E se fossero gli hacker a salvarci dalla speculazione?

E se fossero gli hacker a salvarci dalla speculazione?

Quella della “legione” hacker al mondo della finanza è una guerra dichiarata ormai da tempo, una guerra che si combatte tra improvvise recrudescenze e periodi di tregua apparente in cui in realtà ci si limita a pianificare l’attacco successivo, o più semplicemente a individuare un nuovo “nemico”. Il conflitto è scoppiato ben prima di Anonymous e dei suoi proclami libertari, come: We are busy fighting evil governments, agencies and corporations.

Ben prima del crash di Visa, “colpevole” di aver tagliato i fondi ad Assange e alle sue Wikileaks. Ben prima di LulzSec, il contraltare ancora più aggressivo degli “anonimi”, che sembra però privilegiare tra i suoi obiettivi coloro che considera i censori del web. La lotta senza esclusione di clic al mondo della finanza è una vera e propria guerriglia casa per casa. Pardon, banca d’affari per banca d’affari, fondo per fondo, società per società.

Sono anni che la comunità hacker ha individuato nell’alta finanza il principale responsabile della crisi e delle sue conseguenze. Ricadute che colpiscono con particolare accanimento le “fasce deboli” del tessuto sociale, giovani compresi. Gli stessi giovani tra cui le imprese della comunità hacker possono incontrare le maggiori simpatie. Basta un rapido giro tra forum e portali per “addetti ai lavori” (perlomeno quelli che non sono ancora stati chiusi o oscurati) per farsi un’idea di come la pensino dietro le tastiere più ricercate del momento: l’asse “perverso” tra denaro e potere è un nemico da combattere sempre e comunque, sia con propaganda e controinformazione, sia attaccando frontalmente.

In fondo la dottrina hacker, sin dai tempi dell’ormai mitico manifesto di The Mentor del 1986, è sempre stata dipinta come una forma di anarchia 2.0. Un’etichetta che tra l’altro i diretti interessati non hanno mai disdegnato, e di sicuro ben lontana da qualsivoglia dottrina liberista o neo-capitalista. Il pensiero di “hackerare” il mondo, il famoso “hack the planet”, risale ai primi anni ’90, su iniziativa di crew come lo el8 e molte altre. Un progetto simile a quello ripreso oggi dai LulzSec, anche se per gli amanti del vecchio stile non c’è confronto: il movimento #Antisec, sostengono i puristi, non è assolutamente comparabile con il caro vecchio “hack the planet”. Eppure questa nuova generazione di hacker non ha davvero nulla da invidiare in fatto di preparazione e determinazione ai pionieri di vent’anni fa.

Tra i cyberattacchi più eclatanti degli ultimi tempi spicca sicuramente quello messo a segno il mese scorso ai danni del colosso bancario americano Citigroup. Il “commando”, in questo caso, è riuscito ad infiltrarsi all’interno del portale del gruppo sottraendo dati relativi ad alcuni clienti, titolari di carte bancarie. Un’azione dimostrativa non dissimile da quella messa a segno pochi giorni fa ai danni di numerosi atenei italiani. E anche la risposta delle “vittime” non è stata poi tanto diversa: i responsabili dell’istituto di credito, infatti, hanno subito minimizzato l’accaduto, sostenendo che la quantità di dati sottratti fosse decisamente marginale, e che soprattutto le informazioni più sensibili, come codici di accesso, dati anagrafici dei clienti, e i codici di sicurezza delle carte, non fossero stati toccati.

L’8 luglio, poi, Anonymous ha provocatoriamente “tastato il polso” addirittura a Moody’s, stilando una propria personalissima pagella sulla qualità dei sistemi di sicurezza “a guardia” del sito, con la votazione finale tutt’altro che lusinghiera di Z–: un rating da dimenticare anche per l’agenzia cintura nera di downgrade. La settimana prima, il 30 giugno, erano stati gli stessi anonimi a dichiarare il sito www.borsaitaliana.it “Tango Down”, espressione mutuata dal gergo militare americano per indicare che il target della missione è stato eliminato. Sempre gli Anonymous sono stati sin dall’inizio i principali portabandiera nella rete della battaglia degli “indignados” spagnoli. E non si sono limitati a diffondere on-line gli slogan delle piazze iberiche, ma hanno addirittura cercato, senza risultati, di farsi “esportatori” della rivolta all’estero, in primis in Italia, sostituendo al megafono l’hashtag di Twitter #italianrevolution.

Ma la cyberguerra, talvolta, assume i contorni del giallo, con trame degne di un intrigo internazionale. Come nel caso degli hacker che, a giugno, sono partiti all’attacco del Fondo Monetario Internazionale. Un assalto in larga scala, sofisticato e continuato, che ha messo a repentaglio dati sensibili (e riservatissimi) circa le economie di 187 paesi. Un assalto che ha messo paura anche alla Banca Mondiale, che ha rimediato al tentativo di intrusione “tagliando” senza tanti complimenti la connessione con il Fondo.

È stata messa in pratica, in sostanza, quella che tra gli hacker viene chiamata “la vecchia regola della nonna”: «Quando la lavatrice impazzisce, stacca la spina». La portata e l’obiettivo del blitz hanno scatenato un putiferio di polemiche, supposizioni e dietrologie, tra chi si è limitato a vedere nell’operazione un normalissimo attacco hacker, per quanto ottimamente articolato, a chi, come parte della stessa comunità hacker, ha preso le distanze dall’azione, ventilando invece l’ipotesi di un tentativo di spionaggio ad alto livello. Sull’attacco sta cercando di fare luce l’Fbi.