Per le banche il vero stress è l’abbraccio con Tremonti

Per le banche il vero stress è l’abbraccio con Tremonti

Un conto sono le simulazioni virtuali di un’ipotetica capacità di resistenza ad eventuali situazioni critiche, altra cosa è fare i conti con la realtà. Promosse agli “stress test’ condotti dall’Eba, l’Autorità bancaria europea, le banche italiane hanno subito oggi la bocciatura dei mercati. Non si tratta di “speculazione”, come vorrebbe una vulgata stanca e autoassolutoria, ma di una logica deduzione fatta da chi ha perso fiducia nel sistema. Se i titoli di Stato perdono di valore, schiacciati dalla perdita di credibilità dei governi che li hanno emessi, anche le banche, che nel tempo si sono sempre più imbottite di questi titoli, ne pagano le conseguenze. E dunque crollano in Borsa.

Speravano governo e banche italiane di poter tirare un sospiro di sollievo, fra la manovra correttiva approvata venerdì scorso e i risultati degli stress test europei pubblicati sempre venerdì. E invece nisba: ancora un lunedì nero. Il mercato si è messo in testa lo scenario di una spirale negativa debito pubblico-costo del debito-deficit. Inoltre, il fattore tempo è fondamentale per chi investe, mentre i politici e le autorità in genere pensano di poterne disporre a proprio piacimento.

Così fra il prolungarsi dei negoziati per la soluzione della questione greca e il rinvio nel tempo dei tagli previsti dalla manovra italiana, chi presta soldi ai governi ha perso pazienza e fiducia. E continua a disfarsi dei Btp, il cui rendimento è tornato ai massimi dal 1997, quando l’euro non c’era ancora. Per il Tesoro, questo implicaun aumento degli interessi da pagare nelle nuove emissioni, come in effetti si è verificato nelle ultime aste.

Per le banche si traduce in un incremento delle perdite implicite nel proprio portafoglio titoli. Perdite di cui non si è tenuto conto negli stress test, perché, complice un artificio contabile a cui nessuno in Europa ha rinunciato, le banche ha diviso in due sottogruppi le loro posizioni in titoli di Stato. Su uno, il “trading book”, i titoli vengono contabilizzati a prezzi di mercato, da cui discendono guadagni e perdite evidenziati trimestre dopo trimestre. Sul secondo, il “banking book”, i titoli vengono (teoricamente) mantenuti fino a scadenza, senza registrare le variazioni di valore che nel frattempo avvengono sui mercati. Un trucchetto legale, inizialmente pensato per risolvere praticamente il problema di titoli illiquidi su cui era difficile effettuare il “mark to market” (la valutazione a prezzi di mercato), e poi utilizzato a dismisura per non far emergere le perdite implicite su una gamma di investimenti ben più vasta, fra cui appunto i titoli di Stato. Secondo un calcolo di Mediobanca, su un campione di 23 banche europee che hanno partecipato agli stress test dell’Eba, il banking book rappresenta l’82% dell’esposizione totale in emissioni governative (741 miliardi su un totale di 908,8 miliardi di euro). 

Le cinque principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Ubi, Banco Popolare) hanno investito in titoli di stato oltre 120 miliardi di euro, di cui poco più di 40 miliardi sono contabilizzati nel trading book, mentre il resto va nel “banking book”, dove però non incorporano le minusvalenze che si sono prodotte negli ultimi mesi e specialmente nelle ultime settimane. Si tratta di cifre che nel complesso equivalgono o superano di gran lunga il valore del patrimonio netto tangibile (escluso cioè l’avviamento). Secondo calcoli della società di ricerca indipendente Autonomous, per esempio, i bond governativi rappresentano il 101% del patrimonio tangibile di Unicredit, salgono al 156% di Intesa e arrivano al168% per la Montepaschi, guidata dal presidente Giuseppe Mussari, il banchiere che è anche numero uno dell’Abi, la lobby bancaria italiana. 

Gli istituti italiani, che sono riusciti a non farsi travolgere dai subprime e dagli altri prodotti della finanza creativa, si sono però intossicati di Btp. Da un anno e passa sono il “bancomat” del governo, garantendo massiccio sostegno alle emissioni del Tesoro, in analogia con quanto avvenuto nel resto d’Europa. Per un altro verso, l’impiego della liquidità in titoli di Stato ha permesso di guadagnare agevolmente, prendendo a prestito dalla Bce a tassi inferiori. Oggi però pagano l’abbraccio asfissiante con il ministro Giulio Tremonti. Secondo uno stress test molto più severo condotto dagli analisti di Jp Morgan, ipotizzando un taglio del 10% del valore indicato in bilancio per i Btp e del 40% per gli analoghi titoli greci, nel 2012 le banche italiane avrebbero bisogno di 9 miliardi di nuovo capitale. Una cifra che sale a 14 miliardi per gli istituti tedeschi e a 20 per quelle francesi. Questo sì che è uno stress.

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