ROMA – «Ho perso il lavoro da pochi mesi e da ieri, avendo finito i miei risparmi, sono senza casa». Qualche settimana fa Mario, un ex tecnico informatico di cinquanta anni, spinto dalla necessità ha chiamato il “Telefono della Solidarietà” della Comunità di Sant’Egidio. «Vi prego di aiutarmi. Mi sono rimasti alcuni abiti e la mia valigetta con il computer. La notte scorsa, per il secondo giorno, ho dovuto cercare qualcuno che mi ospitasse. Avevo un buon lavoro, spero di non dover provare il freddo della strada».
Mario è uno dei nuovi poveri della Capitale. Come lui altre 100mila persone, il 4 per cento della popolazione. Alcuni chiamano la Comunità di Sant’Egidio per avere un pasto caldo, altri un posto per dormire. In molti hanno solo bisogno di un prestito per far fronte alle bollette. Sono le ultime vittime della crisi. Non più – solo – detenuti e senza tetto, ma migliaia di famiglie “normali” non più in grado di «fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni». Uomini soli che non possono spendere più di 734 euro al mese (la soglia della povertà assoluta secondo le statistiche). Decine di migliaia di giovani che negli ultimi tre anni hanno perso un lavoro precario. Ma anche i 28mila commercianti strozzati dai debiti e finiti vittime degli usurai. Il Rapporto della Comunità di Sant’Egidio sulla povertà a Roma e nel Lazio fotografa una realtà spesso sconosciuta. Un fenomeno destinato a crescere: qualche anno fa, secondo lo studio, una spesa imprevista di 750 euro avrebbe messo in difficoltà il 32 per cento circa delle famiglie romane. Oggi sono il 39 per cento.
La povertà e il lavoro. A Roma il livello di disoccupazione è superiore a quello nazionale (8,1 contro 7,8 per cento). Il dato più allarmante riguarda i più giovani: il tasso di attività per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni è del 27,9 per cento. Un dato nettamente inferiore persino a tante realtà del Meridione, come Bari (32,4 per cento) e Brindisi (33,2 per cento). Nella Capitale è finita l’epoca del posto sicuro al ministero. Anzi, cresce il numero di lavoratori atipici. E sono loro, cifre alla mano, a pagare la crisi. Nel 2007, a Roma, si sono registrati 310mila contratti di lavoro parasubordinato. Due anni dopo, erano 75.873 in meno. Qualcuno perde lo stipendio e si rivolge alla Comunità di Sant’Egidio. È il caso di Donatella, cuoca di 41 anni con una figlia di 15 a carico. Un impiego saltuario dopo l’altro, oggi è costretta a elemosinare cibo e vestiti. Anche Laura, stessa età, non trova lavoro. Lo stipendio del marito serve per pagare il mutuo di casa, ma non basta a fare la spesa. Da qualche tempo è diventata assidua frequentatrice della Comunità. Avrebbe potuto ritirare il pacco alimentare nella parrocchia vicino casa, ma «non ci va perché ha paura di essere riconosciuta dagli amici delle figlie».
L’emergenza abitativa. Roma è la città italiana – insieme a Venezia – dove le case costano di più. Alla faccia della crisi economica, qui gli affitti crescono senza sosta. Il 160 per cento solo negli ultimi anni. Non stupisce, così, che sia anche la capitale degli sfratti. Ce ne sono 28 al giorno, la maggior parte per morosità. A farne le spese è una famiglia su 191 (a Milano il rapporto è 1/691). Ai nuovi poveri di Roma non resta che spostarsi verso la periferia. La città si espande: nei primi anni del 2000 è stato cementificato anche quel poco di Agro romano che rimaneva intatto: 9 milioni di metri cubi, 25 mila nuovi appartamenti. Quartieri un tempo snobbati, sono diventati improvvisamente di gran moda: Tor di Nona e Tor Bella Monaca – entrambi nel quadrante Est della città – passeranno presto da 20mila a 40mila alloggi. Nel frattempo 29.302 famiglie restano in graduatoria per ottenere un alloggio di edilizia residenziale pubblica. Chi non può più aspettare, si trasferisce ancora più lontano. Le mete più ambite sono le città satellite di Guidonia, Ardea, Anzio e Pomezia.
E poi ci sono le categorie più a rischio: gli anziani, i disabili, i detenuti, i senza tetto. In tutto il Lazio i disabili rappresentano il 5 per cento della popolazione. Alla crisi economica, in questo caso si sono aggiunte le difficoltà legate ai tagli alla sanità pubblica. Il Rapporto della Comunità di Sant’Egidio si sofferma sulle terapie riabilitative. Esemplare il caso della sezione laziale dell’Unione lotta alla distrofia muscolare. Un’organizzazione che nel 2010 si è «vista decurtare i rimborsi regionali – già tagliati dell’8 per cento nel 2009 – di un ulteriore 4 per cento». Diversi istituti hanno dovuto licenziare buona parte del personale e ridurre i servizi. Altri centri sono stati costretti a chiedere un’integrazione economica alle famiglie dei disabili. Cifre spesso insostenibili, considerando che la pensione d’invalidità ammonta a 250 euro mensili. Il risultato? Molti malati senza disponibilità economiche sono rimasti a casa.
I detenuti. Nelle 14 carceri laziali sono ci sono 6.363 reclusi, a fronte di una capacità di 4.661 posti. La metà ancora in attesa di giudizio. Per risolvere i problemi legati al sovraffollamento, la direzione di diversi istituti di pena ha riconvertito in celle anche gli spazi pensati per le attività ricreative. Il paradosso è che in molte strutture, tra cui gli istituti romani di Regina Coeli e la quinta sezione di Rebibbia, ci sono padiglioni vuoti, pronti ad accogliere detenuti, ma inutilizzati a causa della carenza di personale. Gli agenti di polizia penitenziaria sono 3.376 su un organico di 4.136. Ci dovrebbe essere un educatore ogni 25 reclusi. In realtà ce n’è uno ogni 75. Laddove è possibile, a farsi carico dell’assenza di servizi fondamentali sono i detenuti più “ricchi”. Quelli in grado di acquistare piatti e bicchieri di plastica, sapone e carta igienica. Beni ormai considerati di lusso.
E poi ci sono i 6mila senza tetto. Cittadini romani – e non solo – senza dimora, costretti ogni notte a cercare una sistemazione di fortuna. Il Comune mette a disposizione 1200 posti letto (600 dei quali solo durante i periodi più freddi dell’anno). Il 25 per cento dei clochard trova accoglienza presso associazioni religiose. Gli altri dormono per strada. Per gli abitanti del centro storico sono fantasmi: alle zone più centrali della Capitale hanno preferito le stazioni ferroviarie e le aree vicino al Raccordo anulare. Un migliaio di senza tetto ha persino allestito alcuni insediamenti spontanei alla periferia della città. Moderni “baraccati” che ricordano la Roma dei primi anni del dopoguerra. Mezzo secolo dopo.