La Ue non crede nel Sud perché non ci crede Roma

La Ue non crede nel Sud perché non ci crede Roma

BRUXELLES – Il 29 giugno scorso la Commissione europea ha presentato la proposta per il prossimo Quadro finanziario pluriennale 2014-2020 dell’Unione europea (A Budget for Europe 2020-Part I). Contestualmente, ha anche presentato delle proposte per la destinazione delle risorse alle singole politiche dell’Unione (A Budget for Europe 2020-Part II), prevedendo l’istituzione di una facility ad hoc Connecting Europe Facility di 40 miliardi di euro (+ 10 ricavati dal Fondo di Coesione), per accelerare lo sviluppo delle infrastrutture nei settori dell’energia (9,1 miliardi), delle TIC (9,2 miliardi) e dei trasporti (21,7 miliardi + 10 del Fondo di Coesione).

Negli ultimi giorni, in Italia si fa un gran parlare delle idee della Commissione sulle infrastrutture e, in particolare, sulle nuove reti Ten-T, un acronimo che significa le reti di trasporto trans-europee (dall’inglese Trans-European Networks – Transport). Come mai?

Perché con un ammontare di appena 31,7 miliardi per le infrastrutture di trasporto, a fronte di un fabbisogno complessivo di almeno 115 miliardi per le sole Ten-T, la facility made in EU potrà coprire la quota di finanziamento europeo unicamente per alcuni progetti (le cui mappe sono state proposte nel documento del 29 giugno scorso), considerati ad altissimo valore aggiunto in termini politici, strategici, economici e finanziari e parte del cosiddetto core network. Tutti gli altri progetti continueranno ad essere co-finanziati come sempre: attraverso il bilancio Ue. Apriti cielo! Perché?

Perché nell’ottica di razionalizzare fondi da destinare e assi strategici, l’asse Berlino-Palermo (PP1) si trasforma in asse Helsinki-La Valletta (PP5), dimenticando per strada (in modo bizzarro rispetto alla premessa di un riordino efficiente) tutto ciò che è a sud di Napoli – a cominciare dal mitico ponte sullo Stretto -, ma includendo invece (e finalmente) Bari.

Reazione di stupore e indignazione sui quotidiani (il Sole 24 Ore di domenica 17 luglio, La Stampa di lunedì 18 luglio, l’Unità del 21 luglio) e dei politici in salsa bipartisan, a livello locale ed europeo (Raffaele Lombardo, Gianni Pittella e Mario Mauro).

Ma di che stiamo parlando? Davvero, ancora una volta, l’Europa si dimostra brutta, sporca e cattiva con l’Italia e con il Mezzogiorno?

Prima di abbandonarsi a reazioni populiste e/o dettate da una profonda (e orgogliosa) ignoranza delle procedure e dei meccanismi europei, alcune precisazioni sono d’obbligo per farsi un’idea.

1. Non è un mistero che la Commissione e, segnatamente, il commissario ai Trasporti Kallas con la sua squadra guardino con maggiore interesse all’asse geopolitico del Nord-Est Europa. Il fatto che politicamente non si riesca a ri-equilibrare questa preferenza è un problema dei Paesi del Sud, incapaci di farsi ascoltare, di fare massa critica con i Paesi che hanno i medesimi problemi e di entrare nella stanza dei bottoni con una efficace politica del personale.

2. Il fabbisogno di infrastrutture – soprattutto intracomunitarie – è crescente. Ma soddisfarlo richiede notevoli investimenti pubblici. L’esperienza insegna che i bilanci nazionali difficilmente attribuiscono priorità sufficiente agli investimenti plurinazionali e transfrontalieri. Questo è a maggior ragione vero alla luce della linea di rigore che si è imposta ad ogni livello. I privati, poi, fanno spesso orecchie da mercante.

Infine, il dibattito sui project bond, considerati la panacea per ogni carenza di bilancio, è soggetto ad un abuso in termini di propaganda ed è dopato da un equivoco che in pochi hanno al momento interesse a chiarire: pur essendo efficaci per il finanziamento delle infrastrutture energetiche (poiché consentono un ritorno degli investimenti nel breve periodo), i project bond non sono altrettanto indicati per le infrastrutture di trasporto, che non consentono ritorni, né sostanziosi né di breve periodo. In questo contesto, per realizzare le infrastrutture di cui ha bisogno il mercato unico per poter meglio funzionare, occorrerebbe un bilancio europeo ben al di sopra dell’1% del Pil, ma questa idea fa impallidire rigoristi e liberisti. Quindi?

3. In presenza di scarsità di risorse pubbliche, la Commissione propone di finanziare “prioritariamente” solo alcuni progetti. A questo punto, occorre ribadire (sottolineandolo in giallo e scrivendolo in maiuscolo e grassetto) che questi progetti sono soggetti al regime del co-finanziamento. Quindi, nel documento – ma questo in pochi lo fanno presente – si fa riferimento alla sola quota messa a disposizione dall’Unione europea. Il resto devono metterlo gli Stati membri interessati.

4. Nell’ottica del rigore, dell’esigenza di razionalizzare gli investimenti e le spese e dell’accountability (concetto perlopiù oscuro in Italia, che indica il dar conto del corretto utilizzo delle risorse e della produzione di risultati in linea con gli scopi istituzionali), la Commissione ha interesse ad investire in progetti la cui realizzazione possa avvenire in tempi e costi relativamente certi.

5. Bisognerebbe ricordare (o rendere noto a chiare lettere a chi fa finta di non saperlo) che a Bruxelles la reputazione conta. E la nostra, da qualche tempo, non gode di buona salute. Fermandoci alle questioni strettamente europee, il modo in cui abbiamo provato a beffare la Commissione sulla Tav e il modo in cui abbiamo gestito e continuiamo a gestire (o, meglio, a non gestire!) i Fondi strutturali, convincono la Commissione che è meglio investire altrove, altrimenti si rischia di non centrare gli obiettivi (anche a Bruxelles sono note, ad esempio, le vicende ormai mitiche della Salerno-Reggio Calabria).

D’altra parte, se il Governo ritiene strategico lo sviluppo infrastrutturale del Sud perché finora non ha investito in modo razionale ed efficiente le risorse? Il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo – che tanto si agita – e i sodali europei Gianni Pittella e Mario Mauro – sempre più sopraffatti da un euroclima bipartisan – sanno benissimo che stiamo pagando pegno per il modo in cui abbiamo gestito questa delicatissima partita, così come tante altre.

6. La Commissione presenterà la proposta ufficiale delle nuove mappe Ten-T il 22 settembre. Nel frattempo, la diplomazia è già al lavoro per introdurre correttivi di rilievo. Bari è dentro. Si tratta di una richiesta del Governo italiano, nell’ottica di agganciare quella parte di Penisola (finora esclusa incredibilmente da tutte le rotte) ai corridoi adriatici. Naturalmente, nessuno poteva immaginare (o, forse, sì…) che l’inclusione di Bari significasse escludere la Sicilia. Ora l’Italia proverà a fare entrare dalla finestra ciò che è uscito dal portone (il resto del Sud e le Isole), facendo notare la bizzarria di raggiungere via treno La Valletta dalla Puglia.

Ma i margini per modificare la situazione sono ridottissimi e, in ogni caso, il punto non cambia: se la Commissione si convince a mettere una quota a favore di un progetto riservato al Sud (per esempio, il ponte sullo Stretto, che tanto scalda gli animi), l’Italia sarà in grado (leggi, ci sono i soldi e la volontà politica) di mettere la restante quota e di onorare gli impegni nei tempi previsti? Dubitarne è legittimo.

Perché la Commissione dovrebbe credere nello sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno (unico in Europa ad essere rimasto al palo dell’obiettivo 1) se non ci crede il Paese?

Chi grida allo scandalo, in buona fede, in modo populista, per il solo gusto di attaccare l’Unione europea (che oggi è bersaglio di gran lunga più facile e appetitoso della Croce rossa), dovrebbe forse rimboccarsi le maniche per impedire al nostro Paese di collezionare figuracce a Bruxelles.

Europa brutta, sporca e cattiva o Italia distratta, sciatta e furbastra?

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