CATANIA – Sono un milione gli imprenditori vittime del racket. Un fenomeno omogeneo che riunisce l’Italia divisa dalle lezioni separatiste. A denunciare però sono soprattutto gli imprenditori del Mezzogiorno. Una lezione d’orgoglio per l’industrializzato Nord?
«Quando abbiamo vinto la gara d’appalto per il depuratore di Palma di Montechiaro insieme alla Cosedil del geometra Vecchio – racconta Riccardo Maggiore, imprenditore agrigentino – Abbiamo subito ricevuto una richiesta di pizzo, subito denunciata. La denuncia ha portato all’arresto di 21 persone compreso il capocosca, parente del killer del giudice Livatino, e un consigliere comunale che faceva parte dell’associazione. Dopo tre gradi di giudizio i mafiosi sono stati condannati con pene fino a 10 anni. Tutto questo non è stato indolore, mio figlio era l’amministratore dell’azienda e si è dovuto allontanare dalla Sicilia, ancora oggi è fuori. L’azienda ha avuto uno sconvolgimento degli affari. Ha avuto un crisi economica, ma grazie al sostegno delle istituzioni e dell’Asi, che ci ha riconsegnato il terreno della zona industriale di Catania, dove ora noi costruiremo la nostra sede definitiva, le difficoltà si stanno attenuando, abbiamo assunto altre persone. E questo è un segnale positivo per tutti gli imprenditori: lo sviluppo passa per la legalità e la denuncia dei mafiosi che chiedono il pizzo».
Il racket delle estorsioni interessa circa 150.000 commercianti e imprenditori. Il pizzo continua a rimanere un fenomeno diffuso soprattutto nelle grandi città metropolitane del Sud. In Sicilia sono colpiti l’80 per cento dei negozi di Palermo e Catania. Nel settore dell’edilizia e degli appalti pubblici l’importo del pizzo varia tra il 2 e il 3 per cento del valore dell’appalto. In crescita anche il settore dell’usura, i commercianti colpiti sono oltre 180.000, tra le regioni più coinvolte Lazio, Campania, Sicilia.
Le denunce per estorsione però sembrano diminuire. Nel 2005, ad esempio, ne sono state fatte 5594, fino ad arrivare a 3038 del 2009. Il calo delle denunce è il dato più preoccupante e smaschera uno scarto notevole fra l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura evidentemente non accompagnata da un uguale sforzo degli imprenditori.
«Negli ultimi undici anni ho affrontato un vero e proprio calvario per portare avanti un progetto imprenditoriale. Ad oggi non sono in grado di sapere se tutti i sacrifici fatti porteranno mai a qualche risultato». Vito Quinci è un imprenditore di Campobello di Mazara e da anni cerca di realizzare diverse strutture alberghiere nel trapanese, una delle zone di maggiore pregio turistico. «Nel 2009 ho citato in giudizio due banche- spiega- per danni causati a me e alle mie aziende per 40 milioni di euro. Ma, oltre a queste subivo continui danneggiamenti, minacce e fatti estorsivi. Nel 2010 ho denunciato alla procura. A maggio, grazie alle mie dichiarazioni, sono stati arrestati due consiglieri comunali e nell’agosto di quell’anno il prefetto di Trapani, su parere conforme del procuratore di Marsala, mi ha ammesso al beneficio previsto dalla legge antiracket, che prevede la sospensione per 300 giorni di tutte le procedure civili e dei pagamenti. Ma, nonostante questo a dicembre dello stesso anno un giudice del tribunale marsalese ha dichiarato il fallimento delle mie società, non tenendo in alcuna considerazione i fatti denunciati. E’ iniziato il disastro economico. Abbiamo fatto ricorso».
Se la denuncia è un fenomeno tutto meridionale l’usura e il racket percorrono tutto lo stivale. Sono 8.500, secondo una stima di Sos Impresa, i commercianti vittime di usura in Emilia Romagna. Numeri provvisori, ma che collegano l’Emilia all’ottavo posto nella classifica delle regioni più usurate e preceduta da Piemonte, Toscana con 8000 vittime. La crisi economica e finanziaria ha alimentato enormemente il mercato dell’usura, ma le risposte a chi denuncia non sono adeguate. «A 15 anni dall’approvazione della legge antiusura- ha dichiarato Lino Busà presidente di SOS Impresa- Confesercenti- più che interventi improvvisati, c’è l’esigenza di una profonda revisione della legge 108, tenuto conto che questa ha fallito nei suoi obiettivi di fondo: far emergere il reato, aiutare le vittime dell’usura. Ci attendiamo da parte del Governo l’apertura di una discussione seria che affronti i problemi veri sul tappeto: tempi brevi nei risarcimenti per le vittime di usura, sovraindebitamento, revisione della legge sui protesti, inasprimento delle pene per il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria».
Il pizzo però rimane la vera piaga dell’imprenditoria. La richiesta del pizzo è diventata soft, ma non per questo meno opprimente e generalizzata e, ormai, protagonista anche dell’industrializzata Lombardia. Nella regione padana la ‘ndrangheta fa estorsioni, l’usura c’è, ma imprenditori, commercianti e venditori ambulanti non lo denunciano. Parlando alla stampa alla luce degli arresti di ‘ndrangheta nel luglio scorso, il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, fa emergere l’assenza di denunce al Nord. «Nonostante l’operazione di luglio contro la ‘ndrangheta- spiegava- che ha dimostrato la presenza in Lombardia e nel Nord della criminalità mafiosa, gli imprenditori non denunciano estorsioni e usura. A noi continua a non arrivare nulla».
In Sicilia segnali importanti arrivano dalle molte associazioni antiracket, nate dopo la morte di Libero Grassi, e dalla Confindustria che ha inserito nel proprio statuto la possibilità di espulsione dell’impresa nel caso di «condanna dell’amministratore o altri soggetti legali alla titolarità dell’impresa, con sentenza passata in giudicato, per associazioni di tipo mafioso (art. 416 bis codice penale)» e condizioni simili. «Ad oggi- spiega Ivan Lo Bello presidente Confindustria Sicilia – gli imprenditori che hanno denunciato mafiosi ed estorsori in provincia di Caltanissetta sono 120, mentre le aziende espulse sono state 35». Sono proprio gli imprenditori a chiedere maggiore sostegno. Il 21 settembre 2010 a Roma 50 associazioni hanno dato origine alla Rete per la legalità che di recente, in occasione dell’appuntamento romano, ha lanciato la costituzione di un patto nazionale antiracket per incentivare gli imprenditori alla denuncia e che pone al centro le tematiche sulla legalità e che a breve sarà sottoposto al vaglio del ministro degli interni Roberto Maroni. «L’obiettivo- spiega Lorenzo Diana presidente dell’associazione- è quello di coinvolgere associazioni antiracket e antiusura, le associazioni di categoria, i referenti istituzionali nei territori e le forze dell’ordine».
Per chiedere un ulteriore sostegno nei confronti degli imprenditori che hanno avuto coraggio e fare diventare conveniente la denuncia attraverso corsie preferenziali negli appalti pubblici, incentivi. Tutti percorsi che potrebbero trasformare in competitive le aziende coraggiose e creare un mercato più sano.