La corruzione, a detta del premier cinese Wen Jiabao, è un problema «grave» la cui risoluzione è «estremamente ardua» e nella quale un ruolo di primo piano è destinato alla Rete. L’emergenza di questo problema è venuta alla ribalta nell’undicesimo piano quinquennale che si è tenuto lo scorso marzo a Pechino. In quella circostanza, Wen ha connotato il tema della corruzione come «la maggiore minaccia per il paese», una minaccia che ha degli evidenti risvolti sia economici che sociali. Si pensi che nel 2010 circa 146.000 ufficiali sono stati puniti per violazioni disciplinari e 5.373 sono stati coinvolti in procedimenti giudiziari.
Secondo quanto riferito dal Consiglio di Stato, la spese amministrative (inclusive di viaggi all’estero, acquisto di veicoli e spese di rappresentanza), proprio a causa di questi problemi, hanno subito un taglio del 5,8%. Sempre nel 2010, lo stesso Consiglio di Stato ha pubblicato per la prima volta un libro bianco dedicato alla lotta alla corruzione e finalizzato alla formazione di un “governo pulito”. Moniti ribaditi anche il primo luglio dallo stesso Hu Jintao, segretario generale del Partito Comunista Cinese nonché Presidente della Repubblica Popolare Cinese, in occasione dei festeggiamenti del 90° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese, secondo cui è necessario «intensificare gli sforzi per migliorare la condotta del Partito, sostenere l’integrità e combattere la corruzione al fine di mantenere la natura e l’integrità del Partito».
La diffusione di Internet in Cina ha permesso a molti cittadini di divulgare in maniera sempre più coinvolgente diversi casi di corruzione innescando un dibattito sempre più ampio sull’argomento, che ha dovuto inevitabilmente aggirare i filtri censori, ma che ha potuto ottenere anche rilevanti coperture mediatiche, a livello locale e nazionale. L’ultimo episodio è da ricondursi ad un filone generato dal successo ottenuto da I paid a bribe, un sito web indiano lanciato lo scorso agosto e che ha lo scopo informare la popolazione sullo stato della corruzione in India attraverso le testimonianze dirette dei cittadini. L’iniziativa di I paid a bribe è stata inizialmente riportata dal quotidiano The Beijing News e successivamente da CCTV 13 suscitando un forte interesse da parte dei netizen cinesi: nel giro di pochi giorni sono nati con successo tre siti molto simili a quello indiano. Tashuohuile (ho preso una bustarella) è probabilmente il più visitato con oltre 3 milioni e mezzo di accessi in meno di una settimana; è certamente il più curato graficamente tanto da sembrare la bella copia di I paid a bribe realizzata per gli utenti cinesi.
Meno curati dal punto di vista stilistico, ma più ricchi di sezioni si presentano Fanxinhui.com (Contro le bustarelle) e Woxinghuile.info (Sì, ho preso una bustarella). Secondo quanto riportato dal bridge blog China Geeks, probabilmente il dominio di Tashuohuile è registrato in India, un espediente messo in atto per evitare la chiusura coatta da parte degli organismi competenti cinesi. Tale soluzione permette di tenere tranquillamente aggiornato il sito. Tuttavia molti utenti già pronosticano che questi siti web saranno comunque presto oscurati dal firewall cinese, e che sarà pertanto necessario utilizzare un Vpn. Non è un caso se il profilo di Sina Weibo (la più popolare piattaforma di microlog cinese) di Tashuohuile è stato disabilitato, anche se rimane ancora attivo un altro profilo su Tencent Weibo, altra piattaforma di microblog, ma meno conosciuta.
Sul sito di Tashuohuile si denuncia, inoltre, l’assenza di indicizzazione da parte di Baidu, il motore di ricerca più popolare in Cina.
Il successo dei due siti anticorruzione ospitati su server cinesi (e woxinghuile.info) hanno avuto una vita intensa ma breve. Lo scorso 19 giugno infatti, fanxinhui.com è stato oscurato perché, a detta del server ospitante, il dominio non aveva registrato la licenza richiesta dal Ministero dell’Industria e dell’Informazione. Secondo quanto riportato dal Shidai Zhoubao (Time weekly), il webmaster ha rilevato che, in realtà, nonostante la licenza fosse stata depositata rispettando la legge, il server ha deciso di chiudere ugualmente il sito. Sorte simile per Woxinghuile.info che, il 21 giugno ha dovuto chiudere il sito web nonostante la licenza opportunamente registrata e la solidarietà espressa dalla municipalità di Shanghai, ente che fino a quel momento aveva sostenuto le attività del sito.
Oltre ai sicuramente non trascurabili limiti tecnici, interessanti osservazioni sul sito web vengono riproposte dal China Media Project che, citando un editoriale del Southern Metropolis Daily, mette in evidenza altre lacune dei progetti, tra cui si ricordano la predisposizione di molti utenti a restare anonimi, l’incertezza dei siti web nell’operare all’interno di una cornice giuridica compatibile con le leggi cinesi, l’eventuale sostenibilità economica ed eventualmente l’indipendenza da investitori più forti, infine l’effettivo coinvolgimento del governo.
A tal proposito è bene ricordare che la Costituzione cinese stabilisce chiaramente il diritto civile di denunciare la condotta scorretta dei funzionari statali, anche se l’articolo 38 della stessa Costituzione considera «la dignità personale dei cittadini inviolabile» e proibisce la diffamazione nei confronti dei cittadini. La verità è che, a detta del Prof. Zhang Qianfan (Paking University Law School), «i diritti degli ufficiali governativi non sono uguali a quelli delle persone comuni; l’anti corruzione induce all’essere onesti, come dimostrano gli stati in cui vige la rule of law e dove i cittadini sono incoraggiati a denunciare. Anche nel caso in cui una denuncia fosse falsa, gli ufficiali sarebbero comunque portati ad una maggiore trasparenza e non vi sarebbe nessuna forma di censura per i cittadini». Auspici a parte, bisogna riconoscere che anche nei siti anti corruzione c’è il rischio di imbattersi in situazioni di scarsa attendibilità. Basti pensare che tra le regole di Woxinghuile vigeva il divieto di mantenere il segreto sull’identità e l’unità di lavoro di appartenenza del divulgatore del caso di corruzione, pena l’esclusione dal sito web da parte del moderatore.
L’unica certezza è che il fenomeno della corruzione sembra non conoscere limiti. Lo scorso 16 giugno, sulle pagine dello Shanghai Daily si è parlato di un rapporto citato dall’Accademia delle Scienze Sociali in cui si rivela che, nel periodo che intercorre tra la metà degli anni novanta e il giugno 2008, dai 16.000 ai 18.000 tra dipendenti governativi, ufficiali di polizia, manager di istituzioni e aziende statali e, perfino, dipendenti di organizzazioni cinesi operanti all’estero, sono scomparsi insieme a 800 miliardi di yuan (86,6 miliardi di euro).
Sempre facendo riferimento al web, è interessante notare come il rapporto, definito “confidenziale” pur essendo disponibile sul web, sia scomparso dal sito della People’s Bank of China, comunque attivamente coinvolta nella Financial Action Task Force insieme ad istituzioni come le Nazioni Unite, l’Interpool, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, la cui mission è finalizzata a combattere il riciclaggio di denaro a livello internazionale. Come si suole dire in questi casi: buon lavoro a tutti!
*Università della Svizzera Italiana, fra i fondatori di Cineserie.info