Emma ha 38 anni appena compiuti. Questa storia è cominciata quando ne aveva 16. È la storia di un figlio tanto voluto e mai arrivato per una coppia solida e unita nonostante tutto da 21 anni e sposata da 10. La voglia di avere un bambino, sempre più grande. Sullo sfondo, l’ombra dell’endometriosi. Una malattia cronica e complessa: a causa della presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, cioè l’endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, può portare all’infertilità.
Come è cominciata?
Ci siamo sposati quando avevo 28 anni. Volevamo fare le cose per bene, ha cercato lavoro lui, poi io, poi la casa. La nostra idea di avere un figlio era fatta in un certo senso. Oggi, se tornassi indietro, forse azzarderei prima con i tentativi di avere un figlio.
Quando hai scoperto l’endometriosi?
Dal mio primo ciclo sono stata male – era così doloroso che arrivavo a non camminare – e ho passato una decina d’anni a cercare di capire cosa avessi. Fino a che non mi sono diagnosticata da sola la malattia, navigando su internet su un forum sull’endometriosi. Fino a quel momento i medici mi avevano detto di tutto, soprattutto durante l’adolescenza: che ero esagerata, che volevo attirare l’attenzione dei miei genitori. Con il concetto molto cattolico che il dolore è naturale, del genere “donna devi morire soffrendo”. Ho passato quindi l’adolescenza prendendo la pillola, che però non fa niente, dopo un certo livello di dolore.
Poi è arrivato il matrimonio.
E da sempre volevamo un figlio, quindi ho cominciato a togliere la pillola e abbiamo fatto i primi tentativi di coppia normale. Non rimanevo incinta e avevo dolori atroci, non solo durante il ciclo ma per tutto il mese e durante i rapporti. Se penso a quello che ho fatto, non lo so come ho fatto ad avere rapporti con il dolore in quel modo. Per quel desiderio infinito di avere un figlio… E poi provi, provi, e non riesci. Ho capito che qualcosa non andava, ho cominciato a cercare io e a dire “Non è che c’ho l’endometriosi?”. E pensare che sono seguita dai medici da quando avevo 16 anni. Ho fatto monitoraggi, i follicoli c’erano, non c’erano, una ciste c’è, poi non c’è. Cioè, io sto male. Che c’ho? Non sapere neanche il nome della propria malattia è tremendo. Ditemelo voi medici, no? Niente. Fino a che un giorno ho deciso di testa mia di andare a fare un’ecografia. Non da un ginecologo, ma alla Bios, un laboratorio analisi cliniche di Roma. Lì, per caso e dopo 15 anni, ho trovato una persona che conosceva l’endometriosi. Mi ha detto: hai una ciste di 15 centimetri all’ovaio, sta per scoppiare. Ma nessuno ti ha detto niente? Nessuno ti ha mai parlato di endometriosi?
E a quel punto?
A quel punto sono rinata. Voglio dire, da una parte è terribile, perché hai una malattia. Dall’altra finalmente qualcuno mi ha detto che cosa ho, confermando quello che da sola avevo trovato. Da lì sono stata operata d’urgenza nel 2003. Non era solo la ciste vista con l’ecografia. L’intervento è durato otto ore, e quando mi hanno aperta hanno visto che avevo endometriosi sparsa dappertutto. Mi hanno asportato due noduli, uno in vescica e uno al retto. L’endometriosi era già allo stadio ultimo e profondo. Quando mi sono svegliata da questo “bellissimo” intervento, a 28 anni, fatto per pulirmi per avere un figlio, il ginecologo che mi ha detto: “Sei viva”. Io continuavo a chiedere: “Ma un figlio?”. E lui: “Sei viva”.
Cosa era successo?
L’endometriosi si era mangiata le mie ovaie, praticamente inglobate dalle cisti. Uscita da quell’intervento, sono entrata subito in menopausa precoce. A 28 anni. Da lì il dottore ha detto a me e mio marito di fare tre mesi di tentativi naturali per avere un figlio, perché una volta che ti ripuliscono hai più possibilità di rimanere incinta. Poi, se non fosse successo nulla, saremmo passati alla fecondazione. In quei tre mesi non è successo assolutamente niente, quindi siamo andati subito ad un centro privato qui a Roma. Un istituto pubblico non mi avrebbe preso in quella situazione. Era il periodo intorno a maggio-giugno del 2004, che ha coinciso col referendum: facevamo la battaglia per il referendum col volantinaggio e nel frattempo cercavamo di capire che fare. Approvata la legge 40 e con il referendum che non aveva raggiunto il quorum, il mio era un caso che non poteva essere risolto in Italia. Ero in menopausa precoce: all’European Hospital mi avevano confermato la diagnosi e mi avevano detto chiaramente che la legge non consentiva, in Italia, quella che era l’unica soluzione per me.
Quindi sei andata all’estero?
Tutte le stimolazioni che si fanno per la fecondazione aumentano l’endometriosi, la fanno riattivare perché è una malattia estrogeno-dipendente. Quindi gli estrogeni servono a far aumentare l’endometrio per farti rimanere incinta, ma ogni volta che io facevo quelle cure mi tornava l’endometriosi battagliera. Abbiamo fatto un po’ di monitoraggi ma l’unica alternativa che avevo era l’ovodonazione. E sono andata direttamente all’estero.
Dove?
A Granada, in Spagna, presso un centro suggerito da un medico che mi aveva operato. Conosceva un ginecologo lì: data l’endometriosi era necessario per noi trovare un centro estero dove il ginecologo conoscesse questa malattia. Ho fatto il primo tentativo a novembre del 2005: non è che ti dicono la tua unica possibilità è l’ovodonazione e tu la mattina dopo hai tutto chiaro e parti. Devi fare un percorso e un lavoro su te stessa, accettando il fatto di recepire gli ovuli di qualcun’altra. E non è stato facile. Subito dopo sono stata sottoposta ad un altro intervento di endometriosi nel 2006, a febbraio, perché l’ovodonazione era andata male e l’endometriosi si era sviluppata di nuovo. E mi hanno levato anche una tuba, nel frattempo intaccata dall’endometriosi. Poi ho rifatto un altro tentativo a settembre 2006, sempre andato male. Ad agosto 2008 ho fatto un mega-intervento a Negrar, in provincia di Verona, dove sono seguita per l’endometriosi. Mi sono risvegliata in terapia intensiva. L’endometriosi aveva attaccato di nuovo la vescica, era arrivata al rene e aveva provocato un’occlusione intestinale. Mi hanno tolto due pezzi di intestino.
E ora cosa farete?
Le fecondazioni sono andate male e la legge non è cambiata. E allora abbiamo deciso, l’anno scorso, di fare ricorso al tribunale di Salerno in base alla causa che aveva dichiarato il divieto di eterologa contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, vinta a Strasburgo da quelle due coppie austriache. Il mio ricorso – siamo soci dell’associazione CUB, e tramite loro siamo stati messi in contatto con l’avvocato Filomena Gallo che ci assiste gratuitamente – è stato presentato con il “carattere d’urgenza”, perché aumenta l’età e aumenta anche l’endometriosi. Filomena è una santa, e questa è una questione di diritti. Ma le cose stanno andando per le lunghe. Non si prendono la briga di decidere, stanno aspettando la Corte Costituzionale anche lì. E il carattere d’urgenza? Ho l’endometriosi che galoppa. E invece stiamo così. In attesa di sentenza: si parla di luglio… Ho scritto addirittura alla Roccella, le cui posizioni sono irriducibili. Mica ti rispondono! Tutta gente con figli, che si sveglia la mattina e sentenzia. Ma noi non stiamo facendo niente di male. Voglio rifare la fecondazione: siamo in attesa di questa sentenza e speriamo di farla in Italia, perché pensiamo sia un nostro diritto. Se ci dovessero essere esiti negativi, oppure dovesse passare troppo tempo, andremo di nuovo all’estero.
Quali sono i costi che avete affrontato fino ad oggi?
Per ogni fecondazione, tra il costo del trattamento, il viaggio e i farmaci, spendi 10mila euro. Noi, finora, ne abbiamo spesi 30mila. E siamo una coppia fortunata, perché ce lo siamo potuti permettere: ma c’è tanta gente che non ha tutti quei soldi. Poi dipende se la donatrice è tutta per te, allora il prezzo aumenta. Se la condividi con un’altra coppia e dividi gli ovociti il prezzo si dimezza. In alcuni paesi, poi, l’ovodonazione è gratuita, come in Spagna. Alla donatrice paghi le spese mediche, una cifra simbolica, ma non sono cifre alte. E poi c’è tutto l’aspetto psicologico ed emotivo: io e mio marito reggiamo, ma c’è chi non riesce. È tutto tanto difficile.
L’immagine diffusa, per alcuni, è che si ricorra all’ovodonazione perché la donna ha pensato prima alla propria carriera ritrovandosi a 40 anni per avere un figlio.
Non è vero: la maggior parte di donne che ricorrono alla fecondazione è fatta di ragazze come me. Donne nate in menopausa, che hanno avuto un tumore o una qualche malattia. Poi per carità, esistono anche casi del genere, ma non è la regola. Così come chi fa la diagnosi pre-impianto non la fa per scegliersi un figlio con gli occhi azzurri. E poi: all’associazione CUB ci sono tante ragazze cattoliche. Ed entrano in crisi: è quasi più semplice per noi che siamo laici. Ho visto ragazze che sono veramente andate in crisi, si sono andate a confessare, hanno chiesto il permesso al prete. Che chiedono a Cristo: ma perché mi vuoi condannare? Conosco preti che non fanno entrare in Chiesa coppie che hanno fatto la fecondazione, e addirittura bambini nati con la Pma. Conosco anche preti che capiscono. Quando ho deciso di sbattezzarmi – un’altra battaglia che abbiamo fatto – il mio prete mi ha chiesto perché. Gli ho raccontato la mia storia e mi ha detto: se è così non posso dirti nulla.
E l’adozione?
È la cosa più semplice che ti dicono: adotta. Ma lo sanno cosa c’è dietro le adozioni, quanto costa, che i bambini piccoli se li tengono nei centri cattolici che così si prendono un tot ogni mese? Ci abbiamo pensato all’adozione, ma è una strada che sentiamo meno nostra. Poi cominci a parlare con altre coppie, e ti raccontano tutte le difficoltà e il terzo grado cui sono state sottoposte. Sono anche invalida civile, non è detto che mi diano il nulla osta. E poi ci pensi: mi sono fatta 15 anni di malattia senza che me la sapessero diagnosticare. E non ho denunciato nessuno dei medici che mi hanno seguito… forse non mi sarei ridotta a questo punto. Poi vuoi fare una fecondazione e ti dicono di no. Poi però ti dicono una strada, l’adozione, che ti vogliono imbastire come meno complicata ma è complicata anche quella. E la prima cosa che ti senti dire è: hai conoscenze nel clero? No? Eh, allora è più difficile. Perché anche all’estero i centri sono soprattutto cattolici.