ROMA – Se per ottenere l’organizzazione delle Olimpiadi fosse sufficiente collezionare errori strategici, cadute di stile e discutibili nomine, Roma avrebbe già in tasca l’edizione del 2020. Per conoscere le città candidate a ospitare i Giochi si dovrà attendere fino al prossimo settembre. Ci vorranno altri ventiquattro mesi prima che il Comitato olimpico internazionale nomini il Paese vincitore. All’ombra del Cupolone, intanto, affaristi e dirigenti politici firmano progetti e assegnano poltrone come se nulla fosse. Qui la bandiera coi cinque cerchi sventola già da un anno. Da quando il Coni ha premiato Roma bocciando il progetto di Venezia (e scatenando le ire dei leghisti).
I vertici dell’organizzazione. Nel giro di qualche mese il Comune di Roma è riuscito a nominare almeno quattro presidenti del Comitato promotore. Incassando ogni volta un netto rifiuto. La prima scelta è caduta sul sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Ma dopo una “pausa di riflessione” – c’è chi parla di forti pressioni interne alla maggioranza di Governo – il braccio destro del premier Berlusconi ha preferito rinunciare. Lo scorso autunno il sindaco Gianni Alemanno ha tentato inutilmente di coinvolgere gli imprenditori Nerio Alessandri e Giovanni Malagò, poi entrati a far parte del Comitato d’onore. L’ultima porta in faccia è stata quella di Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente della Ferrari aveva accettato l’incarico ponendo tre condizioni: la garanzia del Governo sui finanziamenti, l’autonomia nell’organizzazione dell’evento e un sostegno politico trasversale. A inizio anno, dopo un vertice a Palazzo Chigi, si è defilato anche lui. Alla fine è stata premiata l’ultima figura in grado di offrire un minimo di credibilità al progetto: Mario Pescante. Parlamentare del Pdl – alla faccia della candidatura bipartisan – e componente del Cio.
La politica romana. In Campidoglio la gestione dei Giochi sta creando diversi malumori. Nei mesi scorsi il centrosinistra ha accusato Alemanno di voler “appaltare” tutte le nomine in orbita Pdl. Il sindaco, per tutta risposta, è tornato a criticare la sfortunata candidatura olimpica del 1996, voluta dall’amministrazione Rutelli. «Sempre meglio Pescante che Ranucci (il senatore Pd, presidente di quel Comitato promotore, ndr)» si sarebbe lasciato scappare a febbraio. Dimenticando che a nominare Ranucci era stato proprio Pescante, all’epoca sottosegretario allo Sport. Con il moltiplicarsi delle polemiche, Alemanno ha provato a cambiare rotta. Prima la nomina di Andrea Mondello – già presidente della Camera di Commercio di Roma, in quota Pd – alla vicepresidenza del Comitato. Poi, negli ultimi giorni, il disperato tentativo di coinvolgere i suoi predecessori Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Due incontri al Campidoglio in cui il sindaco è riuscito a ottenere un impegno “morale” dei due ex, ma nulla di più. Rispedita al mittente, anche stavolta, l’offerta di un incarico nella macchina organizzativa.
C’è anche il problema dei finanziamenti. Qualche settimana fa si è insediata a Palazzo Chigi la commissione di compatibilità economica. L’organismo, coordinato dal “poltronissimo” Franco Carraro, dovrà studiare costi e benefici – in termini di ricadute sul territorio – del progetto Roma 2020. Con una certezza: per la sola candidatura serviranno almeno 50 milioni di euro (spiccioli, in ogni caso, rispetto alla cifra necessaria per allestire l’evento). Entro novembre la commissione trasmetterà un dossier alle Camere. Ci sarà un sostegno bipartisan alla candidatura? La risposta arriverà prima dell’estate. Nelle prossime settimane potrebbe essere presentata una mozione a Camera e Senato. A breve si saprà quali partiti – gli occhi sono puntati sulla Lega Nord – si rifiuteranno di garantire il proprio appoggio al sogno olimpico della Capitale.
Più delle scelte sbagliate e delle polemiche politiche, però, i primi passi di Roma 2020 saranno ricordati per le cadute di stile degli organizzatori. Coincidenza o meno, al centro di tutte le figuracce c’è sempre la rivale Tokyo. Il primo imbarazzo risale ai giorni della catastrofe nucleare di Fukushima. «La candidatura alle Olimpiadi di Tokyo – le parole del sindaco Alemanno – è da valutare con molta attenzione. Quando un Paese deve essere ricostruito è difficile che si dia priorità agli impianti sportivi». Quando si dice la sensibilità. E ancora: «Siamo tutti vicini al popolo giapponese, ma la questione olimpica è un’altra cosa».
Il sindaco, ma anche il presidente del Comitato promotore. «Ieri – ha spiegato pochi giorni dopo lo tsunami e il conseguente disastro nucleare Mario Pescante – l’ambasciatore giapponese mi ha comunicato con grande rammarico che il suo Paese non potrà partecipare (alla corsa per le Olimpiadi, ndr)». Poche ore dopo la smentita. Direttamente dal diplomatico orientale. «La nostra politica non cambia, il comitato giapponese sta ancora considerando l’idea della sfida per il 2020». Alla fine la candidatura di Tokyo è arrivata davvero. Venerdì scorso le indiscrezioni sono state confermate da un comunicato ufficiale. Che però non ha convinto il presidente del Coni Petrucci. «A me non risulta. Si tratta di una dichiarazione personale di un individuo, che non so chi sia». Per la cronaca, il misterioso individuo era Shintaro Ishihara, governatore della capitale giapponese al suo quarto mandato.
Tanto rumore per nulla. Il rischio è che la corsa ai Giochi possa trasformarsi in una beffa. Stando alle quotazioni dei bookmaker stranieri le possibilità di organizzare un’Olimpiade in Italia non sono altissime. Molte città non hanno ancora ufficializzato la propria candidatura, eppure Roma è già sfavorita rispetto a due avversarie. Come riporta Agipronews, si tratta della coreana Busan e, ovviamente, di Tokyo.