Draghi spiega a Tremonti la sua manovra: “O meno spesa, o più tasse”

Draghi spiega a Tremonti la sua manovra: “O meno spesa, o più tasse”

Il punto fermo, e condiviso, è il pareggio di bilancio nel 2014. Su questo ministro dell’Economia e governatore della Banca d’Italia concordano. E «a questo soprattutto guardano oggi i mercati», ha sottolineato questa mattina Mario Draghi, parlando all’assemblea annuale dell’Abi. In parole povere, ai creditori del Tesoro interessa sapere il debitore Italia è in grado di darsi una regolata in tempi rapidi, arrivando a spendere non più di quello che incassa. Diversamente, continueranno a disfarsi dei Btp che hanno in portafoglio, non ritenendo più che il tasso di interesse percepito sia proporzionale al rischio di credito sopportato.

Fu proprio Giulio Tremonti, meno di quindici giorni fa, a dire che «il pareggio di bilancio non è un obiettivo di ragioneria ma un obiettivo politico ed etico del Paese; un bilancio in pareggio si riflette nelle scelte di responsabilità tra cittadini e le generazioni, un Paese in deficit è in deficit di cifra morale». Se l’azzeramento del deficit è obiettivo condiviso da governatore e ministro, l’individuazione della strada per arrivarci è scelta che ricade interamente sulle spalle della politica, e del governo di cui Tremonti è il ministro delle Finanze.

Che cosa sta accadendo invece? L’ondata di sfiducia partita venerdì scorso ha spinto forze di maggioranza e di opposizione a concordare, con la mediazione del Capo dello Stato, di anticipare al 2013 quella parte di misure correttive che nella versione originaria della manovra presentata il 6 luglio erano rimesse alla legge delega di riforma fiscale a valere dal 2014.

Si tratta di una riduzione delle agevolazioni fiscali stimata in 14,7 miliardi di euro. Detto in altro modo: di un aumento della pressione fiscale attraverso un taglio di tutte quelle detrazioni e deduzioni che finora hanno contribuito a versare un pochino di balsamo sulla dichiarazione dei redditi degli italiani. Ciò in cambio di una rimodulazione della aliquote, il cui effetto netto finale sarebbe quello di far pagare meno tasse a tutti, ottenendo più risorse (per l’esattezza 14,7 miliardi) per le casse statali: alchimia fiscale. E questo è talmente vero che, qualora la riforma non andasse in porto per tempo, è previsto che tutte le detrazioni e deduzioni fiscali saranno tagliate orizzontalmente e in modo automatico del 15 per cento. Questa clausola di salvaguardia, come è stata battezzata, ha il merito di rivelare la vera natura di un aggiustamento di bilancio fiscalmente repressivo per i contribuenti. Non a caso Tremonti voleva astutamente scaricare sul 2013-2014 questa parte della manovra che sotto la spinta dell’emergenza è costretto anticipare al 2012. 

Il rischio evidenziato da Draghi è che «questi provvedimenti distorcano l’impianto della correzione, opportunamente basato sostanzialmente su tagli delle uscite». Partita come un intervento sulla spesa, in altri termini, la manovra ha assunto sempre di più i contorni di un aumento della pressione fiscale. Perciò, ha concluso il governatore Draghi, «se non si incide anche su altri voci di spesa, il ricorso alla delega fiscale e assistenziale per completare la manovra nel 2013-2014 non potrà evitare un aumento delle imposte». Con buona pace del Fondo monetario internazionale che proprio oggi ha rimarcato che «il consolidamento fiscale è un prerequisito per una crescita sostenibile» e «dovrebbe essere ottenuto mediante la razionalizzazione della spesa pubblica e la riduzione dell’evasione fiscale». Ecco, la morale della favola della giornata è questa: a preoccuparsi delle sorti dei contribuenti sono i banchieri centrali, non i politici. È la nemesi sul ministro che intimava il silenzio agli economisti.

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