Ci sono voluti diciassette, lunghi, anni ma finalmente la verità è venuta a galla: la televisione fa perdere (vincere) le elezioni, lo dice, lo sostiene, lo ha formalizzato e ne è terrorizzato nientepopodimenoche Silvio Berlusconi in persona, che in vista della futura consultazione nazionale, vita o morte, ha incaricato i suoi uomini migliori di abbattere Santoro (fatto, con il consenso del medesimo) e tutti gli altri fortini di sinistra all’interno della Rai (da fare). «La televisiun la g’ha na forsa de leun, la televisiun la g’ha paura de nisun, la televisiun la t’endormenta cume un cuiun», raccontava in musica l’immaginifico Jannacci un trentacinque anni fa con un certo realismo pessimista.
Ma se nel 2011 il premier arriva dunque alla conclusione che il maledetto elettrodomestico può muovere consenso, avendolo preventivamente formato, fino al punto da cambiare il corso degli eventi politici, allora dovremmo anche riconsiderare l’altra faccia della stessa medaglia, secondo cui le televisioni del Biscione furono decisive nella sua discesa in campo, e conseguente vittoria, del ’94. Ricorderete l’amichevole cinguettio dei conduttori Fininvest nei confronti del “padre”, quando i Vianello-Mondaini, le Zanicchi, i Mike nazionali, raccontarono ai cittadini-(tele)elettori che se un uomo di questa tempra aveva fatto così bene in azienda, non c’era motivo per non pensare lo stesso per il Paese. Come finì, sapete tutti.
Sia la moderna versione della tele-dipendenza, sia l’antica, convincono poco, e convince poco la traduzione diretta di un rapporto semmai molto più complesso. Ma è certamente un fatto che Silvio Berlusconi sia entrato in questa paradimensione, in cui attribuire agli istinti tribunizi di qualche conduttore le responsabilità dei suoi rovesci. Cadono le braccia nel leggere che il consigliere Rai, Antonio Verro (indovinate in quale quota), definisce così sul Corriere il lavoro di una come la Gabanelli: «Straordinaria giornalista, ma ha un piccolo difetto, suo o dei suoi free-lance? I dossier nascono su teoremi precostituiti. Mai che si parli del centro-sinistra». Dossier, teoremi precostituiti? Ma come parla lei, gentile Verro.
Nel dibattito sulla scarsa lucidità di Berlusconi, che investe per paradosso molto di più il centro-destra, la questione televisiva sembra aver assunto i tratti dell’ossessione. Il leader del Pdl ha indicato la via della battaglia finale, convinto com’è che due anni di questa televisione lo logoreranno al punto tale da farlo cadere e anche con fragore. Le ultime uscite su Santoro e gli altri sono di una tale incontinenza verbale, ma anche di una sconfortante ingenuità, che nessun mite (e disinteressato) consiglio potrà farlo recedere dai fieri propositi.
Di questo nuovo avventurismo, sono in molti a essere preoccupati, ma in azienda, la sua azienda, più di tutti. Mediaset è particolarmente inquieta. La volontà del Capo di buttare fuori dalla Rai, costi quello che costi, Santoro, Fazio, Gabanelli, Floris, Dandini, dirottandoli in automatico verso La 7, potrebbe scardinare, nelle cose, ciò che si è sempre ritenuto inattaccabile: il duopolio Rai-Mediaset.
Se Telecom riuscirà a imporre sul mercato una televisione che appaia minimamente credibile a una parte del Paese, e le premesse ci sono, i tetti pubblicitari salteranno. Con conseguenze che nessuno, al momento, riesce a immaginare. Sembrerà paradossale, ma al Cavaliere, di Mediaset, in questo momento interessa nulla. E’ in gioco la sua sopravvivenza politica, i denari inseguono staccati di molte incollature. La voce di Confalonieri, interprete non banale degli sbalzi berlusconiani, stavolta è malinconicamente silenziosa. E qualcosa vorrà pur dire.