La guerra in Libia se la stanno risolvendo i libici

La guerra in Libia se la stanno risolvendo i libici

Da molto tempo, su queste stesse pagine, sosteniamo che la campagna aerea della coalizione anti-Gheddafi non avrebbe sortito alcun effetto. Appena essa fu annunciata ne dichiarammo l’inutilità tattica e l’inopportunità strategica, a meno che essa non fosse sostenuta da altre azioni complementari indispensabili, quali lo sbarco di truppe a terra o una diversa azione di sostegno ai ribelli.

Lo sbarco di soldati occidentali non è avvenuto ed il sostegno ai ribelli prevede ben poco oltre lo sgancio di bombe su bersagli sensibili o presunti tali. Al massimo la Francia, sempre stranamente attiva in questa vicenda, ha paracadutato una settimana fa alcune armi leggere utili ai combattenti avversi al Rais. Non proprio una impresa tale da ribaltare le sorti dello stagnante conflitto. Già agli inizi di giugno, in tempi quindi non sospetti, abbiamo rivelato che trattative erano in corso tra lealisti e ribelli e le informazioni di queste ultime ore ci confermano che non ci eravamo sbagliati.

Come volevasi dimostrare questa guerra fossilizzata finirà per risolversi da sola, senza il contributo militare di una svogliata coalizione trascinata in questa faccenda interna libica dalla grandeur francese, bene interpretata dal bellicoso Sarkozy, le cui vere mire sfuggono ai più. Quanto i bombardamenti abbiano pesato nel convincere i lealisti a dialogare col nemico non lo sappiamo, ma il sospetto che lo sforzo bellico della Nato sia stato irrilevante è forte. Al contrario c’è la sensazione che probabilmente l’intervento di un nemico esterno sia servito a compattare i vertici del paese e parte della popolazione attorno al leader e a impedire all’esercito di schierarsi con i ribelli, cosa invece accaduta altrove.

Siamo in definitiva convinti che il Colonnello sia giunto a più miti consigli non certo per paura delle bombe, ma più realisticamente a causa di interessanti operazioni occulte condotte dai servizi segreti, in particolare italiani. L’intera vicenda libica ha però evidenziato alcune cose dalle quali dobbiamo imparare, come nazione e come contribuenti che finanziano le nostre Forze Armate e anche la nostra leadership politica, dimostratasi in questa vicenda piuttosto dilettantesca. Anzitutto la campagna aerea ha dimostrato che la Nato è l’America, e tutti gli altri non sono che il corollario, a volte perfino superfluo, all’impegno militare Usa. Dopo pochi giorni di campagna aerea gli arsenali delle “potenze” europee erano già praticamente vuoti, senza possibilità, vista la grave crisi economica, di rifornirli in tempi tatticamente utili.

La Marina Italiana, molto impegnata sia con la componente aerea sia con la componente navale, si è quasi mangiata l’intero budget per il 2011, ma i nostri alleati europei non sono in condizioni migliori. Da Washington analisti e militari non mancano di far notare alla Casa Bianca e all’opinione pubblica che gli alleati Nato europei non sono in grado di camminate da soli. Questa incapacità europea di fronteggiare con il necessario impegno e per tempi non necessariamente brevi un conflitto, impone una seria riflessione sul ruolo e sulla strategia futura del Patto Atalntico. Ma, a prescindere dagli equilibri interni, l’altro aspetto da cui occorre trarre insegnamento è che il bombardamento aereo da solo non è mai risolutivo di un impasse tattico. Lo avevamo già ampiamente argomentato tempo fa e torniamo a ripeterlo: l’illusione che le bombe intelligenti pieghino il nemico è una ingenua speranza, soprattutto se il nemico è un personaggio battagliero come il Rais.

Per abbattere Saddam ci sono voluti, dopo i bombardieri, i fanti e i carri armati, e così avrebbe dovuto essere in Libia, visto che i ribelli non possono in alcun modo essere equiparati ad un vero esercito dotato di efficace artiglieria semovente. Poiché lo sbarco di soldati occidentali in quel paese non è stato nemmeno ipotizzabile, eccoci impantanati tra le sabbia libiche senza vera speranza di sbaragliare l’esercito regolare, di stanare Gheddafi e magari di consegnarlo al Tribunale Internazionale. Per fortuna i libici si muovono da soli (evidentemente persa la speranza di ottenere un aiuto risolutivo dagli Occidentali) e stanno freneticamente trattando con il Colonnello e la sua corte al fine chiudere una volta per tutte quella che resta una vicenda interna ad una nazione sovrana.

Salvando se stessi da una guerra civile interminabile e noi Occidentali da una ennesima figuraccia. In tutto questo intenso dialogo tra parti avverse, l’Italia non sta giocando un ruolo secondario, dedicandosi finalmente a ciò che avrebbe dovuto fare sin dall’inizio, senza lasciarsi trascinare dai Francesi e dagli Inglesi in questa palude. Ovvero stiamo lavorando dietro le quinte, a livello di servizi segreti, per facilitare il dialogo in corso e per spingere i vertici militari e di governo ad abbandonare il Colonnello. Obiettivo che abbiamo raggiunto in diverse occasioni, spingendo alla diserzione un cospicuo numero di alti ufficiali nel corso di intense trattative tenutesi a Roma. Se avessimo seguito la strada della erosione del consenso interno al Rais senza sognarci di andare a bombardarlo, a quest’ora saremmo già in presenza di una Libia pacificata e pronta ad accoglierci come amici a cui chiedere la ristrutturazione fisica ed istituzionale di quello che è stato per così tanto tempo un nostro alleato e partner commerciale.

Invece siamo ancora qui, a distanza di mesi, a paracadutare mitragliatori ai ribelli come si faceva 60 anni fa e a sperare che una bomba particolarmente fortunata faccia fuori Gheddafi. Meno male che si colgono alcuni interessanti segnali di inversione di tendenza, non ultima la generosa proposta dei ribelli di consentire al Colonnello di restare in Libia anche dopo l’auspicabile (e si spera non cruento) cambio della guardia a Tripoli. Ci piace pensare di non essere estranei a questa inversione di tendenza, è anzi probabile che siano stati gli eredi di Machiavelli a suggerire agli anti-Gheddafi di adottare una linea più morbida, che lasciasse una via di scampo all’ex leader ora braccato anche dalla giustizia internazionale.

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