giugno, con la relazione dell’ex-ministro della Salute in Parlamento. La sentenza della Corte rappresenta nel frattempo un passo importante: «Finalmente anche in Italia, come accade dappertutto, la decisione su quanti embrioni produrre è del medico e non imposta per legge», spiega Rosanna Ciriminna, presidente Sierr, Società italiana di embriologia riproduzione e ricerca. Il problema riproduttivo principale oggi non è quello dell’infertilità maschile «che si risolve nel 90% dei casi», ma quella femminile, che dipende soprattutto dall’età. Quindi, nella maggior parte dei casi, si ricorre alla donazione di uno o più ovociti. Pratica in Italia non consentita, così come non è consentita «la donazione di embrioni, né quella di liquido seminale».
Si calcola che dal 2004 al 2009, circa il 15-20% dei trattamenti sia stato eseguito all’estero. Poi, «dal 2009 ad oggi si sono ridotte le coppie italiane che vanno all’estero”, spiega Filomena Gallo, che è anche vicepresidente dell’associazione Luca Coscioni. Ma «non in proporzione a quello che sarebbe dovuto accadere con la revisione della legge 40 da parte della Corte», obietta Gianaroli. «Più della metà dei centri, soprattutto pubblici, esegue ancora oggi i trattamenti come se la sentenza della Corte non ci fosse mai stata». Per motivi politici, religiosi o economici. «I principali motivi economici sono rappresentati dalla scarsa convenienza di determinate pratiche per gli istituti». Un esempio? «Un centro privato convenzionato in Toscana ha diritto al rimborso per il prelievo degli ovociti – procedura a fresco – ma non ha un rimborso per la procedura del congelamento degli ovociti. Insomma, la crioconservazione ora è ammessa, ma per motivi economici o religiosi non viene effettuata». Né spesso, secondo Filomena Gallo, «nei centri pubblici viene applicata la diagnosi preimpianto richiesta dalla coppia». Alcuni alcuni centri «ancora rispettano il limite dei tre embrioni e molti non crioconservano. Nelle strutture private, invece, vengono applicate tutte le tecniche oggi consentite. Ma così si crea un’iniquità di accesso alla cura tra coppie che possono e non possono, mentre il sistema sanitario nazionale deve essere alla portata di tutti».
Nel 2009, il 70% delle coppie infertili andava all’estero. Ma grazie alla rilettura della Corte della norma italiana questo numero sta diminuendo. «Si va in Spagna, ma anche in Grecia o a Cipro», spiega Gallo, che è anche vicesegretario dell’associazione Luca Coscioni. Dopo il 2009, ad andare all’estero «è ancora il 30% delle coppie». Per l’eterologa, ad esempio, necessaria quando nella coppia c’è assenza di gameti utili per la riproduzione e che in Italia era legale prima del 2004. Il divieto introdotto dalla legge 40 «non è fondato né sul piano scientifico né giuridico», obietta l’avvocato. «La legge 40 è in contrasto con la Costituzione, ma anche con la Carta Europea dei diritti dell’uomo, come ha evidenziato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo nell’aprile del 2010», spiega Filomena Gallo. «A breve la Corte Costituzionale si dovrà pronunciare sul divieto di eterologa».
Nel frattempo le coppie italiane continuano a viaggiare. Le donne hanno un’età media di 36 anni e più, età piuttosto elevata rispetto alla media europea. «Non abbiamo dati ufficiali sulle coppie italiane che si rivolgono all’estero per la fecondazione assistita», spiega ancora Giulia Scaravelli. «Oggi si rivolgono all’estero soprattutto quelle coppie che necessitano di una donazione di gameti». Una fotografia della situazione viene data da uno studio dell’Esrhe (European Society of Human Reproduction and Embriology), svolto su sei Paesi Europei, compresa l’Italia. «Si parla di una stima di 391 coppie italiane che in un mese migrano per avere un trattamento», spiega la Scaravelli. La meta preferita è la Svizzera, dove si reca il il 51,4% del campione di coppie italiane esaminato. Segue la Spagna con il 31,7%, il Belgio con il 13%, la Repubblica Ceca con il 2,6%, la Slovenia con l’1% e la Danimarca con lo 0,3%. L’ovodonazione è proibita non solo in Italia ma anche in Germania, Austria, Svizzera e Turchia. La donazione del seme, invece, è proibita oggi in Italia e in Austria. “160 milioni di cittadini europei non hanno pieno accesso alle procedure di donazione nel proprio Paese”, si legge nello studio dell’Esrhe. Scegliere un Paese piuttosto che un altro dipende prima di tutto da ragioni economiche. E poi per la lingua.
«Il business in Europa è stato grossissimo», spiega Rosanna Ciriminna, presidente Sierr, Società Italiana di Embriologia Riproduzione e Ricerca. «Tanto che tantissimi centri, in Spagna ma anche in Belgio, hanno personale italiano. Personale che accompagna, prepara addirittura i pacchetti vacanze: insomma, offre un servizio a tutto tondo. Non che sia eticamente discutibile: se c’è un mercato… Lo abbiamo creato noi e loro lo stanno sfruttando».
Lo sanno bene all’associazione Cub – Cerco un bimbo, vero e proprio punto di riferimento in Italia dal 2003 per le coppie col problema dell’infertilità. «Cub è nata per iniziativa mia e di mio marito con altri amici uniti da questo infelice destino dell’infertilità», spiega la presidente Federica Casadei. Erano i tempi in cui cominciava la discussione su quella che poi sarebbe diventata la legge 40, e Cub diventa rapidamente «un punto di riferimento per l’informazione di tipo medico, ma anche per la battaglia». I soci sono oggi duemila, mentre sul sito, diventato la creatura numero uno dell’associazione, ci sono 40mila iscritti. Che trovano informazione e aggregazione: «qui le coppie non si sentono marziani in terra», dice Federica. E i costi? «Una donazione di seme costa poco, una di ovociti moltissimo», spiega la Casadei, che è anche professore associato all’Università della Tuscia. «L’inseminazione intrauterina arriva a 5-600 euro. E i prezzi si sono ormai allineati: Spagna, Belgio, Grecia, Repubblica Ceca, Stati Uniti, anche se sono poche le persone che vanno negli Usa». Molte coppie arrivano a fare fino a tre tentativi: e avere un bambino all’estero arriva a costare 30mila euro, tra trattamenti, operazioni, viaggi e permanenze nel paese prescelto. Emblematica la storia di Emma.
Nell’andare all’estero per tecniche non consentite in Italia, il rischio è che non sempre le cose vadano nel modo più sicuro. «Ci sono anche centri che fanno operazioni scorrette dal nostro punto di vista», spiega Rosanna Ciriminna, che di Cub è consulente. «Capita che all’estero prelevino 15 ovociti per poi fecondarne solo due, e a volte non si sa che fine facciano gli embrioni». Parole che riportano alla mente quello che è accaduto un anno fa, quando degli embrioni di decine di coppie italiane sono stati sequestrati in una clinica a Cipro. Il centro di fecondazione assistita a Cipro al quale si erano rivolte per avere un figlio è stato chiuso improvvisamente dal ministero della Sanità locale il 14 maggio 2010.
L’allora sottosegretaria alla Salute Eugenia Roccella commentò che il problema è delle coppie «che quando vanno all’estero devono sapere che possono andare incontro a incidenti del genere». “Ci sono dei centri molto seri e universalmente riconosciuti che queste scorrettezze non le fanno», spiega ancora Rosanna Ciriminna. «C’è stato però un pullulare di centri in paesi come la Russia e l’Ucraina dove le operazioni, purtroppo, non sempre sono trasparenti». Ma il rischio si corre, «perché spesso in questi Paesi fanno delle offerte economiche attrattive». La legge dice che è vietato anche pubblicizzare le tecniche proibite in Italia. «Un paziente infertile deve essere prima di tutto convinto a fare l’adozione, poi si devono esplorare altre strade, naturali. Solo alla fine si passa alla fecondazione». E l’eterologa è vietata – per tutti, anche per chi non ha altra via – così come «è vietato pubblicizzare questa possibilità». Poi «ci sono colleghi che hanno l’abilitazione all’estero, il permesso europeo, e praticano ad esempio l’eterologa in quei Paesi dove è consentito. Ma è proibito dalla legge che i medici accompagnino la paziente in un percorso che vada in questa direzione. Ci sono interpretazioni controverse. È un momento particolare».
La prossima tappa, comunque, passa per Strasburgo. Il divieto di eterologa potrebbe cadere, sul fronte interno e su quello internazionale. Dopo il Tribunale di Firenze e quello di Catania, anche il Tribunale di Milano ha rimesso alla Consulta nel 2010 la questione di legittimità costituzionale del divieto di eterologa della legge 40. Anche in base alla sentenza della Corte di Strasburgo nel caso S.H. and others v. Austria: la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo stato austriaco perché la legge di quel paese vieta il ricorso alla fecondazione eterologa. Secondo la Corte, il divieto violerebbe gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.